Steve Hackett e l’arte di raccontare. Musicista e compositore eclettico, vera e propria icona del progressive rock, Steve Hackett ha incontrato il primo giugno scorso i suoi fan giunti da ogni parte d’Italia (rigorosamente in fila all’ingresso del teatro sin dalle prime ore del pomeriggio) in un evento esclusivo, organizzato dalla Biblioteca Comunale “G. Carducci” e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Spoleto al Teatro Nuovo “Gian Carlo Menotti” letteralmente sold out, a riprova della longevità del progressive rock in Italia, forte ancora di appassionati in gran numero e a conferma del carisma del musicista. D’altronde l’etichetta storica dei Genesis si chiama proprio così: Charisma. Preceduto da forte attesa, Hackett ha subito emozionato il pubblico salendo sul palco, dando vita a un dialogo aperto con il giornalista e critico musicale Mario Giammetti, autore di oltre quindici libri sui Genesis fondatore e direttore della rivista Dusk considerato uno dei massimi esperti internazionali della iconica formazione britannica. Sin da subito l’incontro assume una veste informale, una sorta di conversazione tesa ad esplorare attraverso aneddoti e piccole curiosità il complesso universo dei Genesis ma soprattutto la personalità di uno dei chitarristi di maggiore talento, inventore della tecnica del tapping (chitarra percussiva), capace di attraversare ogni confine di genere, dalla musica classica alla musica barocca, dalla world music alla musica contemporanea, dotato di una inconfondibile tecnica compositiva.
Un momento dell’incontro con Steve Hackett a Spoleto.
Felice di essere ancora una volta nella sua amata Italia Hackett si concede generosamente all’intervista, che durerà oltre due ore, partendo da un breve excursus sulla sua famiglia di origine, narrando del padre e di una madre bellissima, attiva sostenitrice della sua musica sin dai suoi primi concerti. Egli, come tutti i grandi artisti appare di una semplicità disarmante, raccontando del suo primo strumento, una armonica a bocca, della prima chitarra acustica regalata dal padre e del fratello John appassionatosi di flauto dopo aver assistito ad un concerto dei King Crimson. L’amore per la musica, l’ascolto per il blues, rock e musica classica iniziarono a diventare la sua priorità, così come lo studio per l’amata chitarra, da autodidatta. Grazie all’ascolto del Concerto per pianoforte in si bemolle minore di Cajkovskij, e successivamente di Bach conosciuto attraverso l’album Segovia plays Bach si appassionò alla musica classica, come ben si evidenzia nell’omaggio contenuto nell’album Tribute del 2008 nel quale registrò alcuni tra i suoi brani più celebri tra cui uno dei più complessi, la Ciaccona. In realtà Segovia rappresentò per Hackett un vero e proprio punto di svolta per il suo modo di concepire la chitarra.
“Aveva un suono intimo e cordiale; attraverso lo strumento di Segovia la natura intera sembrava parlasse con una sorta di innocenza distillata”
(Hackett, 2020).
La curiosità per ogni genere di musica diventava linfa vitale per la sua arte, e così Paul Butterfield, il leggendario Mike Bloomfield e successivamente Jeff Beck con “un uso magnifico della distorsione, del feedback, del riverbero e dell’eco ripetuta” (ibidem) diventarono per lui dei veri e propri punti di riferimento per la sua tecnica chitarristica, così come l’immenso Jimi Hendrix. Ma arriviamo ai Genesis, la cui… genesi viene ricordata così da Hackett.
“Tutto nacque quando misi un annuncio sulla rivista Melody Maker, dove cercavo musicisti aperti e decisi ad andare oltre lo stagno delle forme musicali esistenti”.
Una dichiarazione decisamente ambiziosa alla quale risposero altri due musicisti idealisti: Peter Gabriel e Tony Banks convocandolo per un provino nel quale
“a parlare era solo Pete mentre Tony era silenzioso, senza alcuna espressione. Fu solo dopo sei mesi che egli affermò che gli era piaciuto molto il mio modo di suonare. Era il 1971, restai nei Genesis fino al 1977 e malgrado siano trascorsi più di cinquanta anni dal mio ingresso nel gruppo, a me sembra ieri”.
La conversazione procede spedita. Hackett confessa il suo timore iniziale di far parte di una band che aveva già inciso due album, i cui componenti provenivano oltremodo da famiglie abbienti, differente dalla sua. Inoltre, sarebbe anche dovuto andare d’accordo musicalmente con l’altro chitarrista, Mike Rutherford. La realtà è che in soli sei anni il chitarrista inglese è riuscito a scrivere un periodo fondamentale nella storia dei Genesis, come ben si evidenzia dall’ascolto del brano The Return of the Giant Hogweed dell’album Nursery Cryme (1971), il primo con la nuova formazione. Ogni timore era così svanito e l’intesa musicale di Hackett con i restanti membri della band divenne così sempre più intensa, soprattutto con Tony Banks con il quale condivideva l’interesse per la musica sacra, l’istrionico Peter Gabriel per la curiosità per la musica concreta e musica del mondo e il travolgente Phil Collins, per la passione per il cinema. Nel Regno Unito, l’album non ebbe un grande successo a differenza del Belgio e dell’Italia che accolse la band con una fortunata tournée nel 1972 durante la quale furono scritte alcune tra le più belle canzoni di Foxtrot (di recente riproposto interamente nell’ultima tournée di Hackett). Si prosegue con l’ascolto di Can-Utility and the Coastliners, il cui testo è a firma dello stesso Hackett, un brano complesso forse poco apprezzato dal grande pubblico, perfetta sintesi del sound Genesis, tra mellotron (acquistato dai King Crimson), ritmiche jazz e chitarre folk. Hackett risponde pazientemente ad ogni domanda di Giammetti, giungendo così a narrare del travagliato Selling England by the Pound pubblicato nel 1973 che decretò il definitivo successo della band in ogni parte del mondo. Ricorda Hackett:
“Lo stesso John Lennon rilasciò delle dichiarazioni molto positive sui Genesis, cosa che fece schizzare la mia autostima a livelli mai raggiunti prima. Era decisamente il momento di massima felicità nella mia storia con i Genesis. Si sentiva una forte energia nella formazione e riuscimmo a scrivere brani di indiscutibile bellezza come The Cinema Show e Firth of Fifth che sebbene nato dalla fantasia di Tony contiene uno dei miei assoli più rappresentativi”.
Ma le sorprese non finiscono qui e a cavallo dei due tempi dell’incontro, il compositore inglese, facendosi prestare una chitarra, improvvisa, acclamato a gran voce dal pubblico presente, una toccante versione di Horizons.
“Gli anni a venire furono tra i più difficili della mia vita. Diventai padre di Oliver e ben presto preso da mille sensi di colpa dovetti separarmi da mia moglie Ellen, costantemente arrabbiata e incapace di superare i dolori che avevano segnato la sua infanzia”
(Hackett, 2020).
Fu così che terminata l’esperienza di Selling England by the Pound i Genesis si lanciarono nell’impresa più ambiziosa della loro carriera: un concept album basato su un racconto scritto dallo stesso Peter Gabriel dal titolo The Lamb Lies Down on Broadway e per far ciò si trasferirono a Headley Grange, nella campagna dello Hampshire in una casa che negli anni aveva ospitato formazioni illustri tra i quali i Led Zeppelin. L’album fu poi registrato in Galles utilizzando uno studio mobile e missato a Londra presso gli Island Studios di Londra, nel quale avvenne l’incontro con Brian Eno, coinvolto in prima persona nella realizzazione del sound finale. Le cose nella band erano però cambiate. Phil Collins e Peter Gabriel avevano messo su famiglia, quest’ultimo aveva ricevuto proposte per scrivere sceneggiature e inoltre, a causa della difficile gravidanza della moglie, iniziò a fare la spola tra il Galles e Londra. L’album fu pubblicato nel 1974 e presentato al pubblico con una lunga tournée terminata a Besancon nel maggio del 1975. L’uscita definitiva di Peter Gabriel dalla formazione fu diffusa solo il 16 agosto con un annuncio sul Melody Maker. Per un sogno destinato a finire un altro ne sarebbe nato ben presto. Fu infatti proprio durante le registrazioni di The Lamb Lies Down on Broadway che Hackett iniziò a sentire l’esigenza di esprimere la sua arte lontano dai Genesis.
“Mentre registravamo In the Cage, ebbi la netta sensazione che quelle idee premessero contro le sbarre di quella gabbia. Avevo aperto il vaso di Pandora e nessuno mi avrebbe più fermato”
(Hackett, 2020).
Era arrivato il momento per sperimentare nuove sonorità. Lo affascinavano il mellotron, ma anche l’autoharp, harmonium e orchestron, un sintetizzatore d’archi. Fu così che ben presto nuove canzoni presero forma e il compositore britannico si trovò a reclutare gli strumentisti e cantanti per la sua nuova avventura: il fratello John al flauto, Sally Oldfield alla voce, Phil Collins alla batteria e Mike Rutherford alle chitarre. “Sentivo una grande energia crescere ogni giorno” asserisce emozionato Hackett. Voyage of the Acolyte fu pubblicato nell’ottobre 1975. Nello stesso periodo i Genesis ripresero nuovamente a comporre per il nuovo disco che iniziarono a registrare senza voce, in quanto le audizioni per un papabile cantante proseguivano senza alcun esito. Decisive si rilevarono le incisioni di Phil Collins di tutte le parti vocali che, così, divenne ufficialmente il nuovo cantante dei Genesis pur continuando a suonare molte parti strumentali: A Trick of the Tail uscì nel 1976, Bill Bruford (batterista degli Yes e King Crimson) lo affiancò in tour a e in breve tempo l’album si affermò in Inghilterra e nel resto del mondo, smentendo così ogni previsione di crisi dopo l’uscita di Gabriel. La tournée legata al nuovo album decretò ufficialmente il successo planetario dei Genesis che dopo i Beatles riuscirono persino a catturare l’attenzione di Mick Jagger. Giunti a questo punto del racconto, parte l’ascolto di Ripples uno dei brani contenuti nell’album nel quale gioca un ruolo fondamentale la chitarra elettrica di Hackett, che sembra riprodurre alcune sonorità che richiamano un po’certe timbriche alla Robert Fripp, per concludere con un assolo nella parte finale del brano. Il successivo album Wind & Wuthering registrato nell’ autunno del 1976 non fece che confermare l’ascesa dei Genesis anche in America e in tutto il mondo. Hackett precisa:
“L’idea di registrare un secondo album solista mi accarezzava nuovamente. Avevo moltissimi brani da incidere, ma purtroppo Mike e Tony, mi chiesero di rinunciare all’idea di altri progetti solistici, almeno finché fossi rimasto nei Genesis”.
Fu durante i missaggi di Seconds Out il secondo album live dei Genesis, che il chitarrista britannico dovette così prendere una delle decisioni più difficili della sua vita:
“«lasciare la migliore band del mondo o suonare con il resto del mondo?». E sebbene la decisione richiese una grande forza d’animo, alla fine posso solo affermare che se fossi rimasto nella band non avrei avuto il tempo per la gestazione e la creazione di buona parte della mia musica. Rimpianti non ne ho: sono fierissimo dei progetti da solista che ho realizzato e continuo a realizzare. L’unica cosa singolare è che dopo la mia uscita dalla band sia Phil con Brand X, che Mike con Mike and the Mechanics, dimostrarono di avere progetti paralleli che non avevano certo obbligato i Genesis a sciogliersi”.
Parte un altro ascolto, quello di Blood on the Rooftops scritta dallo stesso Hackett insieme a Phil Collins, uno degli ultimi contributi del compositore alla formazione. Nel raccontarsi, Steve riesce a trasmettere al pubblico l’apprensione vissuta in quegli anni per la decisione presa, alla fine rivelatasi la migliore per la sua musica.
“La prima cosa che feci fu quella di darmi subito da fare e dar forma prima possibile all’album che sentivo il bisogno di creare: Please Don’t Touch!, registrato sulle coste assolate della California, che sarebbe uscito nel 1978. Non avevo una band vera e propria e la prima cosa che feci fu reclutare i musicisti che poi utilizzai anche per la tournée promozionale che fece sempre il tutto esaurito in ogni data. In realtà le band mutarono moltissime volte nel corso degli anni come accadde anche per la realizzazione di A Midsummer Night’s Dream nella quale mi accompagnai con la Royal Philarmonic Orchestra”.
Negli anni successivi l’interesse per il paranormale e la vita oltre la vita, alla ricerca di una propria dimensione spirituale ispirarono Hackett per il successivo album Spectral Mornings (1979), contenente dei brani di assoluta bellezza grazie anche alla perfetta intesa con il tastierista Nick Magnus. La produzione di Steve continuò incessante, praticamente un disco ogni anno, i fantasmi del passato, le incertezze iniziarono a diradarsi per lasciare spazio alla sua creatività dirompente. Le tournée erano sempre tutte esaurite.
“La mia originaria dipendenza dai Genesis si era infine trasformata in un sogno antico, fatto di una vita precedente. I timori, che mi avevano tormentato fin dall’uscita da quella grande macchina, erano ora relegati in un angolo buio e lontano. I miei sogni, che sgorgavano da immagini inconsce, avevano raggiunto la superficie e venivano adesso rappresentati e celebrati”
(Hackett, 2020).
Il 1980 vide la luce di Defector, che, in pieno boom del punk non ebbe una critica positiva da parte della stampa sebbene la tournée battè tutti i record. In realtà in quel periodo il marketing musicale iniziava a imperversare sopra ogni cosa e questo determinò il cambio di rotta verso sonorità più pop come in Cured (1981), giunto nel Regno Unito al quindicesimo posto nelle classifiche di vendita. Negli anni successivi Steve, continuò a contrastare ogni pregiudizio, cercando di “andare oltre lo stagno delle forme musicali esistenti”. I primi anni Ottanta furono caratterizzati da un ritorno alla musica classica con i due album: Bay of King (1983) e Momentum (1988), mentre la scoperta di nuove sonorità grazie ai numerosi viaggi in Brasile condizionarono non poco i successivi progetti. Ma Hackett non si sofferma molto su quegli anni, caratterizzati da eventi negativi come il divorzio dalla seconda moglie, la disegnatrice Kim Poor.
Nel corso dell’incontro Steve Hackett ha eseguito Horizons, il brano di Foxtrot (1972) che introduceva alla suite Supper’s Ready.
Ciò invece su cui si è soffermato è sull’incontro della sua anima gemella e attuale moglie dal 2011, Jo Lehmann, sorella della cantautrice Amanda, accanto a lui in numerosi tour. Grazie al sostegno di Jo, afferma Steve “sono riuscito a riprendere coraggio e a diventare nuovamente manager di me stesso”. Una perfetta intesa non solo sentimentale ma anche artistica visto che con lei, Steve ha condiviso la realizzazione di tutti gli album degli ultimi quindici anni. Ed è per questo che questa serata di racconti affascinanti, non poteva che concludersi con l’arrivo sul palco della stessa Jo, per poi terminare con una infinità di autografi e fotografie concessi ai tanti fan, punta di un iceberg, si è detto in apertura, ancora di dimensioni notevoli. Ma ciò che ha lasciato il segno, quanto è emerso nell’incontro, è la grandezza di un uomo oltre che di uno straordinario musicista, capace di rifiutare ogni sorta di compromesso pur di salvaguardare la sua libertà ed integrità artistica.
- Genesis, Nursery Crime, Charisma, 2018.
- Genesis, Foxtrot, Charsima, 2024.
- Genesis, Selling England by the Pound, Charisma, 2015.
- Genesis, The Lamb Lies Down on Broadway, Charsima, 2023.
- Genesis, A Trick of the Tail, Charisma, 2016.
- Genesis, Wind & Wuthering, Virgin/Charisma, 2018.
- Genesis, Seconds Out, Virgin/Charisma, 2019.
- Steve Hackett, Please Don’t Touch!, Charisma 2016.
- Steve Hackett with The Royal Philharmonic Orchestra, A Midsummer Night’s Dream, Wolfwork Records, 2016
- Steve Hackett, Spectral Mornings, Charisma 2016.
- Steve Hackett, Defector, Virgin, 2005.
- Steve Hackett, Cured, Virgin, 2016.
- Steve Hackett, Bay of King, Sony Music (2024).
- Steve Hackett, Momentum, Sony Music (2024).
- Mike Barnes, Storia del Progressive Rock. Origini e Leggende della Musica Inglese Anni Settanta, Odoya, Città di Castello, 2021.
- Mario Giammetti, Genesis story, Kaos Edizioni, San Giuliano Milanese, 1988.
- Mario Giammetti, Genesis. Il fiume del costante cambiamento, Editori Riuniti, Roma, 2004.
- Mario Giammetti, Genesis. Gli anni Prog., Giunti, Firenze, 2013.
- Steve Hackett, A Genesis In My Bed, Mondadori, Milano, 2020.
- David Weigel, Progressive Rock. Ascesa e caduta di un genere musicale, EDT, Torino, 2018.