Il trattato futuristico
elaborato da Stanislaw Lem

Stanislaw Lem
Summa Technologiae
Scritti sul futuro
Traduzione e cura di Luigi Marinelli

Luiss University Press, Roma, 2023
pp. 425, € 35,00

Stanislaw Lem
Summa Technologiae
Scritti sul futuro
Traduzione e cura di Luigi Marinelli

Luiss University Press, Roma, 2023
pp. 425, € 35,00


Un altro libro che parla di intelligenza artificiale, civiltà extraterrestri, metaverso e postumano? Anche basta! Ma… un momento, dev’esserci un errore: l’edizione originale di questo libro è apparsa in polacco nel 1964, sessant’anni fa! Ma com’è possibile, se l’autore parla di simulazioni virtuali, disoccupazione tecnologica, algoritmi intelligenti?  È possibile, perché l’autore di questo libro fantastico è Stanislaw Lem, che non ha bisogno di presentazioni, se non al più quella di “uno dei massimi scrittori di fantascienza di tutti i tempi”.
La Summa Technologiae è stata per anni un oscuro oggetto del desiderio per gli appassionati di fantascienza, futurologia e filosofia scientifica. Giunta finalmente all’attenzione del mondo con la traduzione in inglese della University of Minnesota Press, nel 2013, da allora si è lavorato per portarla in Italia, superando le resistenze di quanti riducevano Lem al solo autore di Solaris. Nel 2017 su questa rivista veniva pubblicato un primo estratto in italiano, tradotto da Marco Bertoli e curato dal sottoscritto. Un primo contatto con i titolari dei diritti apparve promettente, ma non si trovarono editori interessati a cimentarsi nell’impresa di una traduzione che doveva filologicamente avvenire sull’originale polacco, e non sulla versione inglese. Una copia pirata, malamente tradotta con software automatici, fece capolino a prezzi improbabili sugli store online nel 2022. E poi, infine, eccola: la sontuosa edizione italiana realizzata dalla Luiss University Press, complice l’onda lunga del centenario, che in Italia ha visto un fiorire di nuove edizioni, ristampe, traduzioni, favorito anche dal fatto che i temi di Lem, troppo in anticipo sui tempi negli anni in cui apparvero per la prima volta le sue opere, sono oggi di estrema attualità.

Il Lucrezio di Leopoli
La Summa Technologiae non è in realtà, a dispetto del titolo, un trattato sistematico. Né ci si potrebbe aspettare diversamene da un pensatore come Lem, il cui fil rouge di tutta la produzione letteraria è sempre stato la messa in discussione dell’ambizione umana di arrivare a conoscere “tutto”. Più sistematica è forse la sua opera successiva, quella Filosofia del caso (1968) di cui ora non disperiamo più poterla un giorno leggere in italiano (si ricordi che è inedita anche in inglese), e che nella prefazione Lem definiva ironicamente una “teoria generale del tutto”. Ci sono passi in cui l’autore chiaramente si contraddice, e ne vedremo uno in particolare più avanti; ma questo è il normale esito di una opera che doveva rappresentare per Lem un continuo work in progress del pensiero e, soprattutto, una sorta di blocco note su cui appuntare le idee più eccentriche e stravaganti da esplorare in seguito in racconti e romanzi, come spesso poi accadrà. E tuttavia è possibile nondimeno individuare in queste quattrocento densissime pagine degli assi portanti della sua riflessione, quasi una sorta di “teoria del futuro”. Forse è solo un abbaglio, perché Lem ci ricorda come sia tipico degli esseri umani – o meglio degli “omeostati”, ossia degli organismi che provano a trovare un equilibrio nell’ambiente in cui vivono – cercare delle strutture e delle regolarità anche laddove non ci sono, conditio sine qua non per sviluppare una metafisica (e con questo ci mette in guardia, en passant, dall’inevitabile metafisica delle macchine intelligenti, che per loro natura cercano schemi ricorsivi nei dati…). Ma proviamoci ugualmente.

Luigi Marinelli, l’insigne slavista a cui dobbiamo non solo la traduzione italiana della Summa ma anche un’eruditissima introduzione, definisce giustamente Lem il “Lucrezio di Leopoli”. Poiché, come il grande epicureo, lo scrittore polacco pone alla base della sua concezione dell’universo l’assenza di teleologia, di uno scopo che muove le cose, e ritiene la realtà frutto del mero gioco del caso. Non concezione rigorosamente materialista, si badi, perché il materialista accetta che tutta la realtà possa essere ridotta a princìpi primi, a mattoni fondamentali, e di conseguenza perfettamente conosciuta, ipotesi che Lem decisamente nega; piuttosto accettazione dei princìpi darwiniani dell’evoluzione per selezione naturale, “l’orologiaio cieco” di Richard Dawkins, senza però tutto il corollario di darwinismi sociali e concezioni utilitariste. L’universo non ha alcun proposito e i suoi omeostati sono il frutto del puro caso. Partendo da qui, cosa possiamo speculare sul futuro della civiltà umana e, di conseguenza, sull’esistenza di altre civiltà intelligenti? È possibile provare a fare supposizioni? Certamente non possiamo immaginare una sorta di “teoria della modernizzazione” applicata su scala cosmica, secondo cui tutte le specie intelligenti sono destinate a seguire un analogo percorso di sviluppo, come pensano futurologi come Ray Kurzweil con le sue concezioni teleologiche sulla “singolarità tecnologica”. Anche Kurzweil è un darwinista, ma a differenza di Lem appartiene a quella vasta categoria di “fraintenditori” che non hanno inteso l’aspetto cieco e casuale del processo evolutivo; e benché entrambi ritengano che l’evoluzione tecnologica segua le stesse leggi dell’evoluzione biologica, per Lem questo significa che anche gli sviluppi futuri della tecnologia saranno frutto di processi casuali, laddove Kurzweil li ritiene regolati da leggi tendenti inesorabilmente alla complessità e all’intelligenza. Anzi, Lem parte dal presupposto che l’evoluzione tecnica “si è mossa fin qui in una direzione più o meno opposta a quella dell’evoluzione biologica, producendo esclusivamente sistemi a specializzazione limitata”.

L’unico modo per ottenere delle macchine universali sul modello di Turing consiste “nello sviluppo ulteriore della teoria dell’autorganizzazione di sistemi capaci di un’autoprogrammazione dell’adattamento”; ma, come sappiamo dalle opere narrative di Lem, questo non vuol dire approdare in modo automatico a una sorta di superintelligenza divina, come prevede la teoria della singolarità. Si pensi a Eden, il mondo del romanzo eponimo (1959) dove strane, enormi macchine continuano da millenni a sfornare in modo ottuso e cieco forme di vita intelligente talmente disperate da preferire la morte violenta alla vita insulsa “donata” dalla fabbrica idiota; o alle forme di vita tecnologiche prodotte dall’evoluzione su Regis III, il pianeta di L’Invincibile (1964), sfuggite a ogni controllo dei loro progenitori come cellule cancerose, tanto che i protagonisti parleranno di “necrosfera”.

I limiti della conoscenza
Il problema vero è però un altro. Se si accettano le teorie della cibernetica, che annullano i confini tra esseri umani e macchine, si deve accogliere anche la teoria dell’informazione, che della cibernetica è stata antesignana: Lem precisa, da buon anti-riduzionista, di non credere che tutto sia informazione; ma accetta la tesi di Claude Shannon che compara la teoria dell’informazione alla seconda legge della termodinamica e vi scorge il più grave limite contro cui inesorabilmente ogni civiltà intelligente – umana o macchinica – si troverà a fare i conti: il “picco dell’informazione”.

“Ecco dunque che la chiave di tutte le fonti di energia, come pure dell’accumulo di conoscenza, è l’informazione. […]. La quantità d’informazione che si può trasmettere attraverso uno dei suoi canali è limitata. La scienza è uno di quei canali, che unisce la civiltà col mondo esterno […]. Alla fine, però, si dovrà arrivare a uno stato in cui risulterà impossibile aumentare la capacità di trasmissione della scienza a un ritmo dettato dall’aumento della quantità di informazioni. […]. La scienza non potrà sormontare questa barriera, non riuscirà ad assorbire la valanga di informazioni che ha provocato”.

Questa è una preoccupazione costante del pensiero di Lem. Ovviamente Solaris (1961) ruota tutto intorno a questo tema, così come La voce del padrone (1968): contro l’idea di senso comune secondo cui quante più informazioni acquisiremo su una questione, quanto più riusciremo ad afferrarla, Lem contrappone una barriera inesorabile, una legge di natura. Probabilmente tutte le civiltà intelligenti sono destinate a incontrarla a un certo punto del loro sviluppo, e qui Lem anticipa un concetto che arriverà solo oltre trent’anni dopo: la teoria del Grande Filtro, secondo cui la soluzione al paradosso di Fermi sul perché non abbiamo ancora incontrato civiltà extraterrestri consiste in “cause per noi del tutto incomprensibili, che cominciano ad agire a un certo stadio dello sviluppo”. Lem immagina che la causa in questione consista appunto in una barriera informativa. La scienza si basa sul principio di induzione, “il tentativo forzoso di trasformare un’informazione incompleta in una completa”. E tuttavia la teoria dell’informazione “afferma che, in un sistema isolato, l’informazione può ridursi o conservare una grandezza fissa, ma non aumentare”. Dunque il nostro connaturato convincimento, esemplificato dall’imperativo hilbertiano “dobbiamo sapere, sapremo”, è destinato a essere smentito dalle stesse leggi di natura attraverso le quali abbiamo ingenuamente creduto di riuscire un bel giorno a conoscere tutto.

Siamo già a questo punto? Se intendiamo le parole di Lem sul fatto che, giunti a questo stadio, la soluzione più naturale ma anche inutile consiste nel rivolgersi all’intelligenza artificiale, come una descrizione della nostra epoca attuale, in cui abbiamo rinunciato a sviluppare teorie per lasciare agli algoritmi il compito di trovare nessi causali, allora forse la risposta è sì. Anche senza scomodare i segnali che parlano di una crisi della fisica, di una crescente difficoltà della biologia e della genetica nel comprendere i meccanismi più profondi della natura umana, per non citare i celebri e abusati teoremi di incompletezza, è un fatto che il nostro ricorso al machine learning rappresenti un’abdicazione della capacità inferenziale della logica umana: non siamo in grado di imitare elettronicamente il processo di acquisizione d’informazioni da parte dell’intelligenza umana, quindi ne creiamo uno completamente nuovo, di tipo statistico e basato sulla bruta forza del calcolo, più rispondente alla logica delle macchine. Ma Lem è lì pronto a smentire le speranze dei sacerdoti degli algoritmi:

“L’impiego della cibernetica per creare un «esercito di scienziati artificiali», benché sembri promettente, è in sostanza una continuazione della fase precedente; la struttura della scienza rimane fondamentalmente la stessa, solo che al fronte delle ricerche giungono rinforzi da parte dell’intelligenza elettronica”.

Incistamento
Che fare, allora? A questa domanda Lem risponde suggerendo una possibile “via di fuga” che le civiltà tecnologicamente mature potrebbero mettere in atto. È quella della fantomatica, la tecnica di costruzione di mondi simulati, metaversi indistinguibili dalla realtà nei quali migrare. Questi “incistamenti” – nel senso che emergono come cisti sulla realtà di primo livello – servono da tamponamento all’eccesso di informazione e al tempo stesso producono un’informazione di tipo nuovo, potremmo dire sintetica. È, di fatto, una versione estrema del fenomeno delle “bolle” sociali prodotte dall’overload informativo dell’ecosistema mediatico contemporaneo: di fronte all’impossibilità di maneggiare l’enorme mole di informazione in ingresso, si reagisce rifugiandosi in una bolla dove l’informazione è attentamente filtrata per non entrare in dissonanza cognitiva con credenze e convinzioni personali; bolle che finiscono per diventare dei mondi a parte, impermeabili alla realtà esterna e dove vengono create e consumate narrazioni alternative. Di qui alla costruzione di veri e propri mondi simulati il passo è breve, e negli ultimi anni lo scarto con il futuro immaginato da Lem si è ulteriormente ridotto grazie agli sviluppi della realtà virtuale, ciò che lo scrittore polacco definiva con il termine “fantomatica”. Il cosmo potrebbe pullulare di civiltà “incistiate”, che non comunicano più con l’esterno; da qui il silentium universi. Entriamo qui nella parte più visionaria della trattazione, in anticipo di anni sulla moderna ipotesi della simulazione. Lem non pensa, come il suo collega Philip K. Dick, che il nostro mondo possa essere a sua volta una simulazione; e anzi afferma a un certo punto di non credere che la tendenza delle civiltà tecnologiche vada volontariamente in questa direzione, perché sarebbe un suicidio. Poi, però, cambia idea; probabilmente anche perché a un certo punto si imbatte nell’idea – ben nota a chi frequenta il pensiero di Dick – che gli esseri che vivono in queste simulazioni possano finire per esserne imbrigliati loro malgrado, perché hanno dimenticato la via d’uscita.

Si è già osservato, commentando alcuni racconti di Lem tradotti per la prima volta in italiano solo un paio di anni fa, che tra le tante inquietanti prefigurazioni di opere di fantascienza successive (a Marinelli non sfugge che a un certo punto Lem parli praticamente di Matrix) ce ne sia una in particolare, che anticipa in modo sconvolgente la trama di Inception di Christopher Nolan. Ebbene, qui accade qualcosa di molto simile. In quel film, il protagonista e sua moglie hanno creato un mondo onirico talmente convincente da aver perso la cognizione che non sia il vero mondo; Cobb – il personaggio interpretato da Leonardo Di Caprio – ha però trovato un escamotage: creare un totem, un oggetto di cui egli solo conosce le proprietà e che è in grado di ricordargli, ogni volta che lo vede e lo tocca, che il suo mondo non è reale. Lem ha questa idea cinquant’anni prima. Immagina infatti che, non potendo una simulazione informatica leggere i pensieri di una persona, sia pertanto possibile che la persona che si trova nella simulazione e solo lei sappia “che un certo cassetto della nostra scrivania è bloccato”. Per cui, per verificare se si trova o meno in una simulazione (o in un sogno) corre a casa a fare una prova. Il cassetto non è bloccato! Si tratta di un’illusione. Anche qui, come in Inception, Lem immagina però che la moglie del nostro protagonista non creda alle sue affermazioni:

“Nostra moglie si mette a ridere compassionevole e spiega che il cassetto è stato piallato quella stessa mattina dal falegname che lei aveva chiamato. Dunque, non sappiamo ancora niente di certo. O quello è il mondo vero, oppure la macchina ha fatto un’abile manovra, inficiando la nostra”.

Nel racconto di molto posteriore Il materassino, questo problema è risolto in un solo modo: attraverso un suicidio che, se compiuto nel mondo illusorio, avrà come effetto quello di riportarci nella realtà, come capita quando in un sogno precipitiamo da una scala. Estrema soluzione che Nolan utilizzerà anche nel suo film, sebbene verosimilmente senza avere cognizione dei due testi di Lem, che allora erano disponibili solo in polacco. Come sta capitando per i romanzi di Dick, che sembrano sempre più simili alla realtà in cui viviamo – fatto questo che non avrebbe stupito lo scrittore californiano, convinto di uno stretto collegamento tra la sua fiction e verità di ordine superiore –, verrebbe quindi da dire che anche il nostro futuro e l’immaginario del futuro inizi ad assomigliare in modo sempre più inquietante all’opera di Stanislaw Lem. Se ciò sta accadendo è però, probabilmente, per ragioni più prosaiche di quelle immaginate da Dick: è il frutto della sua capacità di anticipare le conseguenze estreme di quelle tendenze che egli già vedeva all’opera all’epoca in cui scriveva, da cui intendeva metterci in guardia. Non che si debba leggere la Summa Technologiae con atteggiamento oracolare, come per attenderci chissà quale profezia; Lem stesso a più riprese liquidava come sciocchezze molte delle sue elucubrazioni, non volendo prendersi troppo sul serio, forse per paura di finire per credere così tanto a quelle invenzioni da non riuscire più a distinguerle dalla realtà, come accadde al suo collega americano. Proprio da qui la sua anti-sistematicità, che se da un lato lo allontana molto dal modello dell’Aquinate a cui il titolo dell’opera si richiama, dall’altro lo richiama a modo suo, quasi sbeffeggiandolo, perché, come nel caso della teologia scolastica l’ambizione fu quella di incasellare Dio in definizioni ragionieristiche, compiendo ovviamente un sonoro fiasco, ad analogo fiasco è destinata l’ambizione della scolastica contemporanea di giungere a comprendere la natura della realtà e il suo futuro.

Letture
  • Stanislaw Lem, Solaris, Sellerio, Palermo, 2013.
  • Stanislaw Lem, L’Invincibile, Sellerio, Palermo, 2020.
  • Stanislaw Lem, Eden, Mondadori, Milano, 2021.
  • Stanislaw Lem, Il materassino, in Universi, Mondadori, Milano, 2021.
  • Stanislaw Lem, La voce del padrone, Mondadori, Milano, 2022.
Visioni
  • Christopher Nolan, Inception, Warner Home Video, 2011.