Quale destino per l’attuale corso della civilizzazione umana quando appare così evidente la fragilità dei suoi castelli? Per uscire da una crisi economica globale così profonda e trasversale come l’attuale basterà pompare denaro fresco? Le industrie saranno in grado di tagliare drasticamente le emissioni per invertire la rotta del surriscaldamento e della desertificazione? Le nazioni e i loro governi saranno in grado di affrontare le prossime sfide sanitarie e le prevedibili ondate migratorie causate da carestie e guerre?
Messo di fronte a minacce che sembravano superate dal progresso tecno-scientifico, l’Occidente si ritrova a vivere gli antefatti di una distopia, probabilmente figlia degli effetti più deleteri del capitalismo (continui tagli ai sistemi sanitari pubblici), dell’inquinamento (gli attacchi alla biodiversità favoriscono i salti interspecie degli agenti patogeni) e di un’urbanizzazione scriteriata. Tracce di fantascienza e atmosfere cupe: quadri cognitivi che i cittadini della società di massa conoscono sin troppo bene dopo decenni di narrazioni e di militarizzazioni dei conflitti culturali. Occhio privilegiato che accompagna l’Occidente attraverso bruschi mutamenti, la fantascienza espleta da più di un secolo un’importante funzione culturale e mitopoietica nel moderare l’impatto sociale delle nuove tecnologie e dei cambiamenti politici. Ma con le crisi economiche, man mano che si immaginano spegnersi le luci del capitalismo, emergono scenari apocalittici analoghi a quelli abitati da zombi raccontati da George Romero, o da The Walking Dead (serie partita nel 2010 e tuttora in corso). La distopia evade dal recinto della fiction e diventa ogni giorno più plausibile. Perlomeno lo è quella parte in cui la leadership risulta impreparata e imprevidente rispetto agli strattoni della Storia.
Il respiro delle città vegetali
La pandemia del 2020 arriva proprio in un momento in cui la fantascienza mainstream sembra privilegiare formule narrative distopiche caratterizzate da contesti sociali fortemente oppressivi e omologanti. Ma con le sue capacità mutanti, la fantascienza (specie nella sua declinazione oggi etichettata come speculative fiction) ha già pronti gli anticorpi e si presenta ancora una volta come espressione compiuta della complessità post-moderna. Da qualche anno una flottiglia di illustratori e architetti ecologisti sta facendo sognare la gente comune con rendering e disegni che mostrano come potrebbero essere le città liberate dal traffico automobilistico e invase da rampicanti e giardini verticali.
Le densissime opere di artisti come i giapponesi Imperial Boy (ovvero Teikoku Shounen) e Munashichi tengono banco nell’immaginario web rilanciato dai social media prospettando megalopoli in cui gadget tecnologici e orti urbani si intrecciano in armonia. Nella costruzione di questo filone dell’immaginario devono aver avuto un ruolo di apripista le idee comparse prima in anime nipponici come Principessa Mononoke (1997) di Hayao Miyazaki e poi nella computer grafica di Avatar (2009) in cui James Cameron propone la sua personale rielaborazione dell’ipotesi Gaia (una biosfera planetaria che si autogestisce al fine di preservare l’esistenza di tutti i viventi compreso gli umani) concepita da James Lovelock (cfr. 2011).
Utopistiche integrazioni tecno-ecologiche rese ancora più incredibili quando a rilanciarle sono dei veri architetti con i loro disegni. Tra questi visionari, il belga Vincent Callebaut offre la suggestione di una foresta gotica e biomimetica piazzata proprio su quel tetto dove si è sviluppato l’incendio della Cattedrale di Notre Dame nel 2019. In Italia abbiamo l’esempio di Milano, che in pochi anni ha saputo trasformare la sua facciata virando verso il verde. Peccato che le meraviglie del quartiere Isola siano un lusso riservato a pochi (appartamenti il cui valore, a seconda dei piani, è compreso tra circa diecimila e diciassettemila euro al metro quadro).
Se i progetti di boschi verticali per ora restano decisamente larger than life, uno dei suoi ideatori, l’architetto Stefano Boeri, si sta impegnando a lanciare una nuova idea di architettura popolare: una rivoluzione urbanistica che potrebbe partire dalla Cina con la Forest City di Liuzhou. Ma ecco che un banale microrganismo sta desertificando spazi di interscambio sociale coltivati con grande fatica e sta facendo sembrare brulicanti di vita anche i contesti più gentrificati. Riusciranno i landscape a tutto green di Callebaut o di Luc Schuiten a tenere vivo il sogno di queste città futuribili dove domina il verde?
Il cielo sopra il porto
Non è la prima volta che la realtà si ritrova a inseguire le utopie o le distopie della fantascienza. Tanto che nel suo saggio sull’immaginario tecno-scientifico, Il cielo sopra il porto, Roberto Paura spiega la forza profetica della fantascienza traducendola in un saper scrutare nelle pieghe del tempo presente. La fantascienza non è un lavoro da indovino e non si possono pretendere visioni a prova di plausibilità scientifica e sociologica quando non è possibile inserire nel computo anche gli strattoni della Storia come quello del Covid-19. Per Paura i sogni della fantascienza sono invariabilmente destinati a “scontrarsi con futuri molto più imprevedibili di quanto siamo in grado di immaginare”. Più produttivo inquadrare l’immaginazione tecnologica come una offerta di quadri di pensiero e non di ricette alchemiche. Coerente a questo mandato, Paura sovrappone una notevole mappa di riferimenti narrativi al reticolo delle attuali tendenze della ricerca industriale concentrandosi sugli aspetti più rilevanti sul piano sociale, ovvero i punti di attrito tra culture premoderne, capitalismo moderno e scienza.
Sono svariate le traiettorie esplorate dal libro, ma sembra potente il fascino esercitato dal filone cyberpunk visto che il suo romanzo-manifesto, Neuromante di William Gibson, viene citato nel titolo. Nel 1984 quel cielo che “aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto” immergeva il lettore nell’essenza di quella che oggi chiamiamo speculative fiction, presentando una fantascienza lontana dagli entusiasmi e dal sense of wonder generato dalle esplorazioni spaziali. La scienza e la tecnologia cominciano a essere narrate per davvero e gli autori scendono a patti con le realtà del tempo presente. Il romanzo di Gibson si accompagna bene alle inquietudini di un mondo che si stava affacciando alla rivoluzione digitale con la comparsa dei primi personal computer. Neuromante ha disseminato di idee tutta la fantascienza che accompagna l’era digitale, a partire da Matrix dei Wachowski (1999) e da Ghost in the Shell, fino alle popolari saghe videoludiche quali Deus Ex, Shadowrun e l’attesissimo e misterioso Cyberpunk 2077.
Il cyberpunk è interessante perché eredita le paranoie dalla Guerra fredda e da grandi scrittori quali Philip K. Dick e James G. Ballard: l’invisibile è ciò che fa più paura, in particolare ciò che si può celare nell’altro. Dopo l’epoca delle grandi esplorazioni la diffidenza comincia a tenere il nostro ordine sociale sull’orlo della distruzione. Il regime dell’invisibile comprende anche l’immenso potenziale degli elaboratori elettronici e delle reti digitali. Quel “fantasma” a cui accenna il titolo della saga manga e anime Ghost in the Shell. Roberto Paura mette in evidenza come alle radici del filone narrativo tributato ai computer ci sia il nesso tra una intelligenza artificiale fantasmatica e il problema del dualismo cartesiano mente/corpo.
Qui l’ipotesi Gaia di Lovelock viene messa in discussione per la sua ingenuità. Paura propone un interessante confronto tra Gaia e il pianeta desertico di Arrakis nel ciclo Dune (1965-1985) di Frank Herbert in cui non è affatto detto che la sopravvivenza degli umani sia necessaria alla sopravvivenza dell’ecosistema. Anche i disastri industriali raccontati da James G. Ballard in romanzi come Terra bruciata del 1964 parlano apertamente della fragilità delle leggi civili e non sembrano dare molto tempo alla permanenza dell’uomo sul pianeta.
Minacce invisibili sono pronte a sfrattare il genere umano. Tra queste le pandemie. Nel 2015, dopo l’emergenza Ebola, l’imprenditore e filantropo Bill Gates aveva predetto quanto sarebbe stato facile prevenire la successiva pandemia agendo tempestivamente e predisponendo poche semplici misure di contenimento sanitario. Per l’ennesima volta Gaia manda segnali non proprio incoraggianti. Ma trionfa la sostanziale imprevidenza delle nazioni, probabilmente a causa delle politiche neoliberiste mediamente ostili a concetti redistributivi come quello del welfare. Così, rispetto alla minaccia pandemica, si aprono scenari ben più radicali per risolvere con la tecnologia il problema del contagio. Per esempio tracciando i movimenti degli individui e i possibili corridoi di contagio tramite microchip impiantati nel corpo. Se questo scenario cyberpunk dovesse incrociare l’interesse dei big player del capitalismo digitale allora sarà molto probabile che i cittadini imparino ad amare il “demone sotto la pelle” e la definitiva perdita della privacy.
Eppure, nonostante il cinismo cyberpunk e l’indifferenza del sistema capitalistico rispetto all’ambiente, l’idea di Gaia sopravvive e in qualche modo scivola nell’immaginario arrivando a contaminare anche Isaac Asimov, che la rilancia con il suo concetto di noosfera come “coscienza collettiva”. Gaia diventa poi il terreno da cui nascerà l’Albero delle Anime in Avatar: una rete che, tramite le radici del vegetale, è in grado di connettere la mente (o l’essenza spirituale, se si preferisce la suggestione sciamanica rappresentata nel film dal popolo dei Na’vi) di qualsiasi vivente. Gaia abbraccia le reti digitali dopo aver già fertilizzato il mondo dei videogiochi ispirando il gameplay di SimCity e SimEarth di Will Wright.
Insomma, se da un lato le accelerazioni del capitalismo mettono in pericolo la Terra e l’umanità suscitando la rabbia punk, dall’altro si insinua la suggestione di un ecosistema con il quale si può ancora dialogare, almeno sul versante biologico. Nella sua panoramica sulla fantascienza contemporanea, Roberto Paura si sofferma spesso sul filone che specula sulle possibilità dell’ingegneria genetica, forse perché vi si annidano formidabili possibilità di nuove rivoluzioni sociali e tecnologiche. Forse anche perché l’autore intuisce che nelle biotecnologie si possano celare non solo nuove inquietudini ma anche interessanti prospettive per ricucire la sintonia perduta tra uomo e ambiente.
Il movimento solarpunk
La manipolazione genetica è spesso tra le tecnologie privilegiate dal filone denominato solarpunk, che eredita dal cyberpunk proprio il ruolo attivo dei gadget e delle invenzioni nella lotta per sovvertire un sistema infelice e votato all’autodistruzione. Curata da Fabio Fernandes e Francesco Verso, l’antologia Solarpunk propone una raccolta molto varia di idee che illustrano bene questo ulteriore filone narrativo che traffica con il futuro.
I protagonisti solarpunk hanno un forte ancoraggio simbolico nell’attivismo ecologista e quindi il posizionamento etico-valoriale è molto marcato. Rispetto alle forme passate della fantascienza, la quest eroica solar è dunque meno adrenalinica e militaresca, più riflessiva e idealistica. La parte punk assicura la verve drammaturgica con intense battaglie idealistiche. In Empatia Bizantina di Ken Liu viene immaginato un futuro prossimo nel quale l’attivismo politico può avvantaggiarsi di tecnologie narrative come la realtà virtuale per costruire consenso e animare battaglie politiche.
Nella prospettiva solarpunk non c’è mai un arretramento rispetto al corso della Storia e della tecnologia. La tecnica e la cultura sono centrali. Anche in caso di cataclismi, la scienza non deve farsi intimidire dall’onnipotenza della natura ma deve cercare piuttosto una mediazione, elaborando soluzioni a partire dall’osservazione della natura e dei suoi meccanismi. La cifra tecnologica non è mai pedante: per esempio i mezzi di trasporto che sono velocissimi e alimentati “da un crogiolo di geomagnetismo, fotovoltaico e lampi di genio”. Ciò che conta è la messa in scena dei sogni e la plausibilità dei metodi per trasformare le fantasie in realtà fisica. Nella prefazione all’antologia Andrew Dana Hudson spiega che il ruolo del solarpunk è far sentire alle persone “la vitalità del progresso, non solo l’ansioso capogiro della centrifuga capitalistica”.
Tecnologie che imitano la natura
Tra i racconti si distingue Il ragno e le stella di D.K. Mok, che riesce a coniugare l’assoluto rispetto per la biodiversità con le istanze di una ingegneria genetica di vitale importanza per garantire la sopravvivenza dell’umanità in un contesto di risorse naturali non infinite. Del, la ragazza che voleva “portare i ragni nello spazio per salvare il pianeta”, è il perfetto testimone dei patti raggiunti con l’infinitamente piccolo al fine di garantirsi la sopravvivenza e di poter andare anche oltre: a guardare le stelle e viaggiare verso l’infinitamente grande.
“Nella vertiginosa vastità dello spazio, la stazione era sospesa sul vuoto punteggiato di stelle. Assomigliava a una complessa molecola, con grossi noduli di vetro interconnessi tramite passerelle semirigide. La superficie si increspava di squame fotovoltaiche, tutte sollevate per assorbire il sole in transito. Nella penombra dello spazio, sembrava quasi un serpente assopito, rannicchiato in nodi celtici. Un polpo robot color rame schizzò via con grazia, portandosi dietro in una rete il suo bottino di detriti spaziali”.
Nel saggio di Francesco Verso posto in chiusura, viene messo in evidenza il danno che può fare all’immaginazione il capitalismo come pensiero unico, specie nelle sue più rischiose declinazioni tecnocratiche.
“Ciò che è possibile diventa ciò che è computabile. Ciò che è difficile quantificare o complicato da modellare, tutto ciò che non è mai stato visto prima o che non può essere localizzato all’interno di uno schema prestabilito, ciò che è incerto e ambiguo, viene escluso dal reame dei futuri possibili. La computazione proietta un futuro identico al passato”.
Verso tira poi le somme del confronto tra le prospettive cyberpunk e solarpunk: la prima “racconta di un presente futuribile già (cinicamente) realizzato in cui non ci piace vivere”; la seconda “prefigura scenari in cui (pragmaticamente) potrebbe piacerci vivere, a patto di rimboccarci le maniche”.
- Isaac Asimov, Fondazione e Terra, Mondadori, Milano, 1994.
- James Lovelock, Gaia, Bollati Boringhieri, Torino, 2011.
- James Cameron, Avatar, 20th Century Fox – Disney, 2012 (home video).
- Robert Kirkman, Frank Darabont, The Walking Dead, Fox, 2019 (home video).
- Hayao Miyazaki, Principessa Mononoke, Lucky Red, 2014 (home video).
- George Romero, Zombi – Dawn Of The Dead, Mondo Home Entertainment, 2010 (home video).