Quando il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, allora guidato da Maria Stella Gelmini, fece uscire il tristemente celebre comunicato stampa sui presunti neutrini superluminali scoperti dall’esperimento Opera nei Laboratori nazionali del Gran Sasso, tutta l’attenzione si concentrò sull’incredibile gaffe sulla presunta esistenza di un tunnel di centinaia di chilometri in grado di collegare il Gran Sasso al Cern di Ginevra. Ma c’era un’altra frase, poco prima di quella del tunnel, che avrebbe provocato più di un’alzata di sopracciglia tra gli scienziati se non si fossero trovati alle prese con uno svarione di ben altra portata; il Ministero esultava infatti per il successo nel lungo sforzo della comunità scientifica di oltrepassare la velocità della luce. Ora, che i fisici di tutto il mondo siano impegnati a superare la velocità della luce non risulta a nessuno, se non forse a un Ministero dove l’allora addetto stampa doveva avere le idee un po’ confuse sulla distinzione tra scienza e fantascienza. Ma per la verità, il poveretto era in buona compagnia.
Viaggio nel tempo e viaggi della fantasia
Qualche giorno fa si è diffusa nell’etere la notizia che, all’Università di Napoli Federico II, sarebbe stato realizzato il “primo prototipo di uno wormhole, per i viaggi nel tempo”: così titolava, con tanto di articolo indeterminativo stonato e virgola fuori posto, il lancio dell’agenzia Ansa che, come spesso capita, ha dato il “la” ai giornalisti delle redazioni di tutta Italia. Qualcuno si sarà andato a leggere cos’è un “wormhole”, qualcun altro probabilmente già lo sapeva, specialmente se di recente ha avuto modo di vedere Interstellar (2014), dove un wormhole è alla base della storia raccontata nel film. Pochi dubbi: un wormhole è un cunicolo spazio-temporale previsto in linea teorica dalla relatività generale e che, sempre in linea teorica, potrebbe, se percorso, consentire di mettere in comunicazione due punti distanti dello spazio e quindi anche del tempo. Il Foglio ha pertanto titolato: “Una Stargate made in Italy”, ricordando il celebre film del 1994 di Roland Emmerich in cui un manufatto dell’Antico Egitto ritrovato dagli archeologi si rivela un passaggio per un’altra dimensione; il titolo scelto da Il Secolo XIX non lascia spazio a dubbi: “Viaggi nel tempo: è possibile”, proprio mentre in libreria tornano riedizioni e nuove traduzioni del classico di H.G. Wells La macchina del tempo. Ed è infatti quest’ultimo termine a ricorrere nei titoli di altri giornali: “Macchina del tempo sperimentata a Napoli”, scrive il Quotidiano Nazionale, e gli fa eco Il Corriere del Mezzogiorno con “Prototipo della macchina del tempo costruito da un fisico napoletano”.
Tuttavia, così come il team guidato da Antonio Ereditato nel 2011 non cercava di oltrepassare la velocità della luce, ma era impegnato in un ben più prosaico esperimento sull’oscillazione dei neutrini, proprietà fondamentale per determinarne la massa (un elemento-chiave della comprensione del nostro universo), analogamente l’équipe di Salvatore Capozziello non sembra avere alcun interesse a costruire macchine del tempo, stargate o wormhole per consentire all’umanità di colonizzare nuovi mondi. Non che l’esperimento non sia di enorme interesse: ma per capirlo bisogna comprendere la ricerca dell’elusiva materia oscura, le teorie alternative studiate, tra gli altri, dai fisici della Federico II che provano a spiegarla modificando l’intensità della forza gravitazionale su grande scala, e le proprietà del grafene, il materiale delle meraviglie su cui si concentra da qualche anno l’attenzione della comunità scientifica. Il “wormhole” dei fisici napoletani è una sorta di micro-cunicolo che lega insieme due strati di grafene, promettendo da un lato inaspettati risvolti industriali nella trasmissione dell’energia, e dall’altro dimostrando che le teorie di gravità modificata per spiegare la materia oscura (un settore snobbato dal mainstream) sembrano in grado di descrivere bene la realtà in cui viviamo.
E insomma, da dov’è uscita la macchina del tempo? Dallo stesso inconscio collettivo da cui sono usciti i neutrini più veloci della luce, poi rivelatisi un abbaglio: dal nostro bagaglio culturale che mescola Star Trek e velocità warp, iperspazio, 2001 Odissea nello Spazio e tutto quel filone dell’immaginario di massa che è ormai parte del nostro Dna. In ogni nuova scoperta della fisica e della cosmologia, le scienze più immaginifiche e più prossime al confine con la fantascienza e il misterioso, speriamo di scorgere il segnale di qualcosa di radicalmente nuovo destinato a cambiare la Storia. Il bosone di Higgs non è la “particella di Dio” in grado di spiegare perché l’universo esiste, ma nondimeno è stata una scoperta determinante per definire la nostra comprensione della realtà: per capirne la ragione, tuttavia, bisogna spenderci dietro un po’ di tempo, più di quello che hanno i giornalisti o i lettori frettolosi che trovano le loro notizie su Facebook.
Segnali da altre dimensioni
È un problema che non riguarda solo i “profani”. Antonio Ereditato non sarebbe caduto nel terribile abbaglio dei neutrini, con cui ha rischiato di giocarsi la carriera, se non fosse per la predilezione umana che ci porta a selezionare, tra tutte le possibili spiegazioni, quella più incredibile: piuttosto che andare a controllare con scrupolo maniacale la strumentazione (di un errore di strumentazione, in effetti, si trattò), scelse di conquistare le prime pagine dei giornali di tutto in mondo con l’annuncio di una scoperta in grado di riscrivere i libri di fisica e rendere l’ipotesi fantascientifica dei viaggi “più veloci della luce” un po’ più reale. Questa debolezza che non ci aspettiamo dagli scienziati (perché anche gli scienziati governati da logica fredda e impeccabile sono il prodotto del nostro immaginario collettivo) sta invece diventando un’abitudine, perlomeno in certi ambiti. Lo scorso anno nella comunità dei fisici delle particelle c’è stata grande eccitazione intorno a un’anomalia statistica nelle collisioni prodotte all’acceleratore Lhc del Cern di Ginevra. La Rete fu inondata di paper di fisici impegnati a dimostrare che quell’anomalia poteva essere spiegata ipotizzando l’esistenza di una nuova particella sconosciuta, che avrebbe permesso di gettare uno sguardo oltre il Modello Standard della fisica delle particelle, il paradigma dominante coronato nel 2012 dalla scoperta del bosone di Higgs. Il problema del Modello Standard è che è standard, e per questo non emoziona più. I fisici teorici più giovani non vedono l’ora di gettarsi in ogni sua piccola crepa per dimostrare che dopotutto esiste qualcos’altro.
Agli inizi di marzo un articolo pubblicato su Astrophisical Journal Letters a firma di Avi Loeb dell’Harvard-Smithsonian Centre for Astrophysics proponeva una spiegazione per i misteriosissimi lampi radio scoperti dieci anni fa, noti nella comunità internazionale con l’acronimo FRB (da fast radio burst): questi lampi, che provengono da molto lontano e durano pochi millisecondi, rilasciano una quantità di energia enorme. Finora tutte le possibili spiegazioni prese in esame riguardano fenomeni ancora poco conosciuti, generati da oggetti come quasar, pulsar, stelle di neutroni, buchi neri e altri oggetti stellari ugualmente esotici. Loeb ipotizza invece che possa trattarsi di segnali generati da un laser di dimensioni planetarie costruito da civiltà extraterrestri tecnologicamente molto evolute per la propulsione di astronavi in grado di viaggiare nell’universo a velocità prossime a quelle della luce. L’idea di usare veicoli a vela solare spinti dalla propulsione di un laser è piuttosto recente ma molto seducente: l’iniziativa Breakthrough Starshot lanciata nel 2016 dal magnate russo Yuri Milner con l’astrofisico Stephen Hawking e il CEO di Facebook Mark Zuckerberg intende sfruttare proprio questa tecnologia per inviare nel vicino sistema stellare di Alpha Centauri una flotta di microsatelliti a vela che, spinti da un laser dalla Terra, potrebbero sfiorare una velocità pari a un quinto della velocità della luce, così da raggiungere i più vicini esopianeti in appena vent’anni. Loeb si è chiesto allora se una simile tecnologia, più avanzata, non sia impiegata comunemente dagli alieni per i loro spostamenti: laser enormemente potenti, generati da oggetti della grandezza di un pianeta, potrebbero sospingere flotte immense negli abissi siderali.
Il caso dei soliti noti extraterrestri
Non è nemmeno la prima volta che per spiegare un fenomeno astrofisico misterioso si tirano in ballo gli extraterrestri. Se n’era già parlato all’epoca della scoperta delle pulsar, per la periodicità dei loro impulsi, tanto che i primi segnali furono ribattezzati LGM, acronimo di little green men, “omini verdi”. Poi se n’è riparlato con la scoperta dei lampi gamma, e di nuovo più recentemente quando sono stati scoperti i misteriosi e ancora oggi inspiegabili bruschi cali di luminosità della stella KIC8462852 (“Tabby’s star” per gli amici), secondo alcuni compatibili con l’ipotesi che la stella sia circondata da una sfera di Dyson, un enorme oggetto artificiale in grado di sfruttare l’energia emessa dalla stella per le esigenze di una civiltà extraterrestre estremamente avanzata ed energivora. Secondo la scala di Kardashev, elaborata negli anni Sessanta da un astrofisico russo, una simile tecnologia corrisponderebbe a una civiltà di Tipo II (o K2), in grado di sfruttare le risorse di un intero sistema stellare. Potrebbero però esistere civiltà di Tipo III (o K3) capaci di sfruttare l’energia di un’intera galassia, e persino di Tipo IV (K4) in grado di intervenire su scala cosmica. Kardashev non si era spinto fino a questo livello, ma l’astrofisico Caleb Scharf ha suggerito che una civiltà avanzata possa manipolare la materia per produrre quell’elusiva materia oscura di cui abbiamo accennato all’inizio, e che sembra essere sei volte più diffusa della materia ordinaria: poiché la materia oscura non interagisce con la forza elettromagnetica, una civiltà “oscura” resterebbe immune dagli sconvolgimenti che mettono a repentaglio l’esistenza della vita su pianeti di materia ordinaria, come i brillamenti solari, l’esplosione di supernove vicine, lampi gamma ben orientati.
Insomma, non dovremmo stupirci del fatto che basti pronunciare la parola “wormhole” per far volare la fantasia. Anche gli scienziati più attratti dalle idee speculative si fanno trascinare dalla fascinazione della fantascienza. E cos’è la stessa fantascienza, dopotutto, se non un tentativo di aggiornare i vecchi miti nell’epoca del disincanto del progresso tecnologico? Cosa sono le civiltà extraterrestri, se non la versione aggiornata di quegli dei invisibili la cui esistenza dava conto, nell’antichità, di tutti i fenomeni naturali inspiegabili? Il dio Pan non è morto, ha solo lasciato i boschi della Terra per trasferirsi tra le stelle.
- Roland Emmerich, Stargate, Universal Pictures, 2009 (home video).
- Christopher Nolan, Interstellar, Warner Home Video, 2014 (home video).