Tra gli anni Venti e i Quaranta del Novecento, sulle sponde del Río de la Plata, la letteratura ha conosciuto un momento non trascurabile in cui hanno visto la luce prodotti d’ingegno e di prosa ancor oggi memorabili. Ne siano esempio riviste come Sur e La Proa, fondate proprio in quegli anni dalle menti avanguardiste di Victoria Ocampo e Jorge Luis Borges (proa in italiano è infatti prua, la parte dello scafo che per prima solca le acque e vede la terra); oppure opere narrative come il dittico di romanzi I sette pazzi e I lanciafiamme di Roberto Arlt; ancora gli esordi dell’uruguaiano Juan Carlos Onetti; o infine la narrativa breve e fantastica del già citato Borges e di Horacio Quiroga (che mettiamo nello stesso punto dell’elenco nonostante il severo giudizio che il primo aveva del secondo).
Tra tutti questi nomi, ve n’è anche un altro da citare doverosamente: si tratta di Adolfo Bioy Casares, romanziere e cuentista sopraffino che spesso, se non sempre (qui non si fa eccezione), viene ricordato per aver messo la sua firma accanto a quella ingombrante di Borges sulla copertina di libri formidabili: si pensi per esempio a Sei problemi per don Isidro Parodi, sestetto di racconti assai ironici in cui leggiamo di un carcerato intento a risolvere casi polizieschi dall’angustia della cella; e a Libro del cielo e dell’inferno, antologia in cui sono raccolte oltre centotrentacinque versioni dell’Aldilà scritte e pensate nella storia. Va però detto che, oltre alla fertile collaborazione con Borges, la penna di Bioy Casares ha dato alla luce opere da più parti considerate eccellenti, prima tra tutte L’invenzione di Morel, romanzo pubblicato originariamente nel 1940 e di recente riportato in Italia da Sur nella nuova e ottima traduzione di Francesca Lazzarato (che firma anche una puntuale postfazione), dopo quella a opera di Livio Bacchi Wilcock uscita per Bompiani negli anni Sessanta.
L’invenzione di Morel, come ovunque si legge, è infatti un romanzo che lo stesso Borges e Octavio Paz non hanno esitato a definire perfetto, forte di un equilibrio tematico e di trama che dovrebbe fare scuola. Nelle pagine de L’invenzione, Bioy Casares è in effetti riuscito dar vita a una perfetta macchina romanzesca in quanto a struttura narrativa e a coinvolgimento crescente del lettore, innestandovi però tra le righe un gioco letterario che, riutilizzando tra temi tipici del Novecento un grande tema caro alla letteratura anteriore, riesce a porsi come una narrativa squisitamente situata nel suo tempo, e con questo torniamo a quanto si diceva circa il Rìo de la Plata.
Si segua in questo senso la trama: un uomo condannato all’ergastolo fugge dal consorzio umano recandosi su un’isola deserta. Lì, immerso in una geografia palustre e inospitale, vedrà comparire a poco a poco delle strane figure umane, dapprima minacciose e poi evanescenti, ripetitive nelle loro azioni, che all’inizio crederà vive e vegete, salvo poi accorgersi della loro vera natura. Quelle persone infatti non sono corpi concreti, bensì simulacri generati da una macchina diabolica: una sorta di proiettore di immagini parlanti e tridimensionali per ambienti estesissimi. Lo scopo della macchina, come si scoprirà, è tramandare per sempre l’onnipotenza del suo inventore: Morel, uomo che ha desiderato vivere l’eternità con i suoi amici più cari.
L’isola così diventa lo schermo di un immenso cinema senza tempo: le conquiste della tecnica rendono possibile la riproduzione infinita di alcune scene della vita di Morel e dei suoi cari, ripetendone forse anche la coscienza. Ma la macchina, scopriremo, è uno strumento terribile. Ecco dunque i temi cui si faceva riferimento: la colpa, la fuga, la solitudine, l’allucinazione, l’impatto della tecnologia sulle dinamiche della vita umana e sulla rappresentazione dell’uomo. Grazie al susseguirsi di questi temi, peraltro presentati al lettore nella sequenza con cui li abbiamo descritti, L’invenzione di Morel testimonia l’intenzione di porsi anche come una riflessione speculativa sulla sua contemporaneità. È in questo senso che tutti i temi succitati prevaricano l’espediente romantico che muove nelle pagine l’agire del personaggio che dà il titolo al romanzo: la ricerca dell’eternità, dell’immortalità.
D’altronde, che L’invenzione di Morel sia un caposaldo della letteratura novecentesca lo dimostra anche la serie di rimandi che è possibile trovare in diverse opere della produzione culturale, più o meno popolare, successiva: il libro, infatti, o solo alcune sue parti, lo ritroviamo nella cinematografia (il film di Emidio Greco del 1974, ma anche e prima L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais, 1961), nella produzione seriale per la tv (Lost, 2004-2010), ma anche nel fumetto (si pensi a The League of Extraordinary Gentlemen di Alan Moore, 1999), a testimonianza di quella perfezione che Borges e Paz, commentatori entusiasti di Adolfo Bioy Casares, garantiscono ai lettori.
- Roberto Arlt, I sette pazzi, Sur, Roma, 2012.
- Roberto Arlt, I lanciafiamme, Sur, Roma, 2015.
- Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Libro del cielo e dell’inferno, Adelphi, Milano, 2011.
- Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Sei problemi per don Isidro Parodi, Adelphi, Milano, 2012.