Il tunnel sotto il mondo (The Tunnel Under the World, 1955) di Frederik Pohl
In Le grandi storie della fantascienza n. 17, prima apparizione su Galaxy Science Fiction gennaio 1955. La paranoia tutta americana dei complotti orchestrati a danno del cittadino medio vanta un’ampia casistica nel campo della fiction. Indubbiamente la fantascienza vi ha giocato il ruolo principale: basterà ricordare a mo’ di esempio Tempo fuor di sesto (1959) di Philip Dick, dove le autorità terrestri costruiscono intorno al protagonista una cittadina americana degli anni ’50 in piena fine del XX secolo; il suo emulo cinematografico The Truman Show (1998); il precedente Capricorn One (1978); il serial cult degli anni ’60 Il Prigioniero da cui traggono più di un’ispirazione anche i film Cube (1997) e Matrix (1999). Il comune denominatore di tutte queste opere sta nel tema dell’ignaro cittadino che si trova a vivere in una realtà fittizia, creata ad arte intorno a lui per sordidi scopi. Il tunnel sotto il mondo di Frederik Pohl è quasi certamente l’illustre precursore di tutte queste storie. “La mattina del 15 giugno, Guy Burckhardt si svegliò gridando da un sogno”; è un sogno dal quale il signor Burckhardt non si sveglierà mai. Quel giorno egli comincia a osservare stranezze inspiegabili: il suo capoufficio, diversamente dal solito, non si trova a lavoro; un uomo che a malapena conosce lo ferma per strada, lo scruta speranzoso e poi se ne va deluso per la sua via; per strada e nei negozi si pubblicizzano in forme sempre più chiassose le marche più strampalate. E il giorno dopo, anche se il signor Burckhardt non se ne rende inizialmente conto, è di nuovo il 15 giugno. È sempre il 15 giugno, ma con forme diverse: ogni giorno c’è una trovata pubblicitaria nuova e più sconcertante, dalle urla dei megafoni alle sei del mattino che pubblicizzano il frigorifero Feckle ai tabaccai che gli offrono marche nuove di sigarette gratis a scopo promozionale. Quando per caso il signor Burckhardt scopre che il pavimento della sua cantina, sotto le travi di legno, è di acciaio, che il suo modellino di veliero pur completo all’apparenza è in realtà al suo interno totalmente sgangherato senza che lui l’abbia mai toccato, comincia ad avere atroci sospetti che presto si trasformano in un’orribile certezza: la sua città è solo un laboratorio sperimentale per agenzie pubblicitarie, che osservano lui e i suoi concittadini per capire come varia il mercato al variare degli stimoli pubblicitari. Il tunnel sotto il mondo ha una costruzione “a scatole cinesi”, nel senso che dopo ogni verità incredibile ne salta fuori una ancora più strana, fino alla rivelazione conclusiva sulla vera natura della cittadina del signor Burckhardt, un modellino costruito sul piano di un tavolo. La realtà fittizia che costituisce il tessuto del racconto assume così un contorno ancora più mostruoso, quello di un mondo del tutto identico a un plastico in scala. Ne esce scombussolata l’intera nostra percezione di esseri umani, ridotti alla stregua di omini della Lego nelle mani di potenti demiurghi che sono in realtà altri esseri umani. La cittadina del signor Burckhardt è il modello dell’omologazione, dell’appiattimento delle peculiarità individuali portato avanti dai grandi poteri che tramano alle nostre spalle. Gli individui che la compongono sono solo robot, esseri artificiali, di cui quello che conta è solo il feedback agli impulsi del mercato. Le cose, in questo mondo fittizio, sono perfette solo esteriormente, come il modellino di veliero del protagonista il cui scafo è perfettamente ricostruito ma dove dentro, invece, “là dove avrebbero dovuto esserci i sedili, le traverse e i ripostigli, c’era soltanto un mucchio di pezzi allo stato grezzo, non finiti”. La vuota esteriorità è l’unica cosa che resta a tutte le cavie di questo grande esperimento; in realtà esse non sono altro che ottime imitazioni. Oggi come allora, l’idea che i grandi interessi si coalizzino per trasformare l’individuo in utente, in semplice consumatore, non è poi tanto fantascientifica. Tanto più che il tema dell’acquirente privo di libertà che Dick sviluppa quello stesso anno nel racconto Mercato prigioniero e che lo stesso Pohl insieme a Cyril Kornbluth aveva già esplorato nel ’53 con I mercanti dello spazio, è qui chiaramente usato per metterci in guardia dalla propaganda socio-politica che ci bombarda quotidianamente. “Ma tu sai chi ha un frigorifero Ajax? Gli omosessuali hanno Frigoriferi Ajax! E sai chi ha un Frigorifero Triplecold? I comunisti…”, urla il megafono di una ditta pubblicitaria; il potere persuasivo della pubblicità nella nostra vita di tutti i giorni ci porta, al termine della lettura, a chiederci con un po’ di ansia se ci è consesso ancora un libero arbitrio. Frederik Pohl (1919), uno dei principali scrittori dell’Età d’Oro della fantascienza americana, è noto soprattutto per i suoi brillanti racconti. Tra i principali romanzi citiamo: I mercanti dello spazio (1953, con Kornbluth), la serie Le scogliere dello spazio (1964-1969, con Jack Williamson) e La porta dell’infinito (1976, vincitore dei premi Hugo e Nebula). Pohl è stato anche un importane editore di fantascienza dirigendo dal 1959 al ’69 la rivista Galaxy SF.
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