Quelli che si allontanano da Omelas (The Ones Who Walk Away from Omelas, 1973) di Ursula K Le Guin
La prosa della Le Guin spesso trascende nella poesia, e questo breve ma intensissimo racconto che sintetizza l’intera sua produzione è quasi tutta poesia. Quelli che si allontanano da Omelas è una sorta di parabola evangelica, un inno alla libertà che anticipa di un solo anno il suo più lungo e complesso capolavoro, I reietti dell’altro pianeta, che altro non fa se non ampliare il tema di fondo di questa storia. Nella città di Omelas è giunta la Festa dell’Estate, il momento culminante dell’anno di questo paese felice, abitato da una popolazione forte, bella, indomita, perfetta. Il popolo di Omelas vive in una gioia perenne, governato rettamente senza avere governanti, unito nella fede pur senza avere una religione, inebriato dall’amore libero pur senza incrinare la propria salda morale. Tutto il popolo di Omelas è felice, eccetto una sola persona, un bambino. È un bambino ritardato, rinchiuso un una stanza buia senza finestre nei sotterranei di un grande palazzo. Questo bambino, che si nutre solo di un po’ di farina e di acqua e dorme sulle proprie feci, è l’incarnazione dell’infelicità come i suoi concittadini alla luce del sole sono invece l’incarnazione della gioia. Tutti, ad Omelas, sanno dell’esistenza e delle disumane condizioni in cui versa questo bambino, e tutti prima o poi sono andati a vederlo tornando nelle proprie case angosciati e distrutti. Tutti, però, sanno che se a quel bambino fosse consentita un po’ di felicità, la città di Omelas e i suoi abitanti non godrebbero più di quella gioia e di quella pace di cui sono inebriati. “Queste sono le condizioni. Scambiare tutto il bene e la grazia di ogni vita di Omelas per quel piccolo, unico miglioramento: gettare via la felicità di migliaia di persone per la possibilità di renderne felice una sola”. Per questo, gli abitanti di Omelas permettono che l’abominio si perpetui. Eppure, ogni tanto qualche giovane che si reca a visitare il fanciullo non torna a casa propria, non torna alla propria vita privilegiata ma se ne va via, si allontana silenziosamente nei campi, via, lontano da Omelas. L’elemento fantascientifico del racconto della Le Guin sta nella creazione di un mondo utopico, impossibile da realizzare sulla Terra. Di questa splendida Utopia ella mostra però il suo lato negativo, la sua ambiguità, l’atrocità che la rende possibile. L’utopia e la distopia si confondo così in maniera inestricabile, come anche nel suo I reietti dell’altro pianeta. Ad un certo punto del racconto la Le Guin parla della “banalità del male”: un chiaro riferimento ad Hannah Arendt e al suo lavoro sulle atrocità naziste, sul silenzio complice della società tedesca. Perché Quelli che si allontanano da Omelas è proprio una parabola che mette in scena la vicenda atroce dell’Olocausto e di tutte quelle vicende che anche oggi, sulla falsariga di quell’abominio, continuano. Omelas è la società perfetta che l’uomo ha sempre sognato, la società ideale che vive nella gioia e nella spensieratezza. Ma a quale condizione è possibile raggiungere la perfezione assoluta? A condizione che anche la più piccola macchia di un quadro altrimenti perfetto vada cancellata, rimossa, con la forza se necessario. La Germania nazista concesse ai suoi cittadini, eletti esemplari di una “razza superiore”, l’ideale di una società perfetta a condizione che le altre razze giacessero sotto le loro stesse rovine, schiacciate e tenute in schiavitù. Ad Omelas la società ideale è possibile a condizione che una sola persona sia tenuta nella perenne infelicità. Ma quello che la Le Guin vuol sottolineare è che non fa differenza se la perfezione è raggiunta col sacrificio di uno o di molti. Anche se un milione di persone possono essere felici a condizione che una sola non lo sia, anche se quella sola persona è un bambino ritardato, rimbecillito, mentalmente minorato, insignificante, non importa: sarà sempre un Olocausto. E la vera libertà è quella di poter dire no all’abominio, di poter rinunciare alla felicità e allontanarsi da Omelas per non diventare complici di tutto ciò: la libertà che era concessa ai tedeschi e che molti di loro rifiutarono, pur sapendo che per la loro felicità milioni di persone pagavano un prezzo altissimo. Il sociologo Zygmunt Bauman, nel suo Modernità e olocausto (1992), sosterrà quello che attraverso una parabola la Le Guin ha sottolineato in questo racconto: che il desiderio moderno e per questo sempre presente di un mondo migliore e perfetto, anche a costo di sacrificare qualche individuo (ieri un ebreo, oggi un immigrato) è l’anticamera di un nuovo totalitarismo. Ursula Kroeber Le Guin (1929), figlia dello storico antropologo Alfred Kroeber, è stata una delle primi donne a scrivere di fantascienza assurgendo all’apice della notorietà con La mano sinistra delle tenebre (1969) e I reietti dell’altro pianeta (1974). La sua produzione ha messo al centro della fantascienza i temi del conflitto sociale, culturale, sessuale. Ha vinto quattro premi Hugo.
|