BUSSOLE | QDAT 63 | 2016
VISIONI / LA VIACCIA
di Mauro Bolognini / CG Entertainment, 2016
I turbamenti del giovane Ghigo
di Andrea Sanseverino
“Sentimi bene, Ghigo, invece di guardare il celo, tu non ce le hai, le ali!”, è il rimprovero del severo genitore che tenta di spiegare le sorti riguardo all’eredità di un podere al proprio figlio, distratto da altri pensieri. Quel padre è Stefano Casamonti e Ghigo, ossia Amerigo, è il più capace e, allo stesso tempo, il più ribelle dei suoi figli, mentre quel podere è la Viaccia, nome che dà il titolo al celebre film di Mauro Bolognini. La pellicola esce nel 1961, insieme a un altro film che narra, a suo modo, di umane miserie e che segna l’esordio dietro la macchina da presa di Pier Paolo Pasolini. Non è un caso, dal momento che, secondo alcune fonti, fu Bolognini a insistere affinché il produttore Alfredo Bini, artefice di un’ambiziosa coproduzione con la Francia per realizzare La viaccia, finanziasse anche Accattone. L’aneddoto dà un’idea di quanto il regista pistoiese fosse tenuto in gran considerazione da uno più coraggiosi produttori italiani e quanto Bini tenesse al progetto de La viaccia, un soggetto tratto da L’eredità, romanzo scritto da Mario Pratesi, le cui pagine avevano destato l’attenzione del costumista e scenografo Piero Tosi, amico e compagno di studi di Bolognini: i due avevano frequentato il corso di Architettura dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze, insieme a Franco Zeffirelli. Con quest’ultimo, poi, avevano cercato fortuna, trovandola, nella capitale nell’immediato secondo dopoguerra (cfr. Bocchi, Pezzotta, 2008). Già fido collaboratore dei lavori di Luchino Visconti, Tosi andava da tempo proponendo agli addetti ai lavori l’opera di Pratesi, letta nell’edizione curata da Vasco Pratolini, il quale figura tra gli sceneggiatori, con Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e lo stesso regista. Il lavoro di scrittura che consegue a tale collaborazione evidenzia distanze di un certo rilievo rispetto al libro: se la vicenda narrata da Pratesi è collocata nei primi decenni dell’Ottocento in un podere nel senese e nella stessa Siena, e dunque nell’allora Granducato di Toscana, le vicissitudini de La viaccia si svolgono alla fine del XIX secolo, tra un pezzo di terra nel fiorentino e Firenze, e quindi nell’Italia più unificata che unita sotto i Savoia, ma quando, nel 1885, la città d’arte aveva già perduto il suo ruolo di capitale del Regno. Rispetto all’Eredità, inoltre, e soprattutto, diventa centrale nel film la relazione fra Amerigo e Bianca (Zaira nel romanzo), la donna che lavora in una maison close e il cui incontro segnerà il protagonista per sempre (cfr. Bianchi, 1978).
Per Bolognini si tratta di un ritorno, per così dire, al bordello, dopo il divertente Arrangiatevi! con Totò e Peppino De Filippo, “uno dei primi film post legge Merlin, ed [era] piuttosto radicale, per l’epoca, nell’alludere ai costumi sessuali dell’italiano medio. Rappresentare i bersaglieri di leva che non vedono l'ora di andare al casino, e padri di famiglia che confessano passate frequentazioni, era abbastanza per infastidire un’Italietta democristiana, che «tollerava» purché si facesse tutto di nascosto. Invece Bolognini [apriva] la casa chiusa e [invitava] gli italiani a maturare e arrangiarsi” (Bocchi, Pezzotta, 2008).
Se il lavoro di ricostruzione storica, sostenuto dall’estro di Tosi e dello scenografo Flavio Mogherini, ha una considerevole importanza nella pellicola, a esaltare la stessa contribuisce la straordinaria bravura degli attori che danno anima e corpo a personaggi di spessore, a cominciare dal protagonista: Amerigo ha il volto di Jean-Paul Belmondo, che assurge a vera icona di quella giovinezza che nel cinema di Bolognini è, allo stesso tempo, un dono della natura e un valore da preservare (cfr. Bianchi, 1978). Accanto al personaggio di Ghigo, spiccano senza dubbio due figure di grande rilievo narrativo. Il primo è il padre di Amerigo, l’intransigente Stefano, un Pietro Germi che pare radicalizzare gli atteggiamenti del genitore interpretato ne Il ferroviere, da lui stesso diretto nel 1956: ne La viaccia, alla morte del vecchio Casamonti, Stefano è da questi designato a diventare l’unico proprietario del podere, ma, per una complessa faccenda legale, è costretto a obbedire al maggiore dei suoi fratelli, che si rivela a sua volta un fratello padrone di un padre padrone. Il secondo è Bianca, che nella pellicola di Bolognini ha il volto fiero e selvaggio di Claudia Cardinale, la cui confessione sulla personale vicenda che l’ha condotta al bordello la fa somigliare a un’eroina eduardiana, ricordando le performance di Titina in Filumena Marturano e Sophia Loren in Matrimonio all’italiana al cinema e di Regina Bianchi sulle tavole del palcoscenico. Un piccolo ruolo è affidato a Romolo Valli che veste i panni di Dante, un anarchico che con la sua presenza è testimone sia di un certo fervore politico di quei tempi, sia di un’alternativa per risolvere insanabili dissidi interiori alla quale, però, Amerigo, anche se attratto, non pare credere fino in fondo. Il giovane incrocia il proprio destino mettendo piede in un postribolo dove insieme al piacere trova anche l’amore, quello di Bianca, ricambiato dalla donna, e se si tiene conto del richiamo esercitato dalla politica fuorilegge, La viaccia, in un gioco di richiami cinematografici, precorre quel Film d’amore e d’anarchia, ovvero una delle migliori interpretazioni dei suoi due protagonisti, Mariangela Melato e Giancarlo Giannini. Per quanto riguarda i contenuti del film di Bolognini, l’acquisizione e la difesa della terra erano tra le brame più accese nell’Italia ottocentesca, così come assai sentiti erano i relativi problemi riguardo la sua trasmissione ai posteri: dal nord al sud della penisola, dall’Italia pre-unitaria a quella sotto il dominio delle leggi sabaude, la proprietà terriera diventava un argomento centrale anche nella letteratura, basti dare un’occhiata non solo alle righe di Pratesi ma anche, ad esempio, a quelle de I Viceré di Federico De Roberto. Per quanto riguarda La viaccia, tuttavia, le cose stanno diversamente, stando al giudizio dato in quegli anni da un noto critico: “Il tema dell’eredità e l’attaccamento tutto verghiano alla «roba» rimangono, tutto sommato, sullo sfondo; non arrivano a costituire il nucleo essenziale del film, che poteva essere il dramma della sconfitta dei sentimenti causata dalla grettezza contadina, dalla instabilità dell’«inurbamento», dal conflitto – riflesso nell’animo dei personaggi – tra la campagna e la città” (Casiraghi, 1961). Nel film assurge a protagonista l’inquietudine di Amerigo che pur di sottrarsi ai progetti paterni, meno nobili perfino del mestiere esercitato da Bianca (tra l’altro legale a quei tempi), lo inducono anche a ipotizzare un’eventuale vita da giocatore di football, alludendo al coriaceo calcio storico fiorentino, anticipando le aspirazioni di molti ragazzi dei secoli a venire. Sia L’eredità che La viaccia narrano di un tempo lontano, così come distanti appaiono i contesti familiari e paesaggistici in cui il giovane Amerigo va alimentando il proprio desiderio di fuga: il personaggio di Belmondo è una delle tante figure che hanno ben nutrito la narrativa prima e il cinema poi del nostro paese, ricordando fra le tante le opere della settima arte quell’Adriana (Stefania Sandrelli) di Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965), che dalla provincia di Pistoia, città natale di Bolognini, s’allontana dai campi verso un incerto futuro. La Viaccia accentua la distanza tra la voglia di vivere del suo protagonista e una realtà frustrante e meschina anche attraverso un continuo emergere del tema della morte. Il riferimento a quest’ultima è costante, come nel romanzo. A tal proposito, la constatazione è indotta dalla lettura del primo titolo proposto dallo stesso Pratesi, che, in una lettera al filosofo Giacomo Barzellotti, aveva affermato: “Io ho finito una novella assai lunga in dodici capitoli intitolata Accanto al cimitero: finita quanto al concepimento dei caratteri, allo svolgersi del fatto; ma di là da venire ancora per lo stile, l’evidenza, la vita per tutto quello cioè che viene dalla libertà, da un po’ di gioia d’animo e serenità e fiducia” (Fatini, 1933). Del resto, sia l’inizio de L’eredità che de La viaccia propongono come esergo una poco fedele interpretazione di alcuni versi shakespeariani tratti da Il racconto d’inverno, quelli in cui, nella prima scena del secondo atto, alla richiesta di Ermione di ascoltare una novella, la più gaia che si possa concepire, il piccolo Mamilio replica: “C’era una volta un cimitero…”.
LETTURE
— Pietro Bianchi (a cura di), La viaccia, Cappelli, Bologna, 1978.
— Pier Maria Bocchi, Alberto Pezzotta, Mauro Bolognini, Il Castoro, Milano, 2008.
— Ugo Casiraghi, La viaccia, in Cinema Nuovo, n. 151, maggio – giugno 1961, La Scuola, Arzigliano (Belluno).
— Eduardo De Filippo, Filumena Marturano, Einaudi, Torino, 1997.
— Federico De Roberto, I Viceré, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2007.
— Giuseppe Fatini, Un romanziere amiatino, Mario Pratesi (Lettere a Giacomo Barzellotti), Annuario 1931-32 del Liceo Ginnasio Carducci Ricasoli. Grosseto, 1933.
— Mario Pratesi, L’eredità, Liguori, Napoli, 1990.
— William Shakespeare, Il racconto d’inverno, Feltrinelli, Milano, 2004.
— Giovanni Verga, Mastro don Gesualdo, Feltrinelli, Milano, 2014.
VISIONI
— Mauro Bolognini, Arrangiatevi!, CG Entertainment, 2013 (home video).
— Pier Paolo Pasolini, Accattone, Warner Home Video, 2013 (home video).
— Eduardo De Filippo, Filumena Marturano, 01 Distribution, 2009 (home video).
— Eduardo De Filippo, Le commedie di Eduardo – Filumena Marturano, Rai Cinema – 01 Distribuzion, 2005 (home video).
— Vittorio De Sica, Matrimonio all’italiana, CG Entertainment, 2008 (home video).
— Roberto Faenza, I Viceré, 01 Distribution, 2008 (home video).
— Pietro Germi, Il ferroviere, CG Entertainment, 2005 (home video).
— Antonio Pietrangeli, Io la conoscevo bene, Mustang Entertainment, 2014 (home video).
— Lina Wertmüller, Film d’amore e d’anarchia – Ovvero Stamattina alla 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…”, CG Entertainment, 2013 (home video).