BUSSOLE | QDAT 63 | 2016
VISIONI / VETERAN
di Ryoo Seung-wan / Blue Swan, 2016
Il peso storico dell'ingiustizia
di Fausto Vernazzani
Il cinema coreano crebbe e il pregiudizio lo seguì.
Anni dopo la fine del nuovo cinema coreano c’è
ancora chi indugia nel definire la produzione della penisola asiatica
come corrotta dalla vendetta, violenta come gli exploit delle opere
più famose di Park Chan-wook, Kim Ki-duk e Kim Ji-woon. Come
ogni filone di successo c’è sempre qualcosa che
sopravvive e l’appeal globale dei tre succitati registi
attrae esordienti verso produzioni destinate a emulare i loro maggiori
film, ma l’industria locale non ha conosciuto freni e a ogni
bivio si è sdoppiata. Il thriller, l’horror, il
dramma storico, persino generi come il kimchi western –
definizione data da Kim Ji-woon al suo omaggio a Sergio Leone, Il
buono il matto il cattivo – si sono affermati
incassando sempre più al botteghino coreano, superando senza
interruzioni le grandi produzioni degli Stati Uniti d’America
o della vicina Hong Kong, da cui molti sono stati influenzati, per
ovvie ragioni geografiche.
Gran parte del suo successo è da attribuirsi alla
libertà avuta dai registi sul finire degli anni Novanta,
quando il nuovo cinema coreano prese vita – definirla una
vera corrente cinematografica non sarebbe giusto come per la new
wave dell’era della democratizzazione. Da sempre
quella libertà ha segnato gli autori sud coreani e li ha
spinti a produrre film che guardassero all’esterno partendo
dagli elementi d’interesse per chiunque vivesse entro i
confini. Kang Je-gyu realizzò il primo blockbuster à
la coreana sfruttando lo stile statunitense, ma scegliendo la
sempiterna guerra fredda col Nord come sfondo principale, lo stesso
fece Park Chan-wook con JSA: Joint Security Area.
Tematiche di interesse nazionale hanno caratterizzato il cinema
contemporaneo della Sud Corea, trend proseguito fino ai giorni nostri
con per esempio film storici sulla colonizzazione del Giappone di primo
Novecento e lo scontro tra classi rappresentato dal conflitto tra
giustizia e corruzione.
Del secondo filone è uscito in Italia in dvd e blu-ray per
la Blue Swan l’ultimo film di uno dei più celebri
autori del cinema d’azione sud coreano, Ryoo Seung-wan, Veteran.
Seduto al terzo posto dei film più visti in Sud Corea
– il successo si calcola per biglietti staccati, non per
incassi, così come in Giappone – subito dietro il
kolossal di Kim Han-min L’impero e la gloria
e Ode to My Father di Yoon Je-kyoon, Veteran
rientra in pieno in quel genere che vede protagonista la
lotta del bene contro il male, tra intoccabili e implacabili come
recita il sottotitolo italiano che accompagna la pubblicazione.
La star Hwang Jung-min è Seo Do-cheol, scorbutico e violento
agente di polizia mal pagato sotto la guida del capitano e amico Oh,
veterani del mestiere, freschi di indagine conclusa grazie a cui un
traffico di automobili di lusso verso la Russia è stata
sgominato. Coincidenza vuole che subito dopo ci sia
l’incontro con Jo Tae-ho, rampollo di una potente chaebol
(impresa a conduzione familiare), la Sin Jin Motors, nonché
produttore esecutivo del drama Miss Detective per
cui Seo Do-cheol ha lavorato come consulente. Jo Tae-ho, lo stesso che
nasconde le circostanze dietro cui un amico di Seo avrebbe tentato il
suicidio all’interno della loro sede amministrativa. Unico
testimone è il figlio dell’ora comatosa vittima,
sufficiente a spingere Seo a indagare andando contro ogni consiglio.
Il supposto suicida interpretato da Jung Woong-in niente ha a che fare
con le auto spedite in Russia, né col drama televisivo,
altri non è che un camionista assunto da un appaltatore
spietato senza alcuna intenzione di pagare i propri dipendenti per il
lavoro svolto. Apparentemente all’inizio è una
sottotrama di secondaria importanza nella action comedy di Ryoo
Seung-wan, ma in breve tempo prende una svolta politica. I lavoratori
si affidano a un sindacato, quanto basta all’azienda madre,
la Sin Jin, a licenziare in massa gli addetti ai trasporti per ripicca,
un benservito privo di alcun compenso economico né
conseguenze legali di nessun genere. Il camionista non si arrende e
cerca di contattare Jo Tae-ho, un incontro che gli costerà
caro e su cui Seo indagherà, avendo forti sospetti su Jo sin
dal giorno in cui lo conobbe alla festa del drama Miss
Detective.
Il cinema politico in Sud Corea attecchì tempo addietro con
la new wave di fine anni Ottanta, di cui tra i
titoli di maggior successo critico figura Chil-su and Man-su
di Park Kwang-su. Protagonisti erano i due uomini indicati nel titolo,
poveri pittori di cartelloni pubblicitari, uno con in famiglia un
prigioniero politico della dittatura militare, l’altro
desideroso di una vita normale, irraggiungibile. Il finale è
rimasto negli annali: Chil-su e Man-su, in cima a uno dei cartelloni
sopra a un grattacielo di Seoul, stanchi delle ingiustizie subite, si
sfogano bonariamente urlando verso il basso i loro problemi per essere
dopo confusi con degli attivisti in protesta e trattati come tali con
tutti gli onori del caso: militari in attesa di arrestarli, infamie, la
paura della popolazione, morte.
Un dramma sulla distanza incolmabile tra la società e le sue
frange più povere, osservate con timore, inascoltate e
emarginate al primo segno di comportamenti inconsueti. Negli anni il
cinema politico si è evoluto in forme meno simboliche e
potenti di quelle adottate da Park Kwang-su nel 1988. Nel 1996 Jang
Sung-woo con A Petal raccontò in modo
diretto le conseguenze del massacro di Gwangju del 1980 in cui oltre
2.000 studenti persero la vita per la rappresaglia delle forze
dell’ordine guidate dal presidente Chun Doo-hwan, seconda
presenza militare a presidiare le alte cariche governative. Un film
come Veteran non citando esempi precisi nel
presente o nel passato, si rifà comunque alla storia della
sua nazione, le cui tragedie sono oscurate nei media internazionali
dalla ben più inquietante presenza della dittatura comunista
della “dinastia” Kim in Nord Corea.
Il Novecento della penisola è costellato di orrori: una
lunga e feroce occupazione da parte del Giappone, con conseguenti
crimini di guerra ancora non riconosciuti in ogni sua disgrazia, come
gli orrori subiti dalle “donne di conforto”,
ragazzine rapite per essere usate come prostitute dai soldati al
fronte. Immediatamente dopo la fine della guerra la Corea non ebbe il
tempo di godersi la liberazione che subito fu divisa in due zone di
influenza tra U.R.S.S. e Stati Uniti d’America, gli attriti
fra le quali sfociarono nella Guerra di Corea, una lotta tra fratelli
come hanno voluto sottolineare film quali The Taebaek
Mountains (1994) di Im Kwon-taek e Taegukgi: The
Brotherhood of War (2005) di Kang Je-gyu. Con la fine del
conflitto nel 1953 ci fu la separazione. Per la Nord Corea
iniziò una dittatura mai arrivata alla fine, per il Sud una
lunga serie di peripezie socio-politiche.
Povera e privata dell’area industrializzata ora sotto il
controllo di Pyongyang, la Sud Corea rimase occupata dalle forze
statunitensi e nel 1961, con l’approvazione americana, Park
Chung-hee salì al potere e instaurò una dittatura
militare conclusasi solo nel 1979 col suo assassinio. Seguì
a Park Chung-hee proprio Chun Doo-hwan e solo nel 1987 il processo di
democratizzazione del paese prese piede, iniziando a porre fine a uno
scontro tra classi durato la bellezza di ventisei anni, coronato da
stragi come quella del Gwangju.
La Corea del Sud è stato un paese vittima di enormi
conflitti interni, e non solo con la propria metà nel grigio
nord delle politiche di standardizzazione del “Grande
Leader” Kim Il-sung. Il sangue versato, i lividi e le
escoriazioni della popolazione ora emergono in una corrente che cerca
di mettere in risalto il dovere della giustizia.
Il presente a sua volta non è esente da aspre critiche,
esemplare il naufragio del Sewol nel 2014 in cui morirono oltre 200
persone tra cui decine di bambini. L’affondamento ebbe gravi
conseguenze politiche, svelò una trama di corruzione e
portò alle dimissioni del primo ministro Chung Hong-won. Lo
stesso dicasi delle controversie sulle scuse del Giappone sulle
“donne di conforto”, accettate dal governo sud
coreano senza mai interpellare le vittime sopravvissute sui termini
dell’accordo. Il risentimento popolare è emerso
nelle sale cinematografiche con immagini forti destinate a restaurare
un minimo di fiducia nel sistema giudiziario della Sud Corea, assumendo
come protagonisti personaggi appartenenti alle forze
dell’ordine, agenti di polizia o procuratori.
In Veteran, anche per continuare a tener fede al
tono da commedia e alla leggerezza richiesta, la contrapposizione
è rappresentata con due figure agli antipodi l’una
dall’altra: il lavoratore instancabile guidato da principi di
giustizia e solidarietà contro il giovanotto viziato, per
cui la vita delle persone altro non è che un giocattolo
nelle sue mani coperte di soldi. Ryo Seung-wan tende al didascalico con
sequenze di azioni in cui il carattere dei personaggi non fanno fatica
a rendersi tangibili. In particolare nell’inseguimento finale
tra Seo e Jo, l’uno con mezzi di fortuna della polizia di cui
fa parte, l’altro in una vera e propria folle corsa tra i
vicoli di Seoul con la sua auto di lusso, incurante dei numerosi pedoni
contro cui accelera in ripetute occasioni. Ancor peggio la festa, dove
per dimostrare il proprio potere Jo, senza incontrare resistenza si
getta con violenza contro due donne spalmando loro addosso qualunque
pietanza abbia davanti a sé sul tavolo.
All’azione pura con cui si era caratterizzato col blockbuster
precedente, il film di spionaggio The Berlin File (2013),
Ryoo contrappone scene prive di qualsivoglia ambiguità e
sceglie il sorriso del rude uomo comune Hwang Jung-min, già
protagonista di un’altra commedia a sfondo politico.
Dancing Queen (2013) di Lee Seok-hoon senza
combattimenti mostra la distanza tra cittadini e politici mettendo in
scena un povero avvocato selezionato da un partito per partecipare alle
primarie per l’elezione del sindaco di Seoul: senza troppi
giri di parole il personaggio di Hwang pone in risalto quanto
già fece Chil-su and Man-su, la
lontananza tra governati e governanti, senza neanche un’idea
di quanto possa costare un semplice pacco di pannolini al supermercato.
Quel sorriso nel discorso finale ai media e al pubblico della
convention elettorale non poteva dunque evitare di continuare a
rappresentare la società positiva della Sud Corea in Veteran,
né fermarsi lì.
Già campione di incassi 2016, Hwang Jung-min ha guidato il
cast anche di A Violent Prosecutor di Lee
Il-hyeong, in cui riprende un ruolo simile a quello di Veteran:
un violento membro delle forze dell’ordine, stavolta un
procuratore della Repubblica accusato ingiustamente di aver ucciso un
attivista sospetto durante un interrogatorio. I toni da commedia e lo
stile registico importato dai blockbuster statunitensi sono
amplificati, così come la corruzione è vista in
modo ancor più radicato nella cultura sud coreana: ad aver
incastrato il violent prosecutor sappiamo infatti
essere il suo immediato superiore, candidato numero uno a
un’alta carica politica, appoggiato da numerosi industriali
per il suo supporto alla causa della speculazione edilizia in aree
incontaminate. La fascia blu dei candidati è insomma vista
come l’alloro di cui si vestono i criminali al potere.
Indossa forme tragiche invece Inside Men di Woo
Min-ho, uno dei più fortunati film del 2015, in cui fa
ritorno anche uno dei generi chiave della storia del cinema sud coreano
contemporaneo, il gangster movie. Un procuratore si allea con un
piccolo gangster, la superstar Lee Byung-hun, per sgominare un
complotto ai piani più alti: media, giustizia e politica si
sono alleati per costruire una sorta di società nascosta in
cui deridere il popolo e consumare ogni vizio possibile e immaginabile.
Il disgusto per la corruzione con Woo Min-ho raggiunge vette elevate
rappresentando gli incontri segreti mettendo letteralmente a nudo il
male, circondandolo di prostitute e costringendolo a porsi alla prova
con giochi alcolici a base di genitali, risate sguaiate, insulti,
scurrilità e chi più ne ha più ne
metta. Una visione ancor più dura dei colpevoli –
ispirati a una terribile storia vera di violenze sui minori –
di The Crucible (2011) di Hwang Dong-hyuk.
Lo schieramento di cui Veteran può
definirsi presidente eletto dagli spettatori pone anche
l’accento sulla distinzione tra criminali e onesti, una
separazione sì netta nel genere thriller, con le varie
caratteristiche del caso, molto meno nel gangster movie, la cui
importanza abbiamo prima citato. Il gangster nel cinema sud coreano non
è da considerare in automatico dalla parte del male, in
alcuni casi è persino giudicata una carriera considerabile
dalla gioventù. Friend (2001) di Kwak
Kyung-taek, tra i big del nuovo cinema coreano, ha
per protagonisti ragazzi diventati gangster e sempre in stretta
amicizia con chi ha invece scelto l’altra strada; la commedia
Kick the Moon (2001) di Kim Sang-jin, vede persino
un non-gangster complimentarsi col vecchio compagno di scuola salito
negli alti ranghi di un’organizzazione criminale. Il genere
ebbe largo successo, mise in luce una fusione tra legalità e
illegalità in un paese dove l’autorità
fu nell’ombra.
Negli anni la trasformazione si è fatta visibile, lo si nota
proprio col cinema di Yoo Ha, poeta regalato al cinema con grande
successo, firmatario di A Dirty Carnival nel 2006
i cui protagonisti sono un gangster e un filmmaker la cui intenzione
è di documentare la vita del primo. Secondo della sua
trilogia della strada, racconta l’ascesa del gangster, del
suo desiderio di ricchezza e della sua avidità, mentre il
terzo Gangnam 1970 (2015), attraverso la storia
della costruzione del quartiere di Gangnam a Seoul (vicenda che ricorda
i fatti esposti da Francesco Rosi ne Le mani sulla
città) osserva come stavolta siano la fame di
potere, la corruzione e la sporcizia, non più il denaro, a
guidare le classi economicamente inferiori della società
coreana.
I media riflettono l’anima del tempo per definizione, ma in
Sud Corea il medium cinematografico in particolare ha una voce di rara
forza all’interno del proprio sistema culturale. Anni di
oppressione e censura hanno fatto sì che al primo segno di
libertà i proiettori potessero accendersi illuminando
schermi entro cui i quattro lati si metteva in scena ogni singolo
istante, sensazione, emozione repressa. Commedie come Veteran
pur avendo indosso la maschera della leggerezza sono con un piede al di
fuori del meccanismo d’evasione di cui il blockbuster
statunitense è in genere accusato. La produzione coreana
è presente sia sull’oggi sia sul passato con
un’opinione da scrivere, talvolta anche solo per raffreddare
i bollenti spiriti, per disegnare il percorso della propria
storia.L’aumento stesso delle sale è una scossa
tellurica, un movimento architettonico con obiettivo primario
l’esponenziale crescita delle piazze della nazione, dove
discutere di essa stessa in modo aperto, libero e estremamente critico.
È un aspetto fondamentale degli ultimi venti anni di cinema
in Sud Corea, il discorso politico lo abbiamo visto cavalcare
l’onda con piccole e grandi produzioni, moltiplicandosi di
anno in anno fino a arrivare ai Veteran di oggi.
Peccato che in Italia il film di Ryoo Seung-wan, tra i registi sud
coreani più distribuiti in Italia, esca fuori contesto e con
zero contenuti speciali per inquadrarlo in un determinato habitat. In
tal modo risulta essere un film qualsiasi, senza nulla di speciale, ma
dietro, affianco e davanti si trova una pesante storia che
nell’arte cinematografica odierna è madre di un
cinema di valore e interesse inestimabile.
LETTURE
— Choi Jin-hee, The South Korean Film Renaissance. Local Filmmaker, Global Provocateurs, Wesleyan University Press, Middletown, Regno Unito, 2010.
— Roberto Cueto, Un nuevo cine para una nueva realidad (… o la películas coreanas que los coreanos quieren ver) in Alberto Elena (a cura di), Seul Express 97-04. La renovacion del cine coreano, T&B Editores, Madrid, Spagna, 2004.
— Hye Seung-chung, David Scott Diffrient, Forgetting to Remember, Remembering to Forget: The Politics of Memory and Modernity in the Fractured Films of Lee Chang-dong and Hong Sang Soo, in Frances Gateward, Seoul Searching. Culture and Identity in Contemporary Korean Cinema, State University of New York Press, Albany, Usa, 2007.
— Darcy Paquet, New Korean Cinema. Breaking the Waves, Wallflower, Londra, Regno Unito, 2006.
VISIONI
— Lee Il-hyeong, A Violent Prosecutor, KD Media, 2016.
— Lee Seok-hoon, Dancing Queen, AV-J International Media, 2013.
— Park Kwang-su, Chil-su and Man-su, Korean Federation of Film Archives, 2015.
— Ryoo Seung-wan, The Berlin File, Far East Film, 2014.
— Woo Min-ho, Inside Men, Video Gage, 2016.
— Yoo Ha, A Dirty Carnival, Far East Film, 2013.
— Yoo Ha, Gangnam 1970, KD Media, 2015.