BUSSOLE | QDAT 63 | 2016

 


VISIONI / IL TRONO DI SPADE


di David Benioff, D. B. Weiss / HBO – Sky Atlantic / sesta stagione, 2016


 

Sexposition e potere a Westeros


di Giulia Iannuzzi

 

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Può una quantità determinare una qualità? Sì. In un sistema complesso, raggiunta una determinata massa critica di unità o di connessioni, può ad esempio nascere un nuovo fenomeno, una nuova organizzazione degli elementi. Possono fattori meramente quantitativi influenzare la qualità di un prodotto della creatività intellettuale? Certamente: Game of Thrones spende una media di sei milioni di dollari per la realizzazione di una puntata (con picchi di otto milioni), e i risultati si vedono nella rutilante ricchezza figurativa, nell'impegno di scrittura e di interpretazione (e in ultima analisi nell'immenso successo) che caratterizzano questa serie della HBO. Le risorse economiche non bastano senza idee, ma non c'è invarianza di scala nel budget di uno show televisivo: il network via cavo statunitense sembra aver conseguito scientemente un effetto valanga, o circolo virtuoso, tra ingente impegno produttivo e risultato presso il pubblico.
Nata nel 2011 come adattamento di una saga letteraria da 31 milioni di copie stampate, Game of Thrones è a oggi la serie di maggior successo della HBO dai tempi dei Sopranos. Con le sue sei stagioni uscite tra 2011 e 2016 (una settima commissionata per il 2017), è stata trasmessa in oltre 150 paesi nel mondo, con ratings crescenti: 3 milioni di persone negli Stati Uniti hanno guardato il finale della prima stagione in diretta, via via fino a 4,2 quello della seconda, 5,4 per la terza, 7,1 per la quarta, 8,11 milioni per la messa in onda dell'ultima puntata della quinta stagione (nonostante fosse in programmazione in contemporanea alla finale NBA), 8,9 milioni per il finale della sesta (dati Nielsen cit. in Prudom, 2016; Kissel, 2015). Ha registrato una media di quasi 20 milioni di spettatori a puntata durante la quinta stagione contando i servizi DVR, on demand, HBO Go e HBO Now, saliti a 23,3 milioni di media per la sesta – per farsi un'idea più concreta: è una cifra equivalente a quasi metà dell'intera popolazione italiana (cfr. Mitovich, 2015; Prudom, 2016). Dati che offrono uno spaccato interessante della crescente importanza dei canali di distribuzione digitale, che contano ormai – almeno per Game of Thrones – per quasi due terzi dell'audience totale. Nonostante il crescente impegno di HBO nell'articolare l'offerta per tutti coloro che guardano lo show al di fuori dei palinsesti tradizionali, attraverso piattaforme digitali on demand, la serie detiene da alcuni anni anche il primato di show televisivo più piratato della storia – per il 2015 si parla di 14,4 milioni di download solo da BitTorrent; al secondo posto The Walking Dead ne conta “appena” 6,9 milioni (cfr. Itzkoff, 2014; Ernesto, 2015).
Ambientata nel mondo fantastico di ispirazione medieval-feudale inventato da George R. R. Martin nel ciclo di romanzi A Song of Ice and Fire – ad oggi cinque, pubblicati tra 1996 e 2011, altri due in stesura –, la serie ne adatta le storie e le prospettive narrative con libertà variabile, sotto la supervisione degli showrunners David Benioff e D. B. Weiss. Potere e conflitto, intrigo e guerra, sesso e violenza, invenzioni fantastiche e soprannaturali sono gli ingredienti essenziali di una serie che segue le vicende di diverse casate nobili in competizione per conquistare il trono della terra di Westeros. L'organizzazione narrativa si avvale di formule rodate: la spiccata coralità di fondo è marcata in ciascuna delle sei stagioni dall'eliminazione di alcuni dei personaggi più popolari e dall'introduzione di nuovi; la pregnanza degli archi narrativi orizzontali (di stagione e di serie), la avvicina agli andamenti tipici delle soap opera di cui già Lynch impose un riuso intelligente e camp nei primi anni Novanta.
Al centro delle vicende, nella prima stagione, la famiglia di Eddard Stark, Guardiano del Nord e fedele al regno di Robert Baratheon. Robert siede sul trono di spade dopo essersi ribellato contro il re pazzo Aerys II Targaryen, anni prima dell'inizio dell'azione, ribellione che ha costretto gli ultimi Targaryen – Viserys e la sua giovane sorella Daenerys – alla fuga nel regno di Essos. Cercei Lannister, regina consorte di Robert, è madre dell'erede al trono Joffrey Baratheon, frutto in verità dell'incesto col fratello Jaime Lannister, come suo fratello Tommen e sua sorella Myrcella.
Quando Eddard “Ned” Stark viene chiamato da Robert a divenire Hand of the King (in italiano Primo cavaliere – consigliere, delegato, braccio destro del re), dopo la misteriosa morte del predecessore Jon Arryn, lascia Winterfell per King's Landing, la capitale, portandosi appresso le figlie – la bella e delicata Sansa, e la più giovane e fieramente indipendente Arya. A Winterfell restano, assieme alla moglie Catelyn della casata Tully (la cui sorella Lysa è vedova di Jon Arryn), i figli Robb – maggiore ed erede, i più piccoli Bran e Rickon, il figlio bastardo Jon Snow, e Theon Greyjoy – la cui casata è legata agli Stark da rapporti vassallatici, da anni tenuto come ostaggio dopo il tentativo di ribellione del padre, e ormai pressoché “adottato” dalla famiglia.
Nella capitale Ned – troppo corretto ed onesto e perciò troppo ingenuo e vulnerabile – non sarà all'altezza del gioco di intrighi con cui la famiglia Lannister sta cercando di impossessarsi del trono, e a cui partecipano – ciascuno con i propri interessi – dignitari e consiglieri, tra cui Petyr “Littlefinger” Baelish – self made man arricchitosi con la prostituzione, Varys – eunuco a causa di una mutilazione subita durante un'infanzia di povere origini, giunto all'apice del regno grazie al commercio di informazioni e a una vasta rete di spie, a cui si aggiungerà presto Tyrion Lannister, fratello nano di Cersei e Jaime.
I fili narrativi seguiti dalla prima stagione comprendono tre fuochi fattuali e fisici principali: gli schemi politici che si architettano in King's Landing, la ricerca di Viserys Targaryen di un appoggio per riconquistare il trono dando in sposa la sorella a un re barbaro in Essos, la vicenda di Jon Snow che si arruola nell'ordine del Night's Watch votato alla protezione del confine a nord di Westeros, dove un'enorme muraglia di ghiaccio separa il regno dalle popolazioni ribelli che vivono al di là e da oscure e misteriose presenze che vanno addensandosi, man mano che si avvicina un lungo inverno.
Dopo la morte apparentemente accidentale di Robert Baratheon, la decapitazione di Ned Stark, fatto accusare dai Lannister di tradimento, giunge alla fine della prima stagione come momento di deflagrazione del sistema di potere nel regno (e del sistema relazionale dei personaggi): Tyrion Lannister diviene Hand of the King del giovane e sadico re Joffrey, che tiene Sansa in ostaggio; Arya fugge fingendosi un orfano di strada e si dirige a nord con una carovana di altri reietti destinati all'arruolamento forzato nel Night's Watch; Robb Stark muove guerra contro i Lannister, il cui esercito è guidato sul campo dal padre Tywyn; Theon Greyjoy viene mandato a chiedere il supporto del padre Balon, ma tradisce gli Stark per gli interessi della sua famiglia di sangue, attacca Winterfell e Bran e Rickon devono fuggire. Diffusesi le voci sulla vera paternità di Joffrey, entrambi i fratelli del defunto Robert Baratheon avanzano pretese sul trono: Renly – supportato dalla ricca famiglia della sposa Margaery Tyrell, e Stannis – con il consiglio di Melisandre, sacerdotessa della crudele religione di R'hllor. Jon Snow, nell'estremo nord, finisce prigioniero delle popolazioni oltre il muro, dove scopre che la vera minaccia è costituita non da questi ma dai White Walkers – ritornanti simili a zombie delle nevi, che si approntano a colpire Westeros. Nella terra di Essos, Daenerys ha sposato Drogo, capo di una temibile orda destinato a una morte prematura, e comincia un difficile percorso che la porterà nelle stagioni successive a comandare un'armata di schiavi liberati e tre draghi, e a prendere controllo delle città Astapor, Yunkai e Meereen.
Nel corso delle puntate e delle stagioni muoiono, oltre a una messe di comparse e numerosi comprimari importanti, diversi personaggi tra i principali: dopo Ned Stark, anche Robb e Catelyn Stark in una sanguinosa strage al termine della terza stagione; Joffrey Baratheon e Tywyn Lannister nella quarta, Stannis Baratheon nella quinta, nella sesta Tommen Baratheon succeduto al fratello Jeoffrey, la sua consorte Margaery Tyrell e l'High Sparrow, il leader religioso che era giunto a tenere in scacco la corona nel corso della quinta e sesta stagione. Altrettanti personaggi vengono introdotti, man mano che entreranno nel gioco dei troni, assieme a Stark, Baratheon, Lannister e Targaryen, le casate dei Greyjoy, Tyrell, Bolton, Arryn, Frey, Martell. L'intreccio si dipana tra infingardi scacchieri politici, o geografico-bellici, e quest intraprese da personaggi isolati o con pochi compagni.
Una struttura corale dunque, e un andamento tipicamente da soap opera, in cui la suspense si accumula man mano che nuovi pericoli minacciano i personaggi e la riuscita dei loro piani, e intervengono a scompaginare gli scenari noti (senza esclusione di colpi di scena, rivelazioni e agnizioni, pronipoti di quelli del racconto d'appendice classico).
Lo sviluppo di linee narrative parallele attorno a una molteplicità di figure e la loro costruzione alternata producono un andamento costitutivamente digressivo, che in buona misura scompagina il funzionamento della stagione come unità discorsiva dotata di parziale autonomia (e questo vale anche per la sesta, trasmessa in Italia tra maggio e luglio 2016). Non si tratta qui solo del perenne rinvio di conclusioni, di marca feuilletonesca e soap-operistica, né del costante differimento di risoluzione narrativa indicato da Hills tra i caratteri non sacrificabili di ogni narrazione che voglia aspirare ad avere un seguito di fan fedeli (Hills, 2002). Queste spinte centrifughe nella diegesi favoriscono e riflettono a loro modo anche una particolare centralità dell'ambientazione (intesa in senso ampio, non meramente fisico), sempre sull'orlo di prendere il sopravvento creativo sugli accadimenti specifici e sul ruolo di singoli eroi ed eroine. La profondità prospettica suggerita da un mondo esplorabile ed abitabile al di là degli eventi portati in scena dal singolo prodotto rimanda alla complessità programmatica di un ecosistema narrativo potenzialmente espandibile (dagli estensori, con nuovi prodotti dell'industria culturale, così come dal riuso dei fruitori).
Questa importanza del mondo finzionale è scientemente riassunta nella sigla di apertura: la camera scorre su una mappa tridimensionale dei continenti di Westeros ed Essos, costruita come una sfera di Dyson (in altre parole una mappa creata all'interno della superficie di un globo) al cui centro, attorno ad una fonte luminosa, ruotano degli anelli metallici, simili a quelli di una sfera armillare. La camera si sofferma su alcuni feudi e città, i volumi di edifici e monumenti si alzano dal suolo come macchine di ispirazione leonardesca, contraddistinti dai vessilli delle casate dominanti. Non un singolo personaggio appare, mentre la sequenza viene modificata per riflettere via via l'andamento generale delle vicende, incorporando nuovi luoghi e segnalando l'avvicendarsi delle famiglie regnanti tramite le insegne delle casate innalzate sulle varie roccaforti. Così, ad esempio, il lupo degli Stark sulla cittadella di Winterfell viene sostituito dall'uomo scuoiato dei Bolton, che ne conquistano il controllo all'inizio della quinta stagione.
Elaborata dallo studio di produzione Elastic (Emmy 2004), la sequenza dei titoli riflette d'altronde l'economia narrativa della serie ad ulteriori livelli: la scelta di simulare nell'animazione solo materiali esistenti nel mondo della serie (pergamena, legno, metallo), il riferimento alle rappresentazioni cosmologiche di età medievale e moderna, la stessa idea di un mondo in cui l'osservatore, posto all'interno della sfera, non può scorgere oltre i confini della mappa, una scelta che è andata incontro egregiamente all'esigenza di rendere la profondità di uno scenario fantasy e a quella di contenere i costi di realizzazione allo stesso tempo (cfr. Wall, 2011).
La sigla insomma rende omaggio a diversi tra gli ingredienti che fanno oggi la fortuna del genere fantasy a cavallo di media diversi: l'idea di un mondo finzionale fantastico ma tratteggiato con ampiezza e profondità diacronica, entro cui i fan possono situare produzioni amatoriali ispirate alla serie, il crescendo di invenzione che rende possibile l'esistenza di draghi, sortilegi e warg (persone in grado di trasferire la propria mente in altri corpi), unita all'ispirazione latamente storica che informa spesso gli avvenimenti di Westeros ed Essos – dalla Guerra delle due rose al vallo di Adriano, dal sistema feudale dell'Europa alto-medievale ai culti delle civiltà assire e mesopotamiche, per menzionare solo alcuni delle più evidenti.
Non basterebbe questo cocktail di elementi e il sapiente uso di una serialità corale a spiegare il successo della serie, senza l'impegno creativo e produttivo che va nella realizzazione del prodotto e la presenza delle tematiche che profondamente ne attraversano lo svolgimento.
Il clima oscuro e fascinoso di Westeros è reso con incredibile dovizia di dettaglio. Un budget medio tra i sei e gli otto milioni di dollari a puntata ha permesso un'eccezionale elaborazione creativa, dalla scelta delle location, che spazia tra Islanda, Irlanda e Croazia, al design degli interni, fino ai più minuti dettagli dei costumi e delle armi, sotto la cura di artisti come Michele Clapton (due Emmy alla sua supervisione dei costumi), Tommy Dunne (già “mastro d'armi” per produzioni come Braveheart, Saving Private Ryan, The Mask of Zorro), set designer come Gemma Jackson (Emmy per la stagione 2) e Deborah Riley (subentrata a Jackson nella quarta stagione dopo aver lavorato in The Matrix, Emmy per la quinta stagione). I linguaggi immaginari Dothraki e Valyriano sono stati creati da David J. Peterson, specialista classe 1981, ora all'opera sull'adattamento di The Shannara Chronicles (su alcuni di questi casi e dettagli di produzione e post-produzione ci sono paragrafi interessanti nell'altrimenti piuttosto celebrativo Taylor, 2014). È questa la ricca materia prima a cui può attingere un fandom che sembra essere al momento tra i più estesi che si siano conosciuti nell'era di Internet.
Prendono così corpo – tra accurata concretezza e sense of wonder – le tematiche in capo alla narrazione, onnipresenti nell'animo e nella mente dell'uomo – il potere, la brama, il conflitto –, nonché gli aspetti che fanno generosamente appello a parti che si trovano più in basso nel nostro corpo: sesso e violenza. Il gioco dei troni è evidentemente il gioco del predominio (cfr. Jacoby, 2012): la serie mette in scena una vera e propria fenomenologia di come il potere e il desiderio di esso possono corrompere un individuo. Attinge a un ammiccante repertorio d'appendice l'insistenza sulla rappresentazione dei ceti sociali, delle agghiaccianti sperequazioni tra ricchi e poveri, tra caste privilegiate – nobili, clero – e masse plebee di diseredati. La disparità tra classi si traduce, in termini di vicende individuali, nella ricorrenza del tema dei natali: la disgrazia del figlio bastardo in cerca di legittimazione, la dignità del trueborn, figlio (e soprattutto erede) legittimo di nobile padre, e da qui in giù, tutto ciò che ne può conseguire – il fidanzamento, il matrimonio, l'educazione di un figlio come strumenti di alleanza tra casate, la scoperta di una paternità come svolta narrativa. A questo proposito il successo della serie – la sua capacità di parlare a un ingente numero di spettatrici e spettatori oggi – ci dice molto sull'attualità, sull'eterno ritorno, mutatis mutandis, di dinamiche di differenziazione sociale ed ereditarietà. Un'attualità ben compresa e diversamente sfruttata in senso demenziale da Another Period (Leggero e Lindhome, 2015-).
Ma è alla presenza di sesso e violenza che guardiamo per scovare i cortocircuiti più interessanti che si sono prodotti tra le scelte compiute dai creatori della serie e le dinamiche della sua ricezione. Game of Thrones si è presentata alla sua nascita come uno spettacolo dai contenuti volutamente espliciti e adulti, sulla scia di altre produzioni americane recenti che, in virtù della distribuzione via cavo e via satellite, hanno potuto evadere i limiti di censura tradizionalmente imposti ai programmi in chiaro. I tassi di nudità femminile e di brutalità in Game of Thrones si sono però spinti decisamente più in là rispetto a quelli in altri prodotti paragonabili (per network, per target, o per genere), dando luogo a dibattiti ampi e molto accessi sia all'interno della base dei fan che in sedi di informazione e analisi generaliste. Sono così comparse aspre critiche all'asimmetria di genere nella presenza del nudo e dello stupro, anche attraverso paragoni con i libri di partenza, rivelatori di un certo maggior compiacimento della versione televisiva nella rappresentazione della violenza sessuale contro le donne (cfr. Saraiya, 2014). Il dibattito è approdato sulle pagine del New York Times (cfr. Itzkoff, 2014) e ha coinvolto direttamente George R. R. Martin, i creatori della serie, registi di singoli episodi (ad esempio, Alex Graves, dir. 4:3), il presidente della programmazione HBO (Michael Lombardo); la discussione ha fruttato persino l'entrata in inglese di un neologismo – sexposition (per sincrasi di sex ed exposition; McNutt 2011).
Critiche specifiche sono state rivolte alla presenza del nudo femminile, a cui è riservato l'uso di inquadrature full frontal e una presenza sullo schermo decisamente maggiore rispetto al nudo maschile (cfr. Bacon, 2015); alla reificazione del corpo delle donne che si origina in virtù del punto di vista di personaggi maschili adottato (mentre raramente avviene il contrario); alla rappresentazione ricorrente e compiaciuta della punizione corporale e della violenza sessuale ai danni delle donne (un poco più rara e molto più raramente a sfondo sessuale la brutalità fisica che colpisce i personaggi maschili); alla scarsa esplorazione delle tracce psico-emotive di questi traumi, di cui la serie sfrutta invece appieno la carica più superficialmente disturbante e sensazionalistica. Talune scene (il primo rapporto sessuale di Daenerys e Drogo in 1:2; il “monologo con prostitute” di Littlefinger in 1:7, lo stupro di Cersei da parte del fratello Jaime Lannister in 4:3; l'omicidio di Shae da parte di Tyrion in 4:10) sono state analizzate dettagliatamente nel tentativo di chiarificarne (o attaccarne o difenderne) le implicazioni per i personaggi, il ruolo nell'economia narrativa, le valutazioni e i giudizi morali suggeriti dall'adozione di un dato punto di vista. Tutti aspetti, questi, in cui rappresentazione del corpo e del potere rivelano connessioni indistricabili e tutt'altro che sorprendenti – anche per l'epoca corrente dove vanno di moda declinazioni smaterializzanti del post-umano – e per cui si è parlato di sex politics o fuck politics. Un'estetizzazione del sesso e della sopraffazione fisica consonante con quella di altre produzioni recenti di ambientazione medievale come The Borgias (Jordan 2011-) e The Tudors (Hirst 2007-2010).
Forse non meno interessanti si sono rivelate le letture dei personaggi femminili principali che la serie costruisce – come la saga libraria – tra uso di stereotipi e complessità psicologica, nella loro autonomia di motivazione e gestione politica (Cersei, Lady Olenna Tyrell), nei loro coraggiosi percorsi di formazione ed emancipazione (Arya, Daenerys, Sansa), nella loro rappresentazione di valori positivi (familiari: Catelyn; d'onore cavalleresco: Brienne of Tarth) e di capacità e potenza fisica e leadership militare (Daenerys, Brienne, Yara). La presenza e il significato delle donne nell'universo transmediale di Game of Thrones restano nel complesso tra gli oggetti di discussione di maggior fascino e minor uniformità di vedute sia tra gli appassionati che tra i critici di provenienza accademica (cfr. Gjelsvik, Schubart, 2016), come d'altronde la collocazione di precedenti presenze femminili in casa HBO (cfr. McCabe, Akass 2008).
E certo non è un caso che siano soprattutto le attrici lanciate dalle serie ad essere approdate, negli ultimi anni, a ruoli primari o comprimari in altre produzioni per il piccolo e il grande schermo: Sophie Turner (Sansa) in Another Me (Coixet, 2013) e X-Men: Apocalypse (Singer, 2016); Maisie Williams (Arya) in The Falling (Morley, 2014) e Doctor Who (nona stagione, Newman, Webber e Wilson, 1963-); Emilia Clarke (Daenerys) in Terminator Genisys (Taylor, 2015); o ancora Natalie Dormer (Margaery Tyrell) protagonista in The Forest (Zada, 2016). Un elenco a cui non aggiungiamo Gwendoline Christie (Brienne), sprecata nell'ultimo Star Wars (Abrams, 2015), e a cui potremmo invece giustapporre i casi di colleghe dalla carriera già consolidata sugli schermi, come Lena Headey (Cersei), o sui palcoscenici teatrali, come Michelle Fairley (Catelyn) e Kate Dickie (Lysa Arryn), quest'ultima da non perdere nell'eccezionale The Witch (Eggers, 2015), distribuito da poco in Italia.
Ma torniamo alle donne in Game of Thrones per chiederci: quali logiche hanno informato i dibattiti sulla loro rappresentazione? A cosa sono approdati questi dibattiti? Sono serviti a qualcosa? Di primo acchito non si può non rilevare che alcuni aspetti delle polemiche tratteggiate sopra dipendano da un presupposto raramente esplicitato: una ricorrente valutazione della serie secondo criteri morali, o set valoriali, che tende a metterne in secondo piano la dimensione di intrattenimento e la natura di prodotto commerciale. In questo senso, come già fece notare Henry Jenkins a suo tempo per altri casi (cfr. Jenkins, 2006), la serie ha offerto al suo fandom un terreno di scambio e condivisione il cui interesse si può far prescindere, almeno in larga parte, dal merito dei contenuti, per ricondurlo invece all'acquisizione dello show come “materia prima grezza” di elaborazione critica condivisa e negoziazione di un'identità collettiva. L'altra faccia di ciò è l'ingenua obliterazione del ruolo che sesso e violenza – non certo il più innovativo dei binomi mediatici – hanno avuto e hanno nel costruire il successo di pubblico: insufficiente attenzione è stata dedicata a cercare di comprendere come mai questo “titillamento” funzioni, a quali pulsioni sado-masochistiche e voyeuristiche facciano appello questi aspetti in ciascuna/o spettatrice/spettatore, pulsioni che riconoscere e indagare sarebbe forse più utile a una comprensione della società presente nella sua contraddittoria complessità. Insomma: una qualche forma di tabù sembra permanere nei confronti del corpo nudo, della sessualità, della brutalità, se è vero che si può legittimamente spendere molta attenzione per criticarne la presenza, ma non per analizzarne il richiamo, che pure sembra innegabile (si ricordino gli incredibili numeri sul pubblico citati all'inizio di questi paragrafi). Un fatto che i produttori e i creatori dello show sembrano invece aver compreso e sfruttato molto bene.
L'attenzione dedicata alle tematiche legate al genere (nel senso di gender) nella serie evidenziano d'altronde la perdurante centralità del corpo femminile negli immaginari contemporanei, un corpo vero campo di battaglia su cui si disputano contese di intramontabile rilevanza culturale, simbolica e politica (per fare solo un esempio recente, si pensi ai fiumi di inchiostro che, a seguito dell'attentato di Nizza nel luglio 2016, sono stati spesi sul “burkini”, ossia attorno al significato di coprire e scoprire il corpo femminile in relazione a dati contesti culturali). Legando dimensione corporale e potere, la serie è senz'altro riuscita a cogliere (e fare furba leva su) un nodo della cultura statunitense ed europea.
Ma c'è di più: i dibattiti accesi dalla base dei fan e proseguiti da commentatrici/ori e studiose/i, hanno rivendicato una fruizione criticamente attiva e impegnata, e sono riusciti a chiamare direttamente in causa i produttori e i responsabili creativi della serie, costringendoli a difendere le proprie scelte. La televisione riflette la società, ma la società riflette sulla televisione, e ingaggia l'industria culturale in un confronto circolare continuo.

 


 

LETTURE

— Janet McCabe, Kim Akass, What Has HBO Ever Done for Women?, in The Essensial HBO Reader,
— ed. Gary R. Edgerton and Jeffrey P. Jones, Lexington, University Press of Kentucky, Usa, 2008.
Ernesto, Game of Thrones’ Most Pirated TV-Show of 2015, TorrentFreak, 28 dicembre 2015,
— https://torrentfreak.com/game-of-thrones-most-pirated-tv-show-of-2015/.
Anne Gjelsvik, Rikke Schubart, eds., Women of Ice and Fire: Gender, Game of Thrones, and Multiple Media Engagements,
— New York-Londra, Bloomsbury, Usa/Uk, 2016.
Matt Hills, Fan Cultures, Londra-New York, Routledge, Uk/Usa, 2002.
Dave Itzkoff, For ‘Game of Thrones,’ Rising Unease Over Rape’s Recurring Role, in The New York Times, 2 maggio 2014, http://nyti.ms/1nclmFf.
Henry Jacoby, ed., Game of Thrones and Philosophy: Logic cuts Deeper Than Swords, Hoboken, John Wiley & Sons, Usa, 2012.
Henry Jenkins, Convergence Culture: Where Old and New Media Collide, New York, New York University Press, Usa, 2006.
Rick Kissel, ‘Game of Thrones’ Finale Sets Ratings Record, in Variety, 16 giugno 2015,
— http://variety.com/2015/tv/news/game-of-thrones-finale-ratings-jon-snow-cersei-1201519719/.
Miles McNutt, Game of Thrones: ‘You Win or You Die’, in Cultural Learnings, 29 maggio 2011,
— http://cultural-learnings.com/2011/05/29/game-of-thrones-you-win-or-you-die/.
Matt Webb Mitovich, Ratings: Game of Thrones Season 5 Breaks 20 Million-Viewer Barrier, in TV Line, 7 luglio 2015,
— http://tvline.com/2015/07/07/game-of-thrones-season-5-ratings-most-watched/.
Laura Prudom, ‘Game of Thrones’ Season 6 Finale Ratings Hit Series High, in Variety, 28 giugno 2016,
— http://variety.com/2016/tv/ratings/game-of-thrones-ratings-season-6-finale-record-1201805035/.
Sonia Saraiya, Rape of Thrones: Why are the Game Of Thrones showrunners rewriting the books into misogyny?, in A.V. Club, 20 aprile 2014,
— http://www.avclub.com/article/rape-thrones-203499.
C. A. Taylor, Inside HBO's Game of Thrones: Seasons 3 & 4, Chronicle Books LLC, San Francisco, Usa, 2014.
Angus Wall, Game of Thrones: A Discussion with Creative Director Angus Wall at Elastic, in Art of the Title, 2011,
— http://www.artofthetitle.com/title/game-of-thrones/.

 


 

VISIONI

— J. J. Abrams, Star Wars: Episode VII: The Force Awakens, Lucasfilm-Bad Robot Productions, Usa, 2015.
— Kevin Bacon, Kevin Bacon Demands More Male Nudity in Hollywood, 4 agosto 2015, https://www.youtube.com/watch?v=3Dt3IrdampY.
— Isabel Coixet, Another Me, Fox International Productions, Spain-Uk, 2014.
— Robert Eggers, The Witch: A New-England Folktale, Parts and Labor-Rooks Nest Entertainment-RT Features, Usa-Canada, 2015.
— Michael Hirst, The Tudors, BBC Two-CBC Television-Showtime, Uk, 2007-2010.
— Neil Jorda, The Borgias, Bravo!-Showtime, Canada-Usa, 2011-.
— Natasha Leggero, Riki Lindhome, Another Period, Comedy Central, Usa, 2015-.
— Carol Morley, The Falling, BBC Films, Uk, 2014.
— Sydney Newman, C. E. Webber, Donald Wilson, Doctor Who, Bbc, Uk, 1963-.
— Bryan Singer, X-Men: Apocalypse, Marvel Entertainment, Usa, 2016.
— Alan Taylor, Terminator Genisys, Paramount Pictures, Usa, 2015.
— Jason Zada, The Forest, AI-Film-Lava Bear Films, Usa, 2016.