Pagine di cinema. Il titolo di questo numero speciale di Quaderni
d’Altri Tempi cerca di riassumere e anticipare il
lavoro che è stato svolto da coloro che vi hanno
partecipato: indagare sui transiti possibili dalla letteratura alla
settima arte. Un compito smisurato, cosicché si è
pensato di circoscriverlo, di limitarlo, selezionando non solo un
numero ristretto di film, ma anche di prelevare, all’interno
di questi, un paio di scene tra quelle in grado di segnare meglio la
vicinanza o la distanza tra la pagina e lo schermo. Almeno di provarci
con licenza di sbandare, non rimanendo del tutto aderenti al dettato
iniziale. Quanto tutto ciò sia riuscito è come
sempre compito del lettore stabilirlo e qui si può solo
aggiungere che si è cercato di fare al meglio.
Di
sicuro, nel nostro piccolo campionario non tutto è compreso,
non sono accolte tutte le possibili forme di trasposizione da un
romanzo o da un racconto a una narrazione cinematografica;
un’operazione complessa, che prima di tutto va intesa come
una traduzione da una singola lingua a una sorta di esperanto, a una
comunicazione universale, quella del racconto per immagini. Qualcosa
che si opera con altri mezzi naturalmente in ognuno
di noi quando si legge un testo di fiction. In secondo luogo, proprio
perché traduzione, si deve sempre aver presente che quanto
vediamo sullo schermo è un tradimento del testo originale,
come qualsiasi traduzione da una lingua a un’altra e come
ogni tradimento è possibile praticarlo in modi sempre uguali
e sempre differenti al tempo stesso.
È
una vecchia storia, non la si risolve qui: quanto restare fedeli al
testo e perché? Varcata la soglia, ciò che conta
è lasciare che nuova linfa scorra nella finzione che si va a
costruire e poco importa l’offesa che si arreca alla pagina
scritta. Ne sono stati coscienti quegli autori, pochi, prima scrittori
e poi registi, o viceversa, che non hanno mai ripreso le loro opere per
tradurle nell’altra lingua. Basti pensare ad Alain
Robbe-Grillet, a Pier Paolo Pasolini, a Mario Soldati, oppure a
Marguerite Duras e Jean Cocteau, solo per restare in un ambito
più autoriale...
A volte capita che si percorra la strada al contrario con risultati modesti. Certo esistono tanti, tantissimi brutti film tratti da libri, a loro volta riusciti o meno, ma esistono anche molti, moltissimi film davvero belli e finanche capolavori e in questo numero se ne trovano. Difficile, invece, se non impossibile, trovare un capolavoro letterario tratto da un film. Che il cinema sia intraducibile? Che tradirlo comporti uno svilimento? Una inevitabile condanna al fallimento? È possibile. Le cose vanno meglio quando la letteratura narra di cinema e non tanto quando adotta una scrittura cinematografica, ma se vi ricorre per fertilizzare la pagina bianca. Si pensi alla bella storia raccontata da Osvaldo Soriano in Triste solitario y final, che abbraccia in un colpo solo il detective Philip Marlowe (eroe di romanzi e film, non a caso) e una delle più grandi coppie del cinema: Laurel & Hardy. È una congettura, certo, che trova conforto unicamente nei ripetuti fallimenti degli adattamenti letterari dei film e nei deragliamenti della scrittura nel cinematografico. C’è un intero universo tuttora da esplorare in questa direzione. Si è detto di Soriano e si può aggiungere un altro piccolo grande esempio, quello di un racconto di Philip José Farmer intitolato After King-Kong Fell, noto in Italia come Dopo la caduta di King Kong. Che cosa fa Farmer? Assume per reale la vicenda della Grande Scimmia e narra alcuni eventi successivi al suo abbattimento. Ancora un personaggio del cinema che si ritrova tra le pagine di un libro, senza necessariamente ricorrere al riadattamento di un film. Probabilmente è anche una questione di frequentazione. Non appena il cinema scoprì che non era necessario limitarsi a rispecchiare la realtà con nuovi mezzi (arrivo di treni, uscita dalle fabbriche e così via), ma che un nuovo modo di raccontare era possibile, fece immediato ricorso anche a grandi soggetti tratti dalle grandi opere.
Al contrario nessun grande autore del Novecento, specie se
europeo, si sarebbe mai sognato di prendere a prestito un soggetto da
un film per farne un romanzo. Fuori sincrono, quindi e forse fuori
orario la letteratura, almeno in questo senso. Ragioniamo sui tentativi
genuini, ça va sans dire, non certo sui
dettati dell’industria culturale, dell’editoria e/o
delle produzioni cinematografiche che spingono per riscritture o
trasposizioni sull’onda del successo di un libro o di un
film, ammesso che di operazioni genuine si possa tuttora parlare
ancora.
Dove, sicuramente, di genuino non
c’è proprio nulla è in
un’altra trasposizione che se non rischia di soppiantare i
passaggi dal letterario al filmico quanto meno ne invade il campo
d’azione a suon di effetti speciali, serialità,
meta-serialità e marketing tambureggiante: le versioni
cinematografiche dei fumetti, Marvel Comics in prima linea, con una
potenza di fuoco impressionante. Premesso che di questa invasione
inarrestabile se ne hanno oramai piene le scatole, precisato che,
piaccia o no, la fine di questa era che potremmo chiamare speciale
è ben lontana dall’essere giunta al termine, resta
da chiedersi se si possono realizzare dei capolavori cinematografici a
partire da un fumetto, così come lo si è fatto
prendendo a prestito tante opere letterarie.
Si
direbbe di no. Forse a latere, nel cinema d’animazione, che
capolavori o quantomeno pregevoli lavori ne ha prodotti e continua a
farlo.
Significativa eccezione, a molti pare
essere la ripresa di Batman ma, a dirla tutta, il personaggio tornato a
nuova vita sul grande schermo è tragicamente insostenibile
nel suo prendersi così sul serio. Le sue meraviglie,
paradossalmente, circondano il personaggio, sono i paesaggi
metropolitani di Gotham City. Le sue cinquanta e passa sfumature di
oscurità, invece, servono solo a celarne
l’inconsistenza. Batman è formidabile quando si
scazzotta con il villain di turno, puntando dritto
all’intrattenimento. Il resto è noia, con buona
pace dei cine-sociologi. Questo è un altro discorso,
però che rischia di distrarci dal tema del numero, dalle
pagine di cinema, come si è detto. Transiti che funzionano
al meglio tradendo, magari aiutati dalla memoria, o meglio dai vuoti di
memoria. Sarebbe interessante sapere quanto tempo è
trascorso dalla prima lettura di un romanzo da parte di un regista e la
sua trasposizione. Il tempo aiuta, le assenze, gli smarrimenti, i
ricordi incerti, ri-modellano la trama, la adattano al nuovo autore,
come pause e silenzi in musica, ne dettano il nuovo ritmo,
l’andamento. Si legge un bel romanzo, ci colpisce, lo si
immagina, si fantastica, ci si smarrisce nei paesaggi interiori che
iniziano a fiorire, ci si distrae, il tempo passa, il ricordo si fa
più pallido, alcune scene resistono, risorgono, ci sono dei
buchi, la memoria ci tradisce e quanto abbiamo letto, il residuo, si
confonde con ciò che abbiano iniziato a immaginare, creduto
di ricordare, in sordina una nuova trama prende corpo, tutto si colora
diversamente, proviamo a rileggere il bel romanzo, ci si distrae, il
tempo passa, altri stimoli, modificazioni, una lingua rinnovata, lo
sguardo cambia direzione, appaiono nuove scene …
Di
che cosa stavamo parlando?