BUSSOLE | QDAT 61 | 2016
VISIONI / ASCENSION
di Philip Levens / Netflix, 2016
Sociologia delle tribù artificiali
di Adolfo Fattori
Nel 1963, a ridosso della “crisi dei missili” a Cuba e poco prima di finire ucciso in una piazza di Dallas, il Presidente John F. Kennedy, preoccupato del rischio che scoppi una definitiva guerra mondiale, autorizzò un piano grandioso: la costruzione di una immensa nave interstellare, da popolare con un nucleo di esseri umani, americani, naturalmente, scelti accuratamente per le loro qualità e potenzialità, e spedirli su Proxima Centauri, la stella con almeno un pianeta abitabile più vicina a noi (solo un secolo di viaggio). Naturalmente, del progetto sono tuttora a conoscenza pochissimi privilegiati: i pochi responsabili e attuatori del piano, pezzi grossi dei servizi, qualche alto papavero dell’amministrazione, che si sono passati l’un con l’altro il segreto man mano che il tempo passava.
Siamo nel 2014, e ormai sono passati cinquantun anni dal lancio, si sta per superare il “punto di non ritorno”, quello da cui non si potrà più tornare indietro, e il progetto rischia di esplodere in faccia a chi l’ha avviato, monitorato, sostenuto: nella comunità della nave, apparentemente pacifica, ordinata, serena, unita nel compimento della sua missione, avviene un omicidio che fornisce una tinta thriller alla narrazione: Lorelei Wright (Amanda Thomson), una delle ragazze più benvolute e popolari della nave, viene trovata assassinata.
Questo è l’incipit della prima stagione (rimasta unica) della maestosa Ascension, una delle serie tv di produzione canadese/statunitense (Lionsgate Television, Sea to Sky Studios, Blumhouse Productions) più ambiziose degli ultimi anni, che, forte di una sceneggiatura ferrea e di ottimi interpreti, riarticola e sintetizza un’intera area dell’immaginario di anticipazione, andata in onda in Italia nei primi mesi di quest’anno su Netflix.
Rapidamente scopriamo che non tutto è oro quel che luccica, e che le cose sono più complesse di quel che apparentemente sembra: basta “allargare il campo”, della nostra ideale cinepresa o videocamera, e scopriamo che… si tratta di un inganno verso i cosmonauti della nave: Ascension non si è mai mossa da un immenso hangar posto in un’area della Nasa, e tutto ciò che avviene a bordo viene monitorato, scrutato, studiato da un gruppo selezionato (e segreto) di scienziati, controllati dalle agenzie governative “giuste”, naturalmente, ma anche… “orientato”, per così dire, ogni tanto, con interventi dall’esterno per evitare crisi.
Solo che l’omicidio della bella Lorelei innesca una serie di avvenimenti che il team del progetto non poteva aspettarsi, e che rischiano di far saltare l’intera operazione, a incominciare dall’entrata in campo di Samantha Krueger (Laureen Lee Smith), una investigatrice federale, dotata di pieni poteri, che incomincia a “ficcanasare”, come si suol dire.
Quindi sono a rischio più di cinquant’anni di lavoro, ricerca, investimenti, passione e ipotesi scientifiche da verificare su quali sarebbero le dinamiche sociali e individuali che si scatenerebbero se invece di una simulazione si organizzasse un viaggio reale. Come ribadisce Harris Enzmann (Gil Bellows), il figlio dell’inventore del progetto “Ascension”, si tratta di un titanico esperimento sociologico, che non può essere, dopo tanti sforzi, abbandonato. Solo che, lo scopriamo nel corso della serie, Enzmann nella sua ossessione per la riuscita del progetto non è del tutto sincero: c’è di più, nell’esperimento, e lo sanno solo lui e un piccolissimo gruppo di fidati collaboratori. A cominciare dal fatto che la totale impermeabilità della nave al mondo esterno non è così assoluta: all’interno l’équipe dello scienziato ha una talpa e quando è necessario attraverso un ingresso segreto un uomo può penetrare nella nave.
Insomma, siamo dentro un sistema di inganni, mezze verità, complotti che creano un vorticoso gioco di specchi deformanti, in cui la verità è qualcosa di fungibile, effimero, volatile. Come in The Truman Show, il capolavoro di Peter Weir del 1998, con la differenza che qui la congiura non è a danno di una sola persona, ma di un’intera comunità.
E il tema del complotto applicato all’esplorazione spaziale è sicuramente uno dei motori della serie. Un tema profondamente radicato nella fantascienza (ricordiamo Capricorn One, il film di Peter Hyams del 1978) e nell’immaginario parascientifico, quello secondo cui “non siamo mai stati sulla Luna” (Kaysing, 1981), ad esempio o quello che ruota attorno all’Area 51.
Ma non è l’unico: un altro è quello dei grandi viaggi interstellari “generazionali” in cui il percorso è talmente lungo che viene affrontato da navi immense, vere e proprie città autonome in tutto, dove si susseguiranno generazioni di pionieri, tema tipico della science fiction classica, celebrato per esempio da Robert Anson Heinlein nei suoi Universo (1941) e I figli di Matusalemme (1958), tanto per dire.
Nello scenario disegnato da questi calchi tematici intrecciati fra loro, che rendono un devoto omaggio alla science fiction più rigorosa (attribuendo fra l’altro a molti dei personaggi nomi di scrittori di fantascienza, o titoli delle loro opere), c’è però molto altro su cui vale la pena di concentare lo sguardo.
Prima di tutto, il trasparire della nostalgia, profondamente radicata nel cuore degli americani per gli anni Sessanta del Novecento, come arguiamo anche da un’altra serie tv di questi mesi, quella prodotta e ancora in programmazione in Italia da J. J. Abrams, Joseph Boccia e Athena Wickham dal romanzo 22/11/’63 di Stephen King (2011; cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 36); ancora, l’insistenza posta sul fatto che l’astronave Ascension è il set di uno straordinario “esperimento sociologico”, che in realtà nasconde ben altro, come possiamo intuire dai dialoghi fra Enzmann e i suoi collaboratori più stretti; e l’omaggio, seppur nascosto, a un racconto, quello sì, di più di cinquanta anni fa.
Sul valore affettivo degli anni Sessanta per gli americani già si è scritto molto, anche su queste pagine, a cui rimandiamo (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 14), per cui non ci soffermiamo ulteriormente sul tema. Vale la pena piuttosto esplorare la dimensione “sociologica” della vicenda raccontata: quello che si coglie, e che rappresenta nella logica di inganno e segreto di cui il team che gestisce l’astronave una sorta di “copertura” dei suoi veri scopi, sono le dinamiche che si sono sviluppate in mezzo secolo sulla nave: i rapporti gerarchici e di classe, la gestione della vita sessuale, i conflitti di potere. Quella che emerge è una società chiusa, tradizionalista, il cui tempo, quello del viaggio, è scandito da rituali e appuntamenti periodici che servono a mantenere saldo il gruppo e a assicurarne l’equilibrio, e la riproduzione. Solo, laddove nelle società arcaiche storiche erano esseri soprannaturali a occupare la sfera del sacro e a gestire i destini degli uomini, qui (almeno per quel che ne sanno gli astronauti) è il computer centrale a farlo: una presenza astratta, separata, impermeabile. Ma una vita sempre uguale, sembra dire il racconto, diventa insostenibile. Ed ecco che si scatenano pulsioni e desideri che riguardano due sfere cruciali: il sesso e il potere, quindi, la violenza. Sembra sentire echeggiare la voce di James G. Ballard: “Non c’è bisogno di dire che io sono convinto che occorrano più sesso e violenza, in televisione. Entrambi sono dei potenti catalizzatori di cambiamento, in aree dove il cambiamento è più urgente e indispensabile” (1969; corsivo nostro). D’altra parte, per molti versi l’ambiente dell’astronave assomiglia parecchio all’ambiente di Il condominio (1975), uno dei romanzi più disperati dello scrittore inglese, con le sue divisioni in classi marcate dalla collocazione nei “piani” della nave.
E ora, senza voler fare operazioni di spoiling, veniamo al punto solo accennato, evocato nella serie: in realtà, un po’ alla volta ce ne convinciamo, l’esperimento di cui parla il responsabile del progetto non è tanto quello “sociologico”, ma è qualcosa di più radicale e ambizioso, ai limiti del paranormale, che di nuovo ci rimanda all’atmosfera degli anni Sessanta, ai presunti esperimenti della Cia, dell’Fbi e di altre agenzie governative. Grazie alle indagini dell’investigatrice si arriva a intuire che il vero fine dell’ideatore del progetto, il padre di Enzmann (e di qualche agenzia segreta del governo), è individuare “talenti” speciali, dotati di poteri paranormali, come (ed è per questo che quando il progetto va in crisi Enzmann comincia a lottare con tutte le sue forze fino a uccidere) si sta rivelando Christa Valis (Ellie O’Brien), una ragazzina che vive a bordo della nave. Solo che anche questo gli sfugge dalle mani. Perché Christa sa: ha capito, come probabilmente Lorelei prima di lei, e che per questo è stata assassinata, che il viaggio, l’astronave e tutto il resto sono una recita, una pantomima, non c’è niente di vero. Alle spalle di Christa, e forse di Lorelei, balugina l’immaginario sui mutanti, un altro dei luoghi classici della fantascienza: per rimanere all’oggi, quello degli X-Men (2000) e dei Watchmen (2009), fino agli “inumani” di Agents of S.H.IE.L.D. (2013): tutte declinazioni del postumano prossimo venturo.
E qui veniamo all’ultimo punto da esplorare. “Christa sa”: nel 1965 la BBC, come undicesimo episodio della prima stagione della serie tv Out of the Unknown trasmette l’episodio Thirteen to Centaurus. Agli occhi di oggi l’intera ambientazione appare ingenua, artigianale, come in certi episodi della prima serie di Ai confini della realtà, ma la storia ha ancora tutta la sua forza: anche in Thirteen to Centaurus c’è un’astronave che viaggia verso Proxima Centauri, anche se l’equipaggio è solo di tredici membri. Anche qui si tratta di una simulazione. C’è anche un bambino che sostiene che si tratta di un trucco, di un inganno… Tre anni prima un ancor giovane James Ballard aveva scritto il racconto che ispira e dà il titolo al telefilm. Anche lì c’era un bambino, Abel, che sapeva.
La science fiction continua a gettare semi, che prima o poi maturano. Da Ballard a Ballard, da Abel a Christa e alla sua comunità claustrofobica e ingannatoria.
LETTURE
— James G. Ballard, Tredici verso Centauro, in Tutti i racconti 1956 – 1962, Fanucci, Roma, 2003.
— James G. Ballard, La mostra delle atrocità, Rizzoli, Milano, 1991.
— James G. Ballard, Il condominio, Feltrinelli, Milano, 2014.
— Robert A. Heinlein, Universo, Mondadori, Milano, 2014.
— Robert A. Heinlein, I figli di Matusalemme, Mondadori, Milano, 2008.
— Bill Kaysing, Non siamo mai stati sulla Luna, Cult Media Net, Roma, 1997.
VISIONI
— J. J. Abrams, Joseph Boccia, Athena Wickham, 22/11/’63, Bad Robots Productions, Warner Bros. Television, 2016.
— Peter Hyams, Capricorn One, Cult Media, 2011 (home video).
— Peter Potter, Thirteen to centaurus, Out of the Unknown 1x11, BBC, 2014 (home video).
— Brian Singer, X-Men 1, in X-Men. La trilogia, 20th Century Fox Home Entertainment, 2015 (home video).
— Zack Snider, Watchmen, Universal Pictures, 2011 (home video).
— Peter Weir, The Truman Show, Universal Pictures, 2011 (home video).
— Joss Wheldon, Jack Wheldon, Marissa Tancharoen, Agents of S.H.IE.L.D. (I stagione), Walt Disney Studios Home Entertainment, 2016 (home video).