BUSSOLE | QDAT 61 | 2016

 


ASCOLTI / TAI FEST #1 VOL.1 & 2


di Tai No-Orchestra / Setola di maiale, 2016


 

Oltre il bordo di una Terra piatta


di Sandro Cerini

 

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In Il Pellegrino delle stelle – avventuroso graphic novel argentino degli anni Settanta – la visionaria sceneggiatura di Carlos Trillo raccontava (mirabilmente accompagnata dalle tavole di Enrique Breccia, specie nell’edizione in bianco e nero) dell’inarrestabile precipitare di un vecchio brigantino inglese entro una voragine apparsa misteriosamente nell’oceano, dopo un’estenuante bonaccia. L’avido equipaggio, già sull’orlo dell’ammutinamento, decide di consegnarsi a una morte inesorabile, fuggendo vanamente – su scialuppe gravide d’oro – dall’orrido maelstrom verso cui volge la nave. Il capitano Harris Conrad resta invece sul bastimento, insieme al vecchio lupo di mare Jonah e al giovane mozzo O’Flagherty, preferendo, piuttosto, gettarsi verso l’ignoto.

Ingoiati dal baratro, trasportati in una parallela galassia misteriosa, i protagonisti scopriranno che il Pellegrino può volare nello spazio stellare, grazie a un flauto magico, ed esploreranno l’ignoto: quello dello spazio esterno e quello celato entro se stessi.

La spirale vertiginosa che attrae verso l’oscuro, così ben evocata nel fumetto, ha del resto precursori letterari di stirpe analoga, ma blasone maggiore, se è vero che Jorge Luis Borges amava sottolineare che la letteratura ha natura “sempre segreta e mutevole, in ogni riga che ricevo o che scrivo”. Sicché, pur avendole consacrato la vita, negava la certezza di conoscerla e rifiutava di offrirne definizione, perché “il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio”.

La musica improvvisata esprime con pari forza e dignità l’essenza più intima del viaggio iniziatico (del musicista) verso l’ignoto, celebrata nel noto paradosso enunciato da Ralph Ellison, secondo cui l’improvvisatore (il jazzista) deve perdere la sua identità nello stesso ineffabile momento in cui la afferma, in un processo creativo nel quale, come osservava pure Steve Lacy, “dimenticare non è meno importante che apprendere”.  

La T(erra) A(ustralis) I(ncognita) No-Orchestra, impone già per mezzo del nome prescelto una forte identità estetica, che comprende, illustra e spiega lo spirito con il quale viene praticata l’improvvisazione: il coraggio e il gusto di gettarsi verso l’ignoto.

La “non orchestra” (che nega di sé anche la natura di collettivo, affermando piuttosto la propria peculiare essenza di “censimento” o di “chiamata”), nasce dall’incontro, nel maggio del 2013, fra le idee (fisse?) di tre sodali di lunga frequentazione: Massimo Falascone (cfr.  "Quaderni d'Altri Tempi" n. 48), Roberto del Piano e Roberto Masotti. Il primo sassofonista, improvvisatore, compositore (istantaneo e non), manipolatore in tempo reale di suoni elettronici; il secondo, per sua stessa definizione “bassista elettrico di estrazione jazz (storica la sua permanenza nell’Idea Trio di Gaetano Liguori, assieme a Filippo Monico) da sempre incapace di seguire le regole”; il terzo fotografo di rinomanza internazionale assoluta, nonché non-musicista, “mescolatore” di suoni e immagini.

Il Clockstop Fest 2016, tenutosi a Noci nei giorni dal 13 al 15 maggio, ha offerto l’occasione privilegiata per un piacevolissimo incontro con i tre fondatori, anche a margine (e in occasione) della prima fatica discografica della non-orchestra: i due album – rigorosamente separati – editi da Setola di maiale, che riportano la cronaca del Festival TAI tenutosi al Moonshine di Milano giusto due anni fa, dal 12 al 16 maggio del 2014.

Roberto Del Piano ha sottolineato come l’idea iniziale sia presto sfociata nella proposta fatta ad altri musicisti di rispondere alla “vocazione”: 

 

“Si era pensato inizialmente a una lista di persone da invitare, alla quale però hanno aderito tutti, e anzi di più! E questo è stato il primo problema che ci siamo trovati ad affrontare. Il primo incontro alla Casa del Popolo di Lodi si è rivelato, in termini operativi, un vero e proprio disastro. Per questo l’espressione no-orchestra ha assunto in seguito un significato specifico e una funzione propria”.

 

I due dischi ne offrono conferma, con l’insieme dei chiamati all’impresa a scomporsi e ricomporsi tra loro, in incontri per formazioni ridotte, dal duo al sestetto.

La cifra caratteristica del progetto è nella coesistenza tra forme espressive musicali improvvisate (assai diversificate tra loro) e spunti di visual art: essa assume importanza decisiva nell’economia complessiva del progetto.

È estremamente stimolante riflettere sul fatto che, in una società che vede accentuate le proprie naturali inclinazioni video-centriche (per effetto di una rivoluzione digitale che l’ha ormai sovvertita dalle radici), il progetto TAI (che è fusione di aspetti musicali, performance e stimoli visivi) riesca a valorizzare in massimo grado l’improvvisazione e il suono, sfuggendo al rischio di affermazione unica dell’“egemonia culturale del vedere”, riportando quella che è stata definita “l’ontologia della vista” (Sparti, 2007) all’interno di un flusso che trova il proprio bilanciamento, in una compiuta mescolanza, comprensiva anche di azioni umane e non soltanto quelle strettamente connesse all’evento performativo di tipo musicale-improvvisato (ne valga come piccolo esempio il filmato

EXP(L)Oring n.1 specificIMPRO (teaser), riportato nel link in Visioni a piè di pagina). Questo è in fondo l’obiettivo più ampio dell’improvvisazione, come ricerca di un suono e di una essenza artistica comuni. Il punto è stato chiarito da Massimo Falascone nel corso della conversazione: 

 

“È necessario avere con sé tutta la propria esperienza di esseri umani e di musicisti, perché quando ci si pone in viaggio verso terre sconosciute si deve avere un bagaglio con sé, ma non utilizzarlo per mettersi in evidenza. È essenziale l’abbinamento tra improvvisazione come fatto umano, musica e strumenti di interazione elettronica, rispetto ai quali si può interagire in tempo reale, manipolando immagini e suoni e realizzandone la commistione”.

 

La predominante umana ha un ruolo essenziale, anche rispetto all’uso dell’elettronica. Roberto Masotti ha sottolineato il rischio che, in epoca digitale, possa esserne fatto un utilizzo troppo “facile”: 

 

“Mi riferisco a un uso generico, non consapevole. Il rischio è connaturato a sviluppi dell’elettronica di tipo hi-fi, che tuttavia possono rivelarsi insoddisfacenti, mentre un uso consapevole della stessa può risultare pienamente riuscito, anche se è low-fi. In questo senso l’uso ottimale è quello di una tecnologia che sai e non d’una che hai”.

 

L’improvvisazione del resto non ha forme e significati univoci, i percorsi sono molteplici e personali ed essa può essere anche soltanto una parte del modo di esprimersi del singolo musicista. Non è necessariamente detto che si raggiunga un momento di sintesi, di certo c’è una fase di scomposizione, con i materiali utilizzati che possono fondersi, ma anche rimanere come fonti distinte, parti di un sistema creativo multi-livello.

Questo e molto altro ancora è nei due album, che si segnalano intanto per l’organico tanto variegato quanto straordinario, che comprende, oltre ai tre “fondatori”: Mario Arcari (oboe, clarinetto, ocarina, armonica), Stefano Bartolini (tenore), (Silvia Bolognesi (contrabbasso), Paolo Botti (viola, banjo), Angelo Contini (trombone), Giancarlo Locatelli (clarinetto basso), Gianluca Lo Presti (sounding visuals), Claudio Lugo (soprano), Riccardo Luppi (tenore), Filippo Monico (batteria), Pat Moonchy (voce, elettronica), Robin Neko (elettronica, acting), Alessandra Novaga (chitarra), Edoardo Ricci (contralto), Eugenio Sanna (chitarra), Alberto Tacchini (tastiere). 

È evidente che una sfida nella sfida è stata quella di far coesistere personalità cresciute in ambiti completamente diversi (classico, jazz, free, addirittura krautrock).

Ciò che immediatamente colpisce nell’ascolto dei due album è il notevole livello di omogeneità (e di coesione d’insieme) della musica, che non soltanto risponde a delle coordinate estetiche evidentemente condivise dagli Artisti, ma riesce in gran parte a proporsi come vera e propria composizione istantanea, garantendo la tenuta di un forte aspetto di struttura.

Ciò del resto è parte essenziale e funzione dell’idea di base, che prende corpo nel rifiuto di atti performativi che si risolvano nell’erigere una barriera contro l’ascoltatore.

Tra i momenti più riusciti dei due dischi (comunque di livello altissimo e in grado di garantire, senza cadute di tensione, la tenuta di un mélange sonoro originalissimo che comprende squarci classici, psichedelica, momenti informali, torride divagazioni elettriche), vanno segnalati, nel primo disco, il trio di apertura Monico-Tacchini-Falascone (set del 12.5.14); quello Monico-Lugo-Del Piano (set del 13.5.14) e il rarefatto duo Luppi-Sanna (set del 15.5.14). Nel secondo disco, menzione obbligata per il visionario duetto Falascone-Novaga (set del 12.5.14) e per la suite Botti-Arcari-Locatelli-Bolognesi, “classica” eppure insieme ribollente.

Un prezioso viatico, dunque, per continuare l’inesausto viaggio verso le terre incognite e garantirsi l’auspicato approdo all’agglutinazione orchestrale definitiva. 

 


 

ASCOLTI

— Massimo Falascone, Variazioni Mumacs – 32 short mu-pieces about macs, Public Eyesore, 2014.
Roberto Del Piano, La main qui cherche la lumière, Improvising Beings, 2016.

 


 

LETTURE

— Ralph Ellison, Uomo invisibile, Einaudi, 2009.
Ralph Ellison, Living with music, Modern library, 2002.
Orchestra Tai, http://www.orchestratai.com/.
Ernesto Scurati, Sulle tracce di Massimo Falascone, intervista a Massimo Falascone, http://traccedijazz.it/.
Davide Sparti, Il corpo sonoro, Il Mulino, 2007.
Carlos Trillo, Enrique Breccia, Il Pellegrino delle stelle, Allagalla, 2010.

 


 

VISIONI

— Improvvisando TAI NO-ORCHESTRA, https://www.youtube.com/watch?v=YyMzFve-Grc
TAI NO-ORCHESTRA - EXP(L)Oring n.1 specificIMPRO (teaser), https://youtu.be/wQimYwJNZPo.
The Crackle Legacy – Tartina Sandwich, https://www.youtube.com/watch?v=dCCZybftSSU.