Le
bussole rotte e il telescopio internato | |
di Raffaele Bruno e Rosa Saviano | |
“L’arte ha una scorza esterna che porta piacere, approvazione, che la
fa accogliere alle percezioni umane, ed un velato interno di contenuti forti,
pulsioni od angosce, fantasie o drammi”.
Wilfred Bion
Sigmund Freud Nel lavoro con i pazienti
psichiatrici gravi, o molto gravi, non è insolito osservare che ad un certo
punto della malattia essi comincino a dedicarsi ad
attività creative. Tali attività non vengono intraprese
solo occasionalmente, ma riempiono la maggior parte della vita di alcuni di
loro, proprio come Nanof. Si manifesta in
essi un quid che ha le sembianze di un incontenibile impulso a creare,
utilizzando i materiali e gli strumenti più diversi.
C’è da chiedersi,
quindi, la creazione artistica può rappresentare per costoro un mezzo
espressivo di valore uguale o leggermente superiore alla parola e alla
scrittura? E Nanof cosa
voleva comunicarci? Si potrebbe ipotizzare che la sua
enigmatica produzione - graffiti, cartoline e disegni - sia un veicolo
attraverso cui potersi esprimere, attraverso cui poter comunicare e, nello
stesso tempo, poter nascondere ciò che non può, o non può
ancora, essere espresso. La creatività, crediamo, si possa offrire a Nanof come la soluzione scelta per mettere in contatto col
mondo esterno la sua verità interiore, scavalcando d’un
balzo sia le prigioni psichiche della follia sia le espressioni compiacenti di
un adattamento, che può configurarsi in alcuni casi – personalità “come se“ (Deutsch, 1942) – come l’altro versante di una manifestazione
patologica. Tali manufatti potrebbero configurarsi come oggetti transizionali (Winnicott, 1971),
percepibili fuori di sé e nello stesso tempo investiti d’una
parte molta intima di sé, un ponte tra mondo interno e mondo esterno. In tal
senso l’operazione artistica, attraverso la conquista del simbolico, sarebbe
indirizzata a trasformare il mondo interno assediato da fantasmi inconsci
portatori di angoscianti progetti distruttivi e di
morte in un luogo bonificato e ricreato armonicamente (Segal,
1991). Le parole di Platone nel Simposio
sembrano offrire un sostegno a questa ipotesi di
lettura: “L’arte ha una scorza esterna che porta piacere, approvazione che la fa
accogliere alle percezioni umane ed un velato interno di contenuti forti,
pulsioni od angosce, fantasie o drammi”. Forse il doppio statuto dell’arte è
riproponibile nell’effetto di doppio presente nell’acronimo Nanof scelto da Nannetti – Nannetti quando parlava del graffito da lui realizzato, ragionava del suo autore, Nanof, come di "altro da sé" - un acronimo che definisce una parte
di Nannetti, ma potremmo dire di noi, una parte
presente ma taciuta, quella parte confinata, distanziata, lontana perché non può
essere né guardata, né vista dalla
società e tanto meno accettata. Tale parte è, nel contempo, talmente vicina da
risuonare in ognuno di noi ogni volta che desideriamo ardentemente
di essere liberi di
provare quello che si prova, invece di quello che sarebbe necessario provare.
Ma se da un lato la scelta della follia libera dalle catene
della società, dai vari condizionamenti, dalle sovrastrutture, dall’altro
allontanarsi dalla “realtà”, l’acquistare
un biglietto per un viaggio di sola andata, “dal mondo comune (Gemeinsamwel) al mondo proprio (Eigenwel)”,
… “dalla compagine più condivisa e sicura del mondo comune all’autismo del mondo
proprio” (Di Petta, 2002) – immaginiamo Nanof dedito alla sua opera: davanti a sé la grandiosità di
un “libro con pagine alte quasi due metri” e alle sue spalle tutto il resto, il
(l’altro) mondo – spaventa, impaurisce, significa, forse, vivere il Dies irae, l’ora,
come dice Celan, che non ha più sorelle (Szondi, 1990), vivere la fine del tempo umano e la fine
della storia, la fine del mondo, per poi assistere ad una palingenesi
individuale e cosmica. La realtà che ci circonda è l’unica
a noi nota, l’unica bussola in nostro
possesso attraverso cui orientiamo il nostro viaggio su
questa terra, attraverso cui indirizziamo il nostro cammino … ma quando,
passando per l’ora zero, questa
bussola si ferma, si immobilizza, come poter riprendere l’iter iniziato? Verosimilmente Nanof attraverso
le sue produzioni, il cercare di mettere in formule, di rappresentare e ordinare
attraverso diagrammi le possibili associazioni di metalli, figure geometriche,
colori, numeri, creando una sorta di “scienza delle corrispondenze” (Fattori,
2003), nonché il “suo ragionare di tecnologie, di
pianeti, di eventi storici immaginari” (Fattori, 2003), ha cercato di ripetere
l’affascinante e personale genesi del mondo, che ognuno di noi è chiamato a
compiere almeno una volta nella vita, nel tentativo di ridare un ordine –
riavere una bussola, ma questa volta la scelta può avvenire solo tra le bussole rotte, ovvero tra quelle che non sono più in grado di condividere
con le altre la convenzionale posizione del Nord – ad un disordine che non è più
un mondo percorribile, un tentativo di ri-creare quella condizione base che, per
tutti noi, costituisce “l’evidenza naturale” (Blankenburg,
1971) del mondo e quotidiano, e che proprio quando viene meno mostra il suo
ruolo fondamentale nel nostro esistere. Ed è, infatti, proprio grazie a questo
particolare sentimento, l'ovvietà dell'evidenza del mondo, che sfugge
abitualmente alla consapevolezza ordinaria e quotidiana, che
entriamo in relazione con le cose, con chi ci sta intorno e con noi
stessi. Questo tentativo di ri-creare il mondo, che potremmo considerare la
prima e più grande opera d’arte di Nanof, teso a
raggiungere il momento in cui, finalmente, tutto riacquista senso, le cose che
per tanto tempo erano state oscure si chiariscono, o per, dirla alla Conrad, la fase apofanica (Conrad, 1958), mostra un risultato bizzarro. In questo attraversamento si è
persa la possibilità di condivisione delle
evidenze, il risultato si dà a noi con le spoglie di un alieno[3]. Vorremmo, infine, al di là di un
giudizio di valore e di qualità della produzione di Nannetti,
avvicinarci, seppur brevemente, alle modalità che la società riserva al
trattamento dell’alterità, e non solo nella forma
dell’alienato. A tal
proposito la lettura data da Mistura nella relazione “L’incontro con l’altro.
Dal folle allo straniero” ci è sembrata interessante e
stimolante: “Noi abbiamo paura della diversità: questo è già follia ed è anche
un modo per difendersi da essa. Vorremmo creare distanze e porre
confini precisi, ma non ci siamo riusciti del tutto: il
confine, infatti, separa accomunando”. … “Abbiamo
medicalizzato la follia, ma non abbiamo certo neutralizzato la diversità,
né abbiamo diminuito la nostra paura a fronte dell’Altro diverso”.
… “Come se ogni società avesse bisogno di costruirsi una realtà ed un fantasma
della diversità per costruirsi e mantenere la propria identità. Come se
non potessimo avere una identità senza mettere in atto
qualche meccanismo di identificazione o di esclusione di coloro che sono diversi
da noi” (Mistura, 2000). Probabilmente il vivo interesse che
Nanof ha suscitato in alcuni di noi, potrebbe rappresentare un canale
di apertura all’alterità, alterità che nei
manufatti del nostro uomo lontano e vicino presenta l’ombrosità o
l’incomprensibile bizzarria di atti e linguaggi quotidiani di un folle, e, come
gemma inattesa, prende la forma della creazione artistica. Una creazione
riconosciuta da alcuni, studiata da altri ed affascinante per tutti. Bibliografia
Bion W.R., Attenzione e
interpretazione, (1970) Armando, 1973.
Blankenburg W., Der Verlust der naturlichen Selbstverstaendlichkeit,
Enke, Stuttgart, 1971.
Conrad K., Die beginnende Schizophrenie.
Versuch einer Gestaltanalyse des Wahns,Thieme,
Stuttgart,1958
Deutsch H., Some forms of emotional
disturbance and their relationship to schizophrenia. (1942) Psychoanal.
Q., 11: 301-321 (trad. it.: Alcune forme di disturbo emozionale e la loro relazione con la
schizofrenia.
Psicoterapia e Scienze Umane,
1989, XXIII, 4: 91-108; anche in: Deutsch H., Roazen P., Zilboorg G., Il sentimento assente [“L'osservazione
psicoanalitica, 5”]. Torino: Bollati Boringhieri,
1992, pp. 51-77).
Di Petta G., Il mondo
vissuto. Clinica dell’esistenza-fenomenologia della cura, Ed.
Univ.
Romane, Roma, 2002.
Fattori A., L'ultima protesi: Figli della pietra e della
carne,
http://etc.dal.ca/belphegor/ , Vol. 2, N. 2,
aprile 2003, L’organico e l’artificiale.
Freud S. Saggi sull'arte la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino
Freud S. Il poeta e la fantasia, in Opere Complete 1905-1908, vol. V, Boringhieri, Torino 1972.
Mistura S, L’incontro con l’altro. Dal folle allo
straniero. Relazione letta al convegno Crisi e cronicità.
Reggio Emilia, 2000.
Segal H., Sogno, fantasia e arte. Cortina, Milano, 1991.
Szondi P., 1990. Poetry of constancy – Poetica della costanza. La traduzione di Celan del sonetto 105 di
Shakespeare. In L’ora che non ha più sorelle.
Gallio, Ferrara.
Winnicott D.W., (1971) Gioco e
realtà, Armando, Roma 1974. [1] Il processo della creazione artistica, così come qualsiasi processo creativo e conoscitivo non è esente da difficoltà e pericoli: affrontare l'ignoto e accogliere dentro di sè un idea nuova comporta il tollerare un insieme di forti sentimenti di rischio e di imprevedibilità: Wilfred Bion paragona tale vissuto al timore di un crollo psicotico, alla paura della pazzia. [2] È lo stesso Freud ad indicare più volte nelle sue opere che nell’inconscio preso di per sé non vi sia nulla di artistico, e che “l’arte vera comincia con le velature dell’inconscio», così «il poeta addolcisce il carattere della sua fantasticheria alterandola e velandola». [3] Seppur esula da questo scritto un’approfondita, quanto interessante, analisi etimologica dei termini alieno e alienato, nonché un’analisi del posto che tali termini hanno avuto nell’evoluzione della conoscenza psichiatria e delle “pratiche ad essa connessa, non possiamo non evidenziare che hanno la stessa radice ben affondata nell'alterità.
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