Identità (non più) nascoste | |
di Giuseppe Baresi | |
Foto
di riconoscimento, segnaletiche, o per le cartelle cliniche. Migliaia
di fotografie impresse su lastre di vetro, fatte durante il fascismo, la guerra
e il dopoguerra di internati nel manicomio di Milano. Ritratti di donne,
uomini, bambini internati al Paolo Pini dal 1929 al 1950. Impressi
su lastre di vetro, tenuti in centinaia di scatole a dieci lastre, nascosti o
dimenticati su qualche scaffale in una cantina del manicomio… Mi è stato
chiesto di filmare una prima parte di queste lastre fotografiche, per poterle
proiettare nello stesso cortile o prato dove questi uomini e donne hanno
camminato ho almeno visto alberi, porzioni di cielo, dalle loro finestre. “Ritratti
sorprendenti con lo sguardo diretto, un concentrato di soggettività,
l'espressione dei volti. Per il resto tutti sono vestiti con le tute
istituzionali, nessun oggetto personale. Ritratti fatti per le cartelle
cliniche, per riconoscimento delle migliaia di persone internate, schedate. Ma
sono dei veri ritratti. Nessuno fino ad ora li ha visti. Non
rappresentavano un valore nel suo insieme. Il manicomio è un luogo che rende
invisibili. Rende invisibile la malattia, appiattisce le identità, cancella la
memoria. Raccontare,
mostrare chi sono queste persone, come sono fatti questi luoghi rendere
visibili le persone, ricostruire le memorie è un modo concreto per la loro e la
nostra liberazione”.[1] Persone
messe davanti alla macchina fotografica, per l'occasione lavate e pettinate con
le tute del manicomio probabilmente stirate. Su
una sedia, con alle spalle lo stesso muro, in cortile per avere più luce per
esporre le lastre poco sensibili. Ho
pensato di mostrare anche il gesto, il procedimento che compievo per aprire
quelle scatole piene di polvere, sollevare una pellicola contenente l'elenco
dei nomi, poi dei sottili fogli di carta rossa che separavano le lastre tra
loro proteggendole in parte dall'umidità e dal tempo ed il momento in cui
appoggiandole con cura sul visore sotto all'obiettivo passavo dal negativo al
positivo. Era come aprire una porta e poi un'altra e un'altra ancora, scoprire
e incontrare per la prima volta lo sguardo di ognuna di queste persone trovarla
lì davanti a te, quasi a scambiarsi un saluto. Ho
cercato di portare l'intensità e l'emozione che mi era stata momentaneamente
affidata insieme a queste lastre così sensibili. Il
lavoro fatto in quelle notti aveva qualcosa in comune con l'entrare in un sogno
o in un viaggio nel tempo. Aprire
quelle scatole è stato come ritornare allo stesso pianeta di Nannetti Oreste
Fernando da cui Nanof …continua a trasmettere mediante quadrante e per effetto
naturale… Come
se lo stesso radar ripetuto tante volte sul muro scritto, graffiato del cortile
dell'ospedale psichiatrico-giudiziario
di Volterra (osservato oltre venti anni fa con dolcezza dalla cinepresa di
studio azzurro che io stesso avevo il privilegio di muovere) avesse voluto
indicare la posizione di nuovi pianeti, collegare altri universi, portarci
nuove notizie di suoi abitanti.
[1]
Thomas
Emmenegger per Il film/video Identità
nascoste, voluto dalla Associazione Olinda, realizzato e pensato da
Giuseppe Baresi con l'accompagnamento live del violoncello di Mario Brunello
per la sua prima (e sinora unica) proiezione nella notte del 25aprile 2004
nell'Ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini.
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(1) [2] |