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Su quel monte, ha scritto recentemente Marco Belpoliti,
solo le bambine molto piccole sanno intuire le Dunque sarà quella pietra a dar forma concreta ai sogni diurni del postino,”quelle fantasie ben note ad ognuno”, come Freud aveva già intuito nel 1907, permettendo così di soddisfare desideri nello stesso modo dell’esperienza onirica notturna. La sua pietra Cheval l’ha incastonata nella terrazza del Palais: se il palazzo è la stanza delle meraviglie del postino, la pietra ne è l’oggetto magico e inaugurale che annuncia l’urgenza del viaggio e l’inevitabile ritorno ad una meta. La pietra appartiene, così, a quella categoria di oggetti che individuano, grazie ad una loro particolare natura, il luogo originario e alimentano fantasie di conoscenza. Oggetti ed esperienze, dunque, che possiedono la proprietà di attivare memoria e desiderio, pensiero e affetti. Bruce Chatwin, nel suo libro inedito sui nomadi, ricorda il valore fondativo di questi oggetti: la vetrinetta di famiglia, un mobile vittoriano nella sala da pranzo della nonna paterna, era per il piccolo Chatwin una vera e propria “stanza delle meraviglie”, che esaudiva questa funzione magica e così necessaria per la crescita. Una piccola wunderkammer, dunque, che custodiva oggetti per lui misteriosi, capaci di ispirare i suoi primi racconti. Quei piccoli oggetti erano per lui “cose” cui dare un nome, giochi “da maneggiare”, indispensabili, in quella atmosfera illusionale, per attivare le capacità potenziali di sentire e di pensare. Ad Hauterives si ha come l’impressione che Cheval abbia strappato il suo Palais al sonno della materia: l’umile postino si inventa costruttore che restituisce alla pietra tensione e sorpresa, eleganza e ornamento. Qui l’eccentrico si mischia al familiare, perché il Palais sa di Francia profonda, rurale, ne richiama l’appartenenza nella grandeur ingenua e nell’enciclopedismo architettonico. Cheval scriverà di aver appreso dai geologi locali l’arte di riconoscere i depositi alluvionali lasciati dai “mari antichi”: conchiglie ben conservate e argilla blu, pietre di fiume simili a spugne. Quelle stesse pietre che già avevano affascinato Stendhal, come aveva annotato nei suoi Quaderni di un turista del 1838, che diverranno elementi decorativi ad arricchire le trame architettoniche del Palais, in una sorta di réverie della materia, dove la pietra diventa l’oggetto da cui si propaga la vitalità dell’immaginario. Nell’uso sapiente della pietra Cheval guarda a sud, allude al mare che il Rodano porta a risalire non lontano da Hauterives: le conchiglie che decorano il palazzo ne sono l’eco e la nostalgia, sanno di una Drome provenzale che già si apre alla luce totale del Mediterraneo, lontana dalle ore saturnine dei visionari che cercano, come ha scritto Henri Focillon in pagine straordinarie, le ore intermedie, mescolando ai raggi del sole qualcosa della luna e della lampada.
Tuttavia quei mostri ci sono familiari, ancora una volta ricordano l’appartenenza di Cheval al suo contesto e ad una storia: la Francia dell’immaginario tardo-medioevale fa dunque capolino nell’horror vacui architettonico del Palais, è la Borgogna romanica descritta da Henri Focillon, che “vive del fantastico delle immagini e insieme della logica dell’architettura”. Le metamorfosi di Cheval, i suoi intrecci zoomorfi, sono il già visto nei capitelli dell’Abbazia di Vezelay, meta nel Medioevo di grandi pellegrinaggi, nelle pitture di Rogier Van der Weyden per l’altare di Beaune, o nel timpano della cattedrale di Autun.
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