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di Gennaro Fucile

 

Rimuovere la statua di un leader politico, è un buon modo per segnalare il cambiamento di un’epoca. La più grande deposizione di statue dai tempi dell’Impero romano è stata sicuramente quella seguita all’abbattimento del Muro di Berlino. Muro che a sua volta è stata forse la statua per eccellenza, quella che meglio raffigurava gli uomini del potere, senza bisogno di fattezze antropomorfe. Non tutte le statue però sono state fatte a pezzi. All’inizio di questo millennio, in Lituania, una delle ex repubbliche dell’Unione sovietica, ci si è presa la briga di rinchiudere come in una riserva indiana tutte le statue ancora reperibili del regime comunista. Questo luogo, in un certo senso ai confini della ex realtà socialista, si chiama Gruto Parkas. Il parco, circondato da filo spinato, ospita anche le torrette di guardia originali utilizzate nei gulag e nei campi di lavoro, ma soprattutto è abitato da statue, di Karl Marx, di Stalin e in gran numero da quelle di Lenin, più risparmiate dalla furia vendicatrice del dopo Muro rispetto al georgiano che gli succedette alla guida del Pcus. Busti di Lenin, oppure Lenin seduto e quello classicamente in piedi che arringa il proletariato. Un parco abitato da fantasmi, ciò che resta di un mondo e di chi lo ha retto per circa settant’anni, prima di finire a fare la concorrenza ai parchi dedicati ai dinosauri sparsi per il mondo. Dei odiati e decaduti come i Moai dell’isola di Pasqua.

Al contrario, una centenaria vispa e vincente è stata quest’anno al centro di molte attenzioni. A partire dallo scorso 27 febbraio si è iniziato a festeggiare i cento anni della bottiglia in vetro della Coca-Cola, prima ad Atlanta, Georgia, Usa, dove c’è il quartier generale di Coca-Cola Company e poi in tutto il mondo. Parliamo di un’icona del Novecento, dal “design così distintivo da essere riconoscibile anche solo al tatto o, addirittura, frantumato in mille pezzi a terra”, come è stato più o meno riassunto il brief che portò il 16 novembre 2015 alla nascita di quella bottiglietta. Per celebrarne degnamente l’anniversario, la multinazionale ha allestito una delle più grandi campagne di marketing della sua storia, The Coke Bottle 100 Campaign, pensata per ben 130 dei mercati nei quali opera con oltre 500 marche di bevande gassate e non gassate. Si è pensato di tutto: mostre, libri, app, spot per la tv e il web e così via. Tenuto presente che ad Atlanta di marketing se ne intendono non poco e basti pensare a Babbo Natale ( www.quadernidaltritempi.eu/numero29), si capirà meglio l’importanza data al compleanno della bottiglietta.

Da un lato le statue di Lenin in declino, dall’altro le bottigliette di Coca-Cola, che si inclinano solo per essere consumate, cioè quando festeggiano il loro trionfo. La centralità del consumo, la sua capacità di creare miti flessibili e identificazioni praticabili, segna qui un ulteriore passaggio dello scontro, vittorioso e ormai conclusosi, nei confronti di un’altra visione del mondo; quest’ultima deficitaria non solo sul piano produttivo, non soltanto rispetto al soddisfacimento dei bisogni, ma anche sul piano dell’elaborazione teorica. Una riflessione non solo critica dell’esistente, ma capace di immaginare relazioni altre con gli oggetti, con il cibo, con i gadget, considerati in tutte le loro dimensioni, ovvero con il loro intero corredo di immaginario. Un’idea differente di consumo è tuttora assente, insufficiente quantomeno, se pensiamo alla decrescita felice.

 

Quel corredo coincide con il tutto per quanto riguarda la bottiglietta della Coca-Cola. In questo caso addirittura si festeggia l’involucro e non il contenuto, che possiede, a sua volta, un proprio statuto mitico, una propria narrazione. Pionieri, perché oggi è prassi diffusa da pare delle aziende spendere risorse in autobiografie; oggi lo storytelling è una ricetta di markentig generalizzata. Un involucro di vetro e uno di marmo, ma dunque non è questione di materia prima se il vetro ha mandato in pezzi il marmo, sovvertendo le leggi della natura. L’involucro ideato ad Atlanta non è atto solo a contenere una bevanda magica, ma è un’icona dotata di vita propria, che ha interagito con artisti, musicisti, con il cinema e la fotografia, da Andy Warhol a Salvador Dalì, da Elvis Presley a Marilyn Monroe, arricchendo il suo racconto. Le statue ora esiliate al Gruto Parkas facevano ricorso a forme inadeguate, ottocentesche, guardavano indietro; non fu un caso che tutte le avanguardie artistiche vennero ridotte al silenzio. Il vero scudo stellare che sconfisse i presunti marx(z)iani, i temutissimi invasori, era un intero schieramento di narrazioni stratificate: Coca-Cola, così come Barbie, di cui si parla diffusamente in questo numero, ma potremmo dire altrettanto di Harley Davidson, senza parlare delle armate chiamate Disneyland, McDonald e Hollywood.

Scudo stellare e guerre stellari. Tornando nelle ex repubbliche sovietiche, tra statue e bottigliette, la Storia fa simbolicamente un giro di boa a Odessa, nel sud dell’Ucraina, dove si cerca la sintesi in nuove statue. Qui, lo scorso venerdì 23 ottobre, è stata inaugurata una statua di Darth Fener, il cattivo di Star Wars, creata da Alexander Milov modificandone una di Lenin che era esposta nello stesso luogo.

 

Secondo quanto scrive The Guardian la statua funzionerà anche da hotspot per la connessione wi-fi. La scelta di Darth Fener non è casuale, poiché gode di una certà popolarità a Odessa, al punto che nel maggio del 2014 il Partito di Internet d’Ucraina lo aveva candidato a sindaco nelle elezioni comunali della città. Milov, a sua volta, è un artista ucraino discretamente noto: uno dei suoi lavori è stato esposto quest’anno al festival del Burning Man, il “raduno più folle, situazionista e radicale che si tiene ogni anno a Black Rock City, nel deserto del Nevada dal 1990” ( www.quadernidaltritempi.eu/ancore12). Riti neoterici, hollywoodismo, fantascienza, web, idolatria di ritorno, pop art, che razza di cocktail è questo? Abbiamo un artista molto apprezzato tra i seguaci di nuovi millenarismi, di culti New Agers che lavora su una statua sopravvissuta al disastro (dell’Urss) e alla deportazione (nel Gruto Parkas) e la trasforma in un personaggio di finzione della saga/marca di fantascienza che ha conquistato il mondo, ma lo fa scegliendo l’eroe negativo, che viene messo al servizio degli utenti della rete per la connessione wi-fi, i consumatori del terzo millennio, quelli che prima di tutto si cibano d’informazione. Che cosa ci racconta questa nuova statua? Testimonia l’avvento di un mondo più ludico, di un gioco del mondo fatto di composizioni private, individuali e sociali al tempo stesso, certo; indica anche la contaminazione tra i generi narrativi, il fallout fantascientifico nella vita quotidiana, l’insorgere contro il razionalismo di stampo illuministico; segnala pure l’inevitabilità del male assoluto, signore incontrastato della migliore serialità televisiva, cosicché tanto vale (fingere di) idolatrarlo. Vorrà pur dire tutto questo, ma potrebbe anche incarnare l’essenza stessa del Male: perché non vuol dire niente.