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di Gennaro Fucile

 

Tempo fa, un bel po’ di tempo fa, dal cielo piovve manna nutrendo folle di affamati. L’episodio è noto e ben documentato dal libro dei libri, quindi non sarà necessario aggiungere altro. Anche ai giorni nostri, sopra le nostre teste ricadono alcuni doni legati al cibo quotidiano, ma su questo qualche parola in più val la pena di spenderla, perché la nostra tavola quotidiana è imbandita in linea di massima grazie a tecnologie alimentari atterrate sul nostro desco dopo aver viaggiato nello spazio, allontanandosi dal pianeta Terra o ruotandogli intorno. Ci nutriamo assistiti dalle conseguenze indirette della ricerca applicata ai viaggi spaziali e facciamo anche altro grazie alle sue applicazioni nella vita di tutti i giorni; soprattutto chiacchieriamo, produciamo valanghe di dati, ci prendiamo cura del nostro corpo e altro ancora grazie agli avanzi della ricerca nello spazio e in generale della tecnologia militare che annovera tra i suoi laboratori anche satelliti e stazioni orbitanti. Avanzi riutilizzati, in un certo senso, come ci capita con i rifiuti che ricicliamo. A celebrare questa filiera produttiva, in fondo sottesa a tutto l’universo del consumo, ci ha pensato la mostra itinerante European Space Expo – Scopri quanto spazio c’è nella tua vita che dopo Roma è atterrata a Milano (dal 18 settembre al 4 ottobre 2015) in concomitanza con Expo 2015. 
In effetti lo spazio occupato dalla spazio… nel nostro quotidiano è ragguardevole: circa 30.000 applicazioni si basano infatti su tecnologie spaziali nei soli ambiti dell’agricoltura, dell’ittico e della salvaguardia dell’ambiente (ad esempio, il mare e la balneazione). Naturalmente tutto iniziò con la Nasa, che fin dagli anni Settanta cominciò a rendere disponibili migliaia di brevetti (i cosiddetti Nasa spinoffs) frutto delle esplorazioni spaziali, dagli utensili cordless ai cibi liofilizzati e a lunga conservazione. Tecnologia militare, applicazione civile, vita quotidiana, il ciclo è quasi completo. L’anello mancante è l’immondizia, gli avanzi, i rifiuti, le scorie del consumo, ma per chiudere il cerchio si deve tornare in alto, lassù in cielo dove nel secondo dopoguerra si è sperimentato un sistema di tracciabilità delle cose che grazie agli investimenti in campo militare si è potuto sviluppare e ha potuto ritornare sulla Terra appiccicandosi agli oggetti: la Radio- Frequency IDentification, oramai nota solo con l’acronimo Rfid. Se un essere umano, un animale, un oggetto viene accompagnato da un’etichetta elettronica (una tag), a distanza un apposito reader (lettore) sarà in grado in qualsiasi momento di ricavare la posizione del soggetto taggato, ovvero, in italiano del soggetto sul (o nel) quale è stato collocata l’etichetta elettronica. È noto il grande impiego che ne fanno il commercio moderno e il mondo delle industrie dei beni di consumo per rendere più efficiente la logistica, e di conseguenza già questo potrebbe bastare a far rientrare l’Rfid nelle tecnologie cadute dal cielo alla nostra tavola, ma non è tutto. Il cerchio può dirsi chiuso quando anche i rifiuti urbani vengono resi tracciabili, e succede in alcuni comuni italiani, che stanno sperimentando sistemi più avanzati per la raccolta differenziata. 

 

Cibo dallo spazio che in virtù del consumo diventa in parte immondizia che torna in cielo sotto forma di dati prima di iniziare un nuovo ciclo vitale. Anni fa, Bob Dylan venne perseguitato da un sedicente spazzaturologo, tale A. J. Weberman che iniziò a scandagliarne i rifiuti. La sua missione consisteva nello svelare il vero Dylan, che secondo lui si nascondeva dietro il personaggio pubblico.  Weberman lo idolatrava e cercava l’autentico separandolo dal falso scavando nell’immondizia. Tutto documentato anche da foto. Altri tempi, The Times They Are a-Changin' per dirla proprio con Dylan e oggi non occorre essere il poeta di una generazione per far passare la propria monnezza ai raggi X.
È quanto avviene sul piano della civiltà materiale, parimenti a quanto accade nei processi dell’immaginario collettivo, nelle sue forme, nei suoi generi. A ben vedere, però, questa separazione è del tutto obsoleta. Tutto avviene sotto lo stesso segno della scoria, di quel residuo che una volta fuori dalla sua sede originaria, contamina il nuovo contesto in cui si trova a operare. Rimaniamo nello spazio, dove invece si trasferisce materialmente non poca immondizia fatta di satelliti autorottamatisi, pattumiere orbitanti intorno alla Terra in un lento sgretolamento, e si prenda un caso oramai storico come quello della fantascienza nata come scoria del fantastico e finita con l’assorbire tutti i generi prima di finire in mille schegge conficcate nella vita quotidiana. Anni fa nacquero queste avventurose considerazioni che il tempo ha reso quasi ovvie: “Ispezionato con cura, l’intero scenario terrestre si presenta oggi, ai nostri sensi, come un’immensa raccolta di scorie. Scorie di oggetti, figure, paesaggi, situazioni in stato di mutazione permanente, quanto le forme di sapere che vi sono correlate. Scorie che eleggono ed edificano a fondamento e fine della produttività la rovina, decomponendo intimamente la società industriale. Un’economia della rovina dove la scoria si dà come sua condizione d’esistenza elementare” (Fattori, Fucile, Videoculture, 1988). 
Ecco che il nostro tour spaziale ci riporta dove eravamo partiti, alla rovina per eccellenza della scomparsa società industriale, il suo luogo di culto sorto a Milano: Expo 2015. Laddove le grandi esposizioni esibivano prodotti, frutto dell’attività umana seppur sfruttata e dell’ingegno, l’inutile (tranne che per affari immobiliari) fiera milanese espone racconti sui prodotti, gli stessi che finiscono sui packaging che poi ricicleremo o che dovremmo mandare a nuova vita: le filiere agro alimentari provenienti da ogni latitudine per raccontarsi, per trasporre in narrazione le attività di coltivazione, quelle di trasformazione e anche di confezionamento e distribuzione del cibo, come è ben riassunto dall’inutile sfoggio di tecnologia esibita nel supermercato del futuro visitabile a Expo 2015. 
Rovina per eccellenza, anche sul piano materiale, considerato il futuro incerto dell’intera area, Expo 2015 si impone come complesso monumentale cimiteriale della defunta società industriale, con il trionfo dell’intrattenimento, del turismo, delle narrazioni fluviali e della speculazione. Il Cardo e il Decumano, i due assi dove visitatori e dati scorrono incessanti, non a caso formano quasi una croce, se visti dall’alto, non troppo in alto. 
Più su, in cielo, la manna non si è più fatta viva, forse, perché l’idea di finire in un padiglione ed essere trasmessa in video deve essere proprio pesante da digerire.