VISIONI / NITRATO D’ARGENTO
di Marco Ferreri / CG Entertainment, 2015
Un'abbuffata di storia del cinema
di Andrea Sanseverino
“È ora che i film comincino a vedere i loro spettatori!” è il monito lanciato da un giovane componente di un gruppo di agguerriti cinefili che predicano la visione del cinema come un qualsiasi atto fisiologico. È solo uno dei tanti personaggi di Nitrato d’argento di Marco Ferreri, i quali, nella loro coralità, formano un unico coprotagonista, ossia lo spettatore cinematografico. Al giovane si aggiungono, tra gli altri, innamorati scandalizzati dai primi baci catturati dalle prime pellicole (“Che orrore! Il più sublime atto d’amore dovrebbe restar segreto!”); soldati d’ogni grado che attendono impazienti d’essere spediti al fronte e operai in sciopero che si concedono un diversivo; immigrati nel nuovo mondo provenienti da tutti gli angoli della Terra e bambini indisciplinati di tutte le epoche; suffragette agguerrite e affrante vedove di Rodolfo Valentino; partigiani francesi in fuga dai nazisti, afroamericani che rivendicano di potersi sedere insieme ai loro connazionali bianchi e paraplegici che rivendicano la possibilità di assistere alla visione del film come tutti gli altri; uomini e donne in cerca di piaceri d’ogni sorta. Dell’esperienza dello spettatore al cinema Nitrato d’argento traccia una lunga traiettoria che ha origine in quella sensazione di annullamento di spazio e tempo provata durante le prime visioni, la stessa che apparenta le prime platee a primi fruitori di un’altra grande innovazione ottocentesca, il treno, per i quali “il paesaggio nella cornice dei finestrini / corre furiosamente, e pianure intere / con acque grano alberi e cieli / vanno inabissandosi nel crudele turbine / dove cadono gli esili pali del telegrafo, / i cui fili hanno lo strano movimento di uno svolazzo” (Verlaine, 1992). I versi de La buona canzone sono ricordati da Francesco Casetti nel commentare un saggio molto interessante di Wolfgang Schivelbusch sull’analisi del passaggio dallo sguardo tradizionale, quello di colui che viaggia in carrozza o a cavallo, a quello panoramatico, caratteristico di chi è seduto nei vagoni, esperienza che più tardi assaporeranno quelli seduti nelle prime, più o meno comode, sale cinematografiche: “il viaggiatore/spettatore acquisisce quella nuova abilità che alcuni hanno definito la “filosofia del colpo d’occhio” e che consiste nel percepire il discreto indiscriminatamente mentre rotola sul finestrino/schermo. In quella che altri hanno definito “percezione panoramica” spariscono gli intervalli tra le cose, che tendono ad assomigliarsi più che a distinguersi, e la loro profondità lascia il posto ad una superficie dipinta bidimensionale” (cfr. Prato, Trivero, 1989). Saldo nella memoria collettiva dei cinefili grazie alla popolarità di una delle prime riprese dei fratelli Auguste e Louis Lumière, L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1896, il binomio cinema-treno tira in ballo anche il concetto velocità, e la voglia di gustarla: se l’abbandono dei precedenti mezzi di locomozione aveva fatto scoprire l’ebrezza di un diverso rapporto fra spazio e tempo, immagini riprese a sedici fotogrammi al secondo ma proiettate a ventiquattro rendevano gli attori vistosamente veloci quanto un po’ ridicoli, attori ai quali era stato inizialmente imposto di muoversi più lentamente di quanto facessero di norma affinché le sequenze fossero più realistiche sullo schermo, fino a quando i produttori non fiutarono l’affare legato al richiamo esercitato sul pubblico per questi innaturali movimenti accelerati (cfr. Kern, 1995). Tornando al film, va ricordato che Nitrato d’argento, realizzato nel 1996, è l’ultimo lavoro di Ferreri dietro la macchina da presa, un’avventura iniziata verso la fine degli anni Cinquanta, lontano dall’Italia, nella Spagna del dittatore Francisco Franco, ma nella quale Ferreri incontra Rafael Azcona, coautore di tante sceneggiature del regista milanese. Se Nitrato d’argento è stato scritto da Ferreri con la complicità di David Maria Putorti (che sarà primo assistente, tra gli altri impegni, di Nuovomondo di Emanuele Crialese, cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 33) e Gianni Romoli (sceneggiatore di alcuni drammi sentimentali di Ferzan Özpetek), il suo primo film è infatti tratto da un racconto dello scrittore madrileno, intitolato El pisito (letteralmente L’appartamentino), che narra le grottesche peripezie di due amanti in cerca di alloggio per coronare il loro travagliato sogno d’amore. La pellicola, uscita nelle sale nel 1958, non incontra però un particolare successo, non solo in Italia, ma anche nella stessa Spagna, paese che iniziava a riempirsi di edifici nelle periferie delle grandi città, conseguenza diretta del desarrollo, lo sviluppo economico cominciato proprio in quegli anni. Il primo film di Ferreri, tuttavia, rappresentava un’opera decisamente controtendenza: mentre il cinema di Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Luchino Visconti costituiva ancora un riferimento per gli autori in Spagna, El pisito era realizzato in maniera diversa rispetto a quei canoni, dal momento che “i segni del neorealismo, ovvero la strada, gli ambienti popolari, gli abiti dimessi, il bric à brac degli interni, [erano] svuotati di ogni accento poetico e offerti nella loro evidenza iconica” (Scandola, 2003). Si riscontrano cioè quei tratti di un’indole che il tempo avrebbe reso più pungenti, sferzanti nei riguardi della legge, della morale e del costume, un artigiano della settima arte “troppo eclettico culturalmente per conquistarsi un’etichetta, troppo estroso poeticamente per lasciarsi definire una volta per tutte … Ferreri è una personalità tra le più solitarie e più inafferrabili del cinema italiano post-neorealismo. Proprio per questo, forse, ne è una delle più rilevanti” (Micciché, 2002).
Si è parlato di coprotagonisti a proposito degli spettatori, perché un ruolo di primo piano nella pellicola di Ferreri spetta allo stesso cinema, in quanto arte e, insieme, invenzione (ricordando che la seconda precede la prima), in quanto tentativo di definizione della realtà e rappresentazione della stessa, luogo di aggregazione legato a regole che si rinnovano nel tempo e, dunque, codificate di volta in volta, e spesso disattese. Sotto quest’aspetto, un destino ineluttabile pare accomunare molti luoghi dello spettacolo, compresi e, soprattutto, quelli dal vivo: “L’avanspettacolo, se ci fai caso, è il punto d’incontro fra il Circo Massimo e il casino”, commenta l’unico spettatore snob di una multiforme massa vivace di avventori, nelle sequenze di Roma in cui Federico Fellini ricostruisce uno spettacolo di varietà al Teatrino della Barafonda durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Un pubblico composto per lo più da caciaroni, ladruncoli e sfaccendati di ogni sorta, non meno pittoresco di quello partenopeo che, in Nitrato d’Argento, assiste a una pellicola d’ispirazione dannunziana nel primo Novecento: due donne (Iaia Forte e Luciana de Falco) inveiscono contro le due attrici protagoniste intervenute alla visione. Quella della identificazione fra interprete e personaggio è, tuttavia, una felice ricorrenza del nostro cinema: basta ricordare il coscritto Rosario Nicotra (il sardo Tiberio Murgia doppiato immancabilmente in siciliano) fanatico ammiratore di Francesca Bertini, la diva del momento e della quale il soldatino era incapace di separare i personaggi della sua carriera professionale dalla persona reale. Del resto, un richiamo ai divi permette di rilevare come Nitrato d’argento rappresenti un gustoso atto di omaggio di Ferreri proprio a quelle icone universalmente riconosciute e confuse con le loro rinomate interpretazioni, come Bartolomeo Pagano, ossia Maciste, proposto nei panni della più improbabile delle declinazioni del personaggio generato da Cabiria, quella che lo ricorda vestito da alpino che salva la donna in pericolo dal malvagio di turno (pellicola del 1916 restaurata nel 2015 da Biennale di Venezia e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino); come il già citato Valentino di cui Ferreri monta le celebri sequenze di seduzione di Gallardo in Sangue e Arena; come Charlie Chaplin e il suo immortale Charlot, archetipo nel quale generazioni di immigrati potevano (e possono) immedesimarsi; come Ingrid Bergman, quella di Stromboli (Terra di Dio), il cui sguardo permetteva a Roberto Rossellini di sondare, attraverso una trilogia con Europa ’51 e Viaggio in Italia, i diversi volti della solitudine. Disseminati un po’ ovunque, ci sono poi omaggi, più o meno espliciti, del regista alla propria carriera: i manichini seduti davanti allo schermo ricordano quelli che accompagnano le passeggiate dei protagonisti de La famiglia felice, episodio di Marcia nuziale; la pagina di giornale che inneggia all’agguato degli agenti federali che misero fine ai giorni del gangster John Dillinger rievoca uno dei titoli più celebri non solo di Ferreri, ma della cinematografia di fine anni Sessanta; l’anticipazione, di un ventennio, di frasi tratte dall’I have a dream Martin Luther King da parte di un afroamericano rimanda al fruttuoso gioco di anacronismi di Non toccare la donna bianca; la messa in scena delle conseguenze della censura che vietava l’ingresso ai minorenni in sala per La grande abbuffata riporta alla memoria le difficoltà incontrate dalla pellicola in fase distributiva e, con esse, un pezzo di storia del costume del nostro paese.
Non è assente un richiamo al cinema in quanto innovazione tecnologica, sia sul piano delle riprese sia su quello della fruizione: dopo tutto è lo stesso titolo a rammentarci che la visione cinematografica è resa possibile attraverso un lungo percorso della scienza che dalla lanterna magica arriva alle più recenti intuizioni dell’era digitale, compreso l’impiego di un sale che, combinato ad altri, produce un alogenuro fotosensibile e per questo di largo uso un tempo nella produzione delle pellicole. L’aspetto scientifico, il cinema cioè come strumento di registrazione, di osservazione (a diversa velocità di riproduzione) e di archiviazione dei fenomeni è, tuttavia, secondario, sovrastato dalla popolarità del cinema–spettacolo, una vera e propria mitologia capace di classificare come pre-cinema i sacrifici sostenuti e i risultati raggiunti prima della prima dei Lumière (Viscardi, 2000) e, del resto “il mito richiede la rimozione di tutto ciò che lo contraddice, soprattutto se lo precede” (Tosi, 1984).
LETTURE
— Francesco Casetti, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano, 2005.
— Stephen Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna, 1995.
— Martin Luther King, I Have a Dream, Mondadori, Milano, 1988.
— Lino Micciché, Cinema italiano: gli anni ’60 e oltre, Marsilio, Venezia, 2002.
— Paolo Prato, Gianluca Trivero, Viaggio e modernità. L’immaginario del mezzo di trasporto tra ‘800 e ‘900, Shakespeare & Company, Napoli,1989.
— Alberto Scandola, Marco Ferreri, Il Castoro, Milano, 2003.
— Wolfang Schivelbusch, Storia dei viaggi in ferrovia, Einaudi, Torino, 1988.
— Virgilio Tosi, Il cinema prima di Lumière, ERI, Torino, 1984.
— Paul Verlaine, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1992.
— Rosa Viscardi, Il cinema, Ellissi, Napoli, 2000.
VISIONI
— Auguste Lumière, Louis Lumière, L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, in Auguste Lumière, Louis Lumière, The Lumière Brothers’ First Films, Kino on Video, 2003 (home video).
— Luigi Romano Borgnetto, Luigi Maggi, Maciste alpino, Itala Film, Torino, 1916.
— Emanuele Crialese, Nuovomondo, Rai Cinema - 01 Distribution, 2007 (home video).
— Federico Fellini, Roma, General Video, 2012 (home video).
— Marco Ferreri, Dillinger è morto, Minerva Classic, 2005 (home video).
— Marco Ferreri, La grande abbuffata, CG Entertainment, 2012 (home video).
— Marco Ferreri, Marcia nuziale, Eagle Pictures, 2011 (home video).
— Marco Ferreri, Non toccare la donna bianca, Medusa Home Entertainment, 2006 (home video).
— Mario Monicelli, La grande guerra, Terminal Video, 2008 (home video).
— Fred Niblo, Sangue e arena, Ermitage Cinema, 2013 (home video).
— Giovanni Pastrone, Cabiria, Kino on Video, 2000 (home video).
— Roberto Rossellini, Europa ‘51, CG Entertainment, 2009 (home video).
— Roberto Rossellini, Stromboli (Terra di Dio), CG Entertainment, 2012 (home video).
— Roberto Rossellini, Viaggio in Italia, CG Entertainment, 2012 (home video).