di Raffaella Monia Calia
“A 'uerra, Marì, nun a vince chi è chiù fort', 'a vince chi è chiù brav' a aspettà... e chest' nisciuno 'o sap' fà megl' e nuie femmene” (“La guerra, Maria, non la vince chi è più forte ma chi è più bravo ad aspettare. E questo nessuno lo sa fare meglio di noi femmine”; 1x11), dice Donna Imma Savastano, ‘a leonessa, superba “matrona del male e dell’amore”, la “moglie del boss”.
Ma chissà se Donna Imma avrà il tempo di
aspettare.
E intanto, ragazzi con le braccia alzate,
all’esterno di una chiesa, intonano un
inno…“sempre con noi, sarai sempre con
noi”. Sono le nuove e giovani leve dei Savastano, nel giorno
del funerale di Danielino e questo è Cento modi
per uccidere, l’undicesimo e penultimo episodio di Gomorra
- la serie. La ripercorriamo prima di offrire una lettura
della fiction.
La macchina da presa si sposta poi in chiesa,
dove la prima panca è occupata dalla mamma del giovane
anti-eroe, accanto siedono Imma Savastano, consorte del grande capo con
il figlio Genny ed il fedelissimo Ciro. Il parroco intona la sua omelia
accusando tutti di essere colpevoli, ma, soprattutto, coloro che hanno
istigato un ingenuo sedicenne a battere la strada della malavita. Ciro
Di Marzio, intanto, cerca di appurare notizie riguardo a Bruno,
l’amico di Daniele, che è a conoscenza della
verità sull’omicidio dell’amico, e che
ora vive a Marsiglia. La casa di Bruno è costantemente
sorvegliata da uno scagnozzo di Ciro.
Intanto le
riprese si spostano altrove, l’interno di un auto e un capo
riverso sul volante, il fratello di Daniele, Massimo, autista di
Salvatore Conte, è morto!
Cambio di scena. Genny ha convocato una riunione tra la vecchia guardia e le nuove leve del clan, con l’intenzione di punire Salvatore Conte, reo di aver ammazzato un affiliato dei Savastano. I grandi non credono che il problema sia Conte, e uno alla volta abbandonano la riunione, lasciando Genny e i giovani. Era stato Zecchinetta, uno dei fedelissimi di Don Pietro, ad alzare il tono della voce durante il decisivo incontro, andandosene poi bruscamente seguito da altri quattro componenti “senior” del gruppo. Ciro, rimasto con Genny e i giovani scagnozzi, dichiara che nessuno mai si sarebbe permesso di parlare così di Don Pietro e insinua il dubbio di una probabile già avvenuta alleanza tra Zecchinetta e i Conte. Genny cede al tranello di Ciro, ordinando alle giovani leve di far parlare Zecchinetta per poi ucciderlo.
Strade di Scampia, cielo grigio chiaro, inquadratura
effettuata dalle spalle di una statua sacra. I bambini giocano per
strada, tra cui il figlio di Zecchinetta, si avvicinano i giovani che
chiedono “dov’è babbo?” mentre
vengono distratti e attratti dalle pistole vere. Altri due salgono in
casa, torturano Zecchinetta e poi lo finiscono.
Scena
successiva: Salvatore Conte parla ai suoi e afferma che la piazza
è di tutti. A destra e a sinistra della stanza si
intravedono un crocifisso e una statua di Gesù. Conte
prospetta l’ipotesi di ammazzare Genny Savastano,
proponendola come unica soluzione. All’incontro sono presenti
anche alcuni membri del clan Savastano che hanno già tradito
il loro capo. La morte di Zecchinetta è la cartina di
tornasole dell’incapacità di Genny di gestire il
clan: si circonda di giovani esaltati che non rispettano né
la volontà del giovane Savastano, né le
fondamentali regole della malavita organizzata, in cui giocano a
riconoscersi. Genny, esortato da Ciro, si reca in carcere per chiedere
consiglio al padre, Don Pietro.
Intanto i giovani
scorrazzano di notte, organizzando atti vandalici contro i vecchi del
clan. Bruciano i panni stesi, sparano contro i balconi, offendono anche
verbalmente, con frasi del tipo Omm’ é
mmerda e Nun sì nnisciun’.
Intanto
è mattina, breve inquadratura sul mare di Napoli, Tonino
spiderman, il giovane che aveva osato sfidare lo zio, corre in motorino
in k-way giallo, intonando una canzone neomelodica, viene raggiunto e
ammazzato senza pietà dallo zio, lo stesso zio che aveva
osato sfidare qualche giorno primo.
Interno di casa. Donna
Imma indossa grandi orecchini, cerchi in oro che fanno pendant
con le grosse cornici dei suoi quadri di casa. Genny sale le
scale “Cià mà, papà non ci
sta più con la testa”. Imma si mette le mani sul
volto, poi si alza di scatto e con passo deciso raggiunge il figlio: Sta
cosa di tuo padre nun l’adda sapè nisciun. Hai
capito Gennà, nisciuno. Per una volta stammi a sentire.
E poi consiglia a Genny di dire ai suoi amici che Don Pietro vuole la
pace, il perdono e l’ammissione dei propri errori. Da buona
manager del crimine programma di mettere a garanzia ognuno un proprio
parente, nelle mani dell’altro, “solo
così si può essere sicuri che non si facciano
scherzi”. I fedelissimi di Don Pietro non credono alle parole
di Genny, “Papà mi ha parlato col cuore in
mano”, “basta sangue, la cosa più
importante è il rispetto”, e la “catena
di morte deve finire subito”. Un solo clan dovrà
comandare e quel clan: “siamo tutti quanti noi”.
Cambio
di scena. L’interno di un’altra casa. Una donna ha
una busta gialla tra le mani. La donna è la madre di Bruno e
la busta l’ha spedita proprio lui: contiene un cellulare con
una conversazione memorizzata. La mamma di Bruno chiama Donna Imma. La
donna risponde al citofono, Donna Imma e Maria sono arrivate.
“Chi è”, risponde Maria “Donna
Imma”. Luce bianchissima inonda il viso della moglie del
boss. Salgono. La donna apre la porta. “Prego” con
fare reverenziale. “È un messaggio, Bruno se
l’è trovato in Segreteria”. Manu, la
fidanzata di Daniele, aveva telefonato a Bruno mentre il telefono era
scarico. Manu, infatti, stava aspettando Bruno (che non conosceva) ma
era stata raggiunta prima da Ciro, si proprio da Ciro Di Marzio, il
colpevole dell’efferato omicidio. Nella registrazione si
sente Manu: Bruno, so Manu. Stong ancora asp’ttann
, immediatamente le urla disperate della ragazza. Si è
accorta che l’uomo con cui è salita in macchina
non è Bruno. Ciro la minaccia e la tortura per farsi dire
dov’è Daniele. Donna Imma ascolta in silenzio, il
battito e il respiro aumentano. Il contenuto della telefonata
è irrimediabilmente la prova del tradimento di Ciro Di
Marzio.
Intanto i “grandi” si riuniscono
da soli. Non si fidano più di Genny e sono decisi a parlare
con Conte. Ciro interviene asserendo che lui ha fatto di tutto per
tenere il clan unito, ma Mo amma fa ‘a scissione.
Vanno via tutti. “Che succede?”. “Ci sta
un problema con Donna Imma”, risponde il fedelissimo di Ciro.
Rosario era appostato sotto la casa di Bruno e ha riferito a Ciro che
Imma potrebbe averlo scoperto.
Interno di casa del
boss. Enormi candelabri neri e dorati, si intonano alle pareti
damascate. Donna Imma dà una copia della registrazione a
Maria, la istruisce sul da farsi, ovvero deve consegnare la copia
all’avvocato, e le comunica che vuole andargli a parlare:
“Io ci vado a parlare. Io devo salvare la vita di mio
figlio… Io vedo un uomo morto”. Ed è
qui che pronuncia l’altra frase di culto “La guerra
non la vince chi è più forte ma chi è
più bravo ad aspettare. E questo nessuno lo sa fare meglio
di noi femmine”. Poi si prepara. Forse si prepara alla morte.
Camicia nera di seta a maniche lunghe, indossa i suoi gioielli
più belli e telefona a Ciro, scusandosi per il disturbo,
visto che è domenica. Ciro le risponde che non
c’è nessun problema. Chiama la figlia che stava
giocando con le amichette.
La scena
successiva è girata in un bar. Lei indossa un lungo cappotto
leopardato grigio ed è bella più del solito. Gli
fa ascoltare la registrazione. Campo e controcampo. Nessuno parla.
Finito l’ascolto Donna Imma si pronuncia “Hai
ucciso una ragazzina di quindici anni … hai tradito a tutti
quanti”. Non c’è possibilità
di perdono. Donna Imma propone a Ciro che nessuno deve venire a
saperlo, nemmeno Genny, “… ma devi fare quello che
ti dico io, devi chiamare Conte. Poi te ne devi andare”. Ciro
dovrà organizzare un’imboscata e poi sparire per
sempre con la famiglia. Ribatte sprezzante “Chi ti dice che
io non ti ammazzo ora?”. E qui si consuma una delle scene di
odio a più alto pathos della serie.
Donna Imma a questo punto afferma che se lei dovesse morire Genny
scoprirà il tradimento e per lui e la sua famiglia non ci
sarà più pace, sottolineando l’infamità
di Ciro e la sua assenza di sentimenti. Ciro risponde
“Non è vero, io per sopravvivere mi sono attaccato
a un sentimento, a uno solo: a voi vi ho sempre odiata”. E
Imma “Fa quello che ho detto se ti vuoi salvare la
vita”. E poi esce. Attraversa la strada, l’asfalto
è bagnato. Cappotto lungo e felina eleganza. Ciro esce,
è inquadrato vicinissimo da dietro, a mezzo busto, immagine
sfocata e giacca nera gessata tono su tono. Ciro aveva già
capito e si era già organizzato. Passano due moto accanto a
lui. Poi di nuovo Donna Imma. Cielo plumbeo, passa una moto e fa
fuoco.
E no! Il tempo di aspettare Donna Imma non lo
avrà. Immediatamente un’altra moto. Ancora fuoco.
“E caddi come corpo morto cade”. Si accascia
dolcemente al suolo, sullo sfondo le scale arrugginite delle vele,
quasi fosse un ingorgo escheriano, mentre Ciro avanza con la sua lenta
andatura. Inquadratura dall’alto. Le Vele. E un corpo morto a
terra. È la quinta morte della serie. O meglio ancora:
è la morte di tutta la serie Gomorra.
Donna Imma non c’è più, giustiziata per
mano di uno, anzi “del” figlio adottivo di Don
Pietro.
Scena immediatamente successiva, Maria, sesta morte dell’episodio numero undici, viene trascinata in una discarica abusiva, corpo senza vita che viene coperto da cellophane. L’uomo è Rosario, fidatissimo di Ciro, estrae il cd e lo distrugge. Lo butta, chiude il baule dell’automobile e va via.
Cambio di scena. Automobile nera,
è Ciro, occhiali da sole neri, nuvole sul parabrezza. Suona
il telefonino: “Pronto”…
“Bene” … “Molto
Bene”… “Sei stato bravo”, Va
bbuon accussì. Lo raggiunge un SUV, e poi subito
un’altra automobile. Ciro e il suo amico scendono
contemporaneamente. Si avvicinano, Salvatore Conte è seduto
dietro, l’autista abbassa il finestrino posteriore, e Ciro
dice: “Vogliamo un incontro”. Il cielo è
sempre nuvoloso, le pozze della strada colme di acqua piovana. Conte
ribatte “E Gennaro Savastano che dice?”. E Ciro: C’adda
ric’r… Nient’. I
Savastano rappresentano il passato. Cala il sipario sulla
tomba di Imma Savastano, nata nel 1970 e morta nel 2013.
Audace
e spregiudicata, paziente e inamovibile, Donna Imma, di natura quasi
ferina, nella sua caratterizzazione archetipica può essere
associata ad una Ecate contemporanea in grado di accompagnare i vivi
nel regno dei morti, senza alcuna pietà o
ripensamento.
La casa in cui vive è
lastricata d’oro, statue della dea Kalì abbondano
nel soggiorno, divani mastodontici e damascati fanno da contraltare
all’asciuttezza del suo carattere: una donna decisa, senza
troppi fronzoli, fedelissima al marito e perciò donna
d’onore di camorra: “Se mio marito dice che si deve
fare così, così si fa”. Unica presenza
femminile protagonista.
La scena, come abbiamo
visto, si apre con il funerale di Danielino, ammazzato nella puntata
precedente da Conte, altro momento di altissima
drammaticità, alleggerito ed estremizzato da una delle frasi
cult (Vien’t a pigliare il
perdono) pronunciata da Conte quando finge di voler assolvere
Danielino, mentre, invece, lo attira a sé ingannandolo e poi
lo ammazza senza pietà alcuna.
L’episodio
Cento modi per uccidere segna uno spartiacque
narrativo, sia all’interno della stessa fiction Gomorra,
sia nella modalità di racconto tipica della
serialità: da un lato conferma il coraggio e
l’originalità nella struttura del serial, una
scansione narrativa che non esita a eliminare dallo scacchiere
personaggi importanti, uno su tutti Donna Imma Savastano, la moglie del
boss, amata dal pubblico e acclamata dalla critica; scelta, questa, che
impone l’iniezione di nuove storie al femminile di simile
caratura. Infatti nella seconda serie faranno il loro ingresso Patrizia
(Cristiana Dell’Anna di Un posto al sole),
e Annalisa, detta “Scianel” interpretata
dall’attrice Cristina Donadio; dall’altro segna la
“fine” dell’era Savastano e
l’inizio della “stagione scissionista”
estetizzata all’ennesima potenza proprio nel corso
dell’undicesimo episodio.
Nella seconda serie, stando alle anticipazioni, oltre
all’ingresso delle due nuove protagoniste al femminile,
sarà presente un nuovo regista, Claudio Giovannini, che
affiancherà Francesca Comencini, Stefano Sollima, Claudio
Cupellini e le sceneggiatrici Ludovica Rampoldi e Maddalena
Ravaglia.
Gomorra - la serie,
però, mostra dei tratti inediti, che la distinguono dal
panorama della serialità televisiva italiana. Innanzitutto
ha il merito di avere sdoganato tipiche espressioni napoletane, oltre i
confini campani, regalando una certa cittadinanza, si potrebbe dire
nazional-popolare, ad alcune forme gergali fortemente romanzate come la
citata “Vien’t a piglià o’
perdono”. Insomma, ha creato delle vere e proprie frasi cult,
che hanno alleggerito la serie, sicuramente una delle fiction
più spietate degli ultimi anni, soprattutto se si osserva
l’assenza del classico buono, invece presente nelle
narrazioni tipiche della crime-fiction (spesso
incarnato dalle forze dell’ordine), contrapposto al Male (in
questo caso i clan camorristici).
Ma non
è presente nemmeno “l’affare della
droga” se non come racconto di sottofondo, così
come se ne intuisce solo l’uso tra gli adepti al clan,
mostrandosi in rarissime occasioni. La storia è svuotata del
suo scheletro narrativo, l’asse portante su cui si basano gli
eventi, mostrando, invece, fortemente, le relazioni tra i personaggi
sul piano umano più che professionale.
In Gomorra il buono è un buono debole non
istituzionalizzato (pensiamo alla ragazza che viene spietatamente
ammazzata come pure a Danielino, a Massimo e Bruno), il buono in Gomorra
è una mamma delle Vele che sfida Genny, il quale in pochi
minuti, invece, riesce a sottrargli il figlio, per farsi accompagnare
alla recita dove avverrà la sparatoria finale della prima
serie, nel corso della dodicesima puntata.
In Gomorra,
infatti, non esiste la polizia, se non sotto forma di una lontana
sirena, o delle guardie del carcere che accompagnano Pietro Savastano,
a detrimento, però (e fortunatamente) di tutta una fiction
buonista italiana e di scarsa qualità che ha sempre previsto
la persistenza di alcuni classici idealtipi narrativi.
Ed
è interessante vedere con quali modalità Gomorra
sia stata trasmessa su Rai Tre. In questo caso
è stato il servizio pubblico a fungere da dispositivo del
bene, anticipando alla messa in onda degli episodi, interventi di
personaggi significativi nella lotta alla camorra, mettendo in dialogo
la televisione con una fiction particolarmente neo-neorealista, anche
al fine di mettersi al riparo da altre ed ulteriori accuse e di
demistificare una certa critica. Quella che ha accusato Gomorra
di inquinare l’immagine di Napoli, confondendola con uno
scenario di violenza sistematica e generalizzante, e di poter
rappresentare un modello negativo per le giovani generazioni, che
spesso si riconoscono nella serialità televisiva. Una
fiction, basata su una mafia-story, insomma, che lambisce i territori
della non-fiction, per il crudo realismo con cui riesce a rappresentare
molti accadimenti di cronaca, ancor prima reinterpretati dal libro Gomorra,
e che sconfina in quelli della crime-fiction per la
sistematica rappresentazione di situazioni criminali che la
contraddistingue. Perché si sa, in questo contenitore, ogni
racconto è una rielaborazione di pezzi del reale
e una sua rappresentazione più prossima. Quella di Gomorra
- la serie è sicuramente una narrazione tossica,
di momenti di vita autentica, come si svolgono in certe parti
dell’area Nord di Napoli, che potrebbero essere ovunque, a
Milano, New York o a Ciudad Del Mexico.
Frammenti di quotidianità criminale, che aprono
davanti agli occhi del mondo squarci di vita camorristica, col loro
corredo di personaggi, ruoli e generi. Come è noto, la
critica si è abbastanza divisa. Molte le valutazioni
positive, ma parecchie anche quelle negative. Fatto sta che la serie ha
fatto il pieno di ascolti, sia su Sky (circa
640mila spettatori per i primi due episodi) e sia su Rai Tre
(1.617mila spettatori per la prima serata di messa in onda)
rappresentando una operazione mediale di carattere trasversale, che ha
tenuto incollate al televisore famiglie intere, vecchie e giovani
generazioni, attirando anche gli scettici, nel corso della messa in
onda via via di altri episodi.
Accolta dalla critica
internazionale con grande clamore, pensiamo al Der Spiegel,
“Dimenticate i Sopranos” arrivano “I
Savastanos”, paragonata addirittura a The Wire
dal Guardian o alla Brooklyn di Quei
bravi ragazzi, osannata da Jasper Rees sul Daily
Telegraph, quale “effervescente antidoto”
al romanticismo italiano, la serie Gomorra ha
raccolto consenso ed attenzione record, prima di avventurarsi nelle
riprese per la seconda stagione.
Gli episodi 11 e 12
sono stati visti su Sky Atlantic HD e Sky
Cinema1HD da 850mila spettatori medi. Considerato che si
tratta di una pay-tv, Gomorra è la serie
firmata Sky più vista in assoluto. Per
non parlare delle migliaia di tweet che ha raccolto dal suo
debutto.
La serie è assai emblematica
delle nuove forme assunte dal racconto televisivo di respiro
internazionale e si distacca nettamente dal modello di
mafia-fiction” italiano dove “la commistione fra
poliziesco, mafia-story e melodramma è
una occorrenza relativamente inconsueta nella fiction italiana, pure
molto adusa a praticare (per verità con alterna maestria e
riuscita) ibridazioni fra generi diversi”. (Buonanno,
2014).
Pensiamo, ad esempio a La Piovra
(Rai Uno, 1984-2001) un ascendente celebre anche di Squadra
Antimafia dove sono presenti tali ibridazioni. In tal senso Gomorra
rappresenta una serie italiana inedita nel suo genere, che non contiene
in sé tutti gli elementi tipici della crime-fiction,
esasperando alcuni tratti tipici della mafia-story (azione, spedizioni
punitive e tante morti) e rendendo più soft la vena
melodrammatica. Un tratto che lungi dall’esprimersi in
maniera evidente, con una storia dai connotati definiti, permea tutta
la serie, mettendo in scena accadimenti che costringono lo spettatore a
commuoversi (pensiamo, ad esempio, alla esecuzione di Manu,
trasposizione sul piccolo schermo di un evento di cronaca realmente
accaduto, ovvero la morte di Gelsomina Verde).
Sicuramente Gomorra è un
prodotto eccellente della serialità televisiva.
Innanzitutto, per la scrittura, a opera di un gruppo di sceneggiatori,
partiti dal libro di Roberto Saviano, a cui rimandavano le bozze per un
ulteriore lavoro di rielaborazione in chiave
“realistica”.
“Una scrittura
tentacolare, avvolgente, quasi ipnotica, lenta nel suo
incedere”, come la definisce Manuel Lai sul sito
www.melty.it/gomorra-la-serie-5-motivi-che-la-rendono-un-capolavoro si
fonde ai temi musicali dei Mokadelic che ti entrano in testa come
mantra.
La serie dei tre registi Stefano Sollima,
Francesca Comencini e Claudio Cupellini mostra una regia eccelsa, con
ampio uso di inquadrature dall’alto e da finestrini e di
telecamera a spalla. Una fotografia nitida ma dai toni oscuri e colori
vividi favorisce un lavoro di montaggio di estrema maestria. La scelta,
poi, di eliminare immagini stereotipate da “Bella
Napoli” ha fatto il resto. Niente “lungomare
liberato”, ma solo vele, vicoli squallidi e umidicci, interni
barocchi e ridondanti, per un effetto, alla fine, molto
cinematografico.
Gomorra
è ispirata a fatti di cronaca, è potentemente
realistica e raggiunge vertici di straordinaria crudezza espressiva e
struggente coralità, quasi fosse un’opera
shakespeariana, o un componimento epico.
A
differenza di molte fiction italiane, vanta un cast di attori
professionisti, sino ad allora poco conosciuti, ma attualmente persino
osannati, come Salvatore Esposito che interpreta Genny Savastano, Marco
D’Amore che ha dovuto perdere venti chili per poter
interpretare Ciro Di Marzio (“devono parlare gli spigoli del
tuo volto” gli era stato detto). Per non parlare di Maria Pia
Calzone (Donna Imma), Fortunato Cerlino (Don Pietro), punte di diamante
della serie e di Marco Palvetti, interprete magistrale del mi(s)tico
Salvatore Conte.
E potremmo continuare
così per tutti gli altri personaggi, attori per la maggiore
campani, di provenienza teatrale, che hanno fornito un potente
coefficiente di realismo al loro alter-ego. Nella serie il mondo
criminale viene raccontato servendosi di miti, simboli-smi, metafore
espressive e visive, rimandi mistici e religiosi.
Certo, trattasi sempre di fiction italiana, sebbene con un
approccio alla scrittura e una sceneggiatura molto americane, e in
quanto tale incorpora in sé
“le prerogative, potenzialità e limiti del genere
fiction televisivo e le aspettative sociali che lo circondano. La sua
finalità è distensiva, il compito quello di
cogliere e rielaborare la materia minimalista di cui è fatto
il vissuto individuale e familiare così come i conflitti, le
tensioni, i grandi temi dell’attualità sociale e
della vita pubblica” (Giomi, 2012).
“Le
narrazioni della serialità aurorale, infatti, mettono in
scena la vita di tutti i giorni, le sue piccolezze e la sua
immediatezza (...) la nuova serialità vive in perfetta
sincronia (talvolta finanche in anticipo) i tempi della trasformazione
sociale ed è questo il motivo per cui riesce ad intercettare
così bene segmenti di pubblico tanto diversi” (E.
Caramiello). Se nella fiction e nel cinema americano è
l’individuo al centro dell’opera narrativa, e le
sue caratteristiche sociali, come il sesso e lo status socio-economico,
sono spesso utilizzate per identificare la persona, Gomorra,
è, invece, un’opera potentemente sociologica, in
quanto definisce la “potenza” e “il
potere” dei suoi personaggi a partire dalle loro relazioni
sociali e personali. Forse è plausibile affermare che
quest’idea farebbe la felicità di Georg Simmel,
come sostiene Francesca Montemaggi nel suo blog
francescamontemaggi.wordpress.com.
Il protagonismo
femminile nella serie, declinato dal punto di vista qualitativo e non
quantitativo (poche donne, ma di forte levatura) conferisce al serial
ulteriore charme. Una su tutte Donna Imma, ‘a
leonessa, personaggio in cui si miscelano sapientemente
quell’honor e shame
dell’antropologia mediterranea, e che vanta, tra le sue
antecedenti letterarie, donna Concetta de Il paese della
cuccagna di Matilde Serao e Amalia Iovine la contrabbandiera
di Napoli Milionaria. Riguardo al cinema non
possiamo dimenticarci della mirabile rappresentazione di Rosetta
Cutolo, ne Il camorrista di GabrieleTornatore.
O
ancora Pupetta Maresca, forse la prima capoclan del secondo dopoguerra,
raccontata ne La Sfida di Francesco Rosi.
L’antecedente di tutte le donne di camorra, che, addirittura,
nel 1955 ammazzò Totonno e’ Pumigliano, sospettato
di essere l’assassino del marito (all’epoca la
Maresca era incinta), oltre alle meno note donne dei Giuliano,
Licciardi e Maresca (Marmo in Gribaudi, 2010). Invece, volgendo lo
sguardo alla fiction ricordiamo Rosy Abate di Squadra
Antimafia, trasmessa da Canale 5, o, come
afferma Milly Buonanno in un’intervista:
“Credo
si possa parlare di una tendenza internazionale emersa negli ultimi
anni. Penso alla serie francese Mafiosa, al serial
latino-americano La reina do sur, a serie
americane, Weeds, australiane, Underbelly:
Razor, danesi, Penoza, egualmente
incentrate su figure di gangsters women” (www.formiche.net/2014/06/04/gomorra-ecco-le-donne-audaci-spregiudicate-della-tv-italiana).
Il
ruolo delle donne, nell’economia del mondo
illegale, è stato sempre significativo e persino socialmente
riconosciuto, tanto da essere caratterizzato da un termine specifico, maesta
(“maestra”, Gribaudi, 2010). Numerose le
testimonianze negli Atti dei Tribunali, che risalgono al 1887, a
certificazione di un precedente protagonismo femminile molto presente
nella dimensione campana e soprattutto partenopea.
Nonostante tale storicità, è nel corso
degli ultimi venti anni che le donne capesse
“coprono i vuoti nelle posizioni di comando”
(Zaccaria in Sgueglia, 2010). “Alcuni dati interessanti
forniti da un pioneristico database sulle figure femminili della
camorra, ci parlano del 58,8% (tra i casi (…) presi in
considerazione) di donne che accedono alle organizzazioni camorristiche
tramite legami di tipo familiare e/o affettivo con esponenti di rilievo
dei clan, nonché di un 86,2% delle
“capesse” che sono mogli, ex-mogli, compagne,
amanti, sorelle, figlie dei capi (…) rispetto alle altre
mafie del sud Italia, le reti criminali napoletane della camorra
lasciano molto più spazio all’ingresso di forze
femminili e spesso concedono loro pure
l’opportunità di scalare autonomamente le
gerarchie di potere interno, fermo restando che l’ingresso
esterno è più facilmente concesso ai ruoli
direttamente subordinati (gregariato e spaccio) (Sgueglia,
2012).
Ciò che nota Gabriella Gribaudi
è la centralità dei ruoli femminili nelle
organizzazioni criminali partenopee, “hanno una vita privata
che, secondo i canoni della modernità, dovremmo definire
libera e indipendente: convivenze, giovani
amanti…” (Gribaudi, 2010). Per quanto
superficialmente si possa pensare a una “modernizzazione
delle reti criminali”, Gribaudi ci mostra come sia invece la
presenza di ben tre generazioni di donne impegnate in carriere
criminose che hanno reso possibile la sedimentazione di pratiche e
tradizioni femminili.
È indubbio,
però, che Napoli mostri “specifiche
caratteristiche degli strati popolari della città, eredi di
una cultura urbana con una scarsissima segregazione tra i mondi
maschili e femminili che si ripercuote anche nella cultura e nelle
pratiche delle organizzazioni criminali con la partecipazione attiva
delle donne” (Gribaudi, 2010). In pratica,
un’apparente autonomia femminile è solo il frutto
del riproporsi di un vecchio schema tribale di tipo matrilineare,
già significativamente trasformatosi nel corso
dell’Ottocento e negli anni a venire. Un
“sistema” nel quale le donne, in virtù
della loro responsabilità materna, o della
difficoltà economica, non hanno sempre operato scelte
“socialmente approvabili”, andando ad ingrossare,
spesse volte, le fila della criminalità organizzata,
scegliendo mariti dalle condotte devianti e/o partecipando attivamente
con ruoli di gregarie, usuraie e pusher.
La
rappresentazione di Donna Imma ha travalicato in Gomorra - la
serie i “confini finora disegnati della fiction
italiana mainstream” (cfr. Buonanno, 2014) forzando
all’estremo la sopportazione femminile, esasperando
l’attesa sino agli spasmi della violenta e inaspettata morte
della madre e moglie, stressando al massimo il racconto seriale stesso,
con il rischio che la morte di Donna Imma può rappresentare
per la tenuta del plot.
Un cantico drammatico e
appassionato del crimine napoletano, in cui tutti si possono
riconoscere, i buoni e i cattivi, forse alla ricerca di quella perduta
dimensione comunitaria arcaica, di quel territorio antropologico o
semplicemente, attraverso un attrezzo sublimativo, utile a riempire il
vuoto esistenziale delle nostre vite (cfr. Caramiello E.) fosse anche
al prezzo di partecipare alla messa in scena di questo brutale show
della napolitudine.
Ci sono
“cento modi per uccidere”, il senso di solitudine,
e un’infinità di farmaci, di ogni tipo, per curare
il senso di vuoto e desolazione, che troppo spesso ci fa compagnia. Uno
di questi è, probabilmente, quello di liberarci da alcuni
pregiudizi intellettuali e lasciarci catturare dal gusto, persino naif,
della fruizione, di appassionarci al ritmo ed ai personaggi del
racconto, di fare la parte che ci compete, come spettatori, prima
ancora che analisti, insomma di osservatori-osservati, in questo strano
spettacolo della vita, di cui l’intera serie, è,
tutto sommato, soltanto un episodio. Crediamo neppure si tratti di
quello più avvincente.
LETTURE
— Milly Buonanno (a cura di), Il prisma dei generi:Immagini di donne in TV, FrancoAngeli, Milano, 2014.
— Milly Buonanno, Donne al comando fra action e melodramma. Il Caso di Squadra Antimafia, in (a cura di) Milly Buonanno, 2014, cit.
— Luigi Caramiello, Frontiere culturali. Nuovi percorsi di sociologia e comunicazione, Guida Editore, Napoli, 2012.
— Elettra Caramiello, Il canone della fiction. Momenti e personaggi della sua serialità televisiva, in Luigi Caramiello, 2012, cit.<
— Elisa Giomi, Donne Armate: sessismo e democrazia nelle fiction poliziesche, in, (a cura di) Anna Simone, cit.
— Gabriella Gribaudi, Donne di camorra e identità di genere, in AA.VV., Donne di mafia, Meridiana. Rivista di Storia e di Scienze Sociali n° 67, Viella, Roma, 2010.
— Clare Longrigg, L’altra metà della mafia. L’anima femminile di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, Feltrinelli, Milano, 1997.
— Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano, 2014.
— Anna Simone (a cura di), Sessismo democratico l’uso strumentale delle donne nel neoliberismo, Mimesis Edizioni, 2012, Milano.
— Leandro Sgueglia, Madri, mogli, figlie, lesbiche, “capesse” e “pusher”.
Segnali di post-patriarcato nella camorra, in, (a cura di) Anna Simone, cit.