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di Giulia Iannuzzi

 

Un uomo biondo, vestito di nero, siede su un trono di pelle scura, l'espressione è sicura di sé e sottilmente ambigua; una donna, sorniona, è appoggiata allo schienale, corsetto e maniche di pelle nera; dietro di loro un sipario di velluto rosso ondulato. La camera si posiziona in basso, vediamo il mezzo busto dell'uomo seduto, il piano americano di lei, le due figure si stagliano contro la parete e il soffitto grigio-nero; dal nostro punto di vista, quasi ai loro piedi, l'angolo del soffitto coincide precisamente con il punto di fuga dell'immagine, che si colloca tra la testa dell'uomo e il braccio della donna.
L'inquadratura dura un istante, eppure, nel suo essere dettagliatamente studiata, rappresenta un'ottima sintesi del mondo vampiresco di True Blood: ritrae il vampiro Eric Northman (interpretato dallo svedese Alexander Skarsgård) e la sua associata Pam (Kristin Bauer) all'interno del locale che gestiscono, Fangtasia. Una serie di scelte suggerisce un ritratto dei vampiri dark, gotico-urbano, svolto sul modello di una contro-cultura o di una comunità sessuale alternativa – il rosso e il nero dominano il cromatismo dell'ambiente privo di finestre, i vestiti di lei richiamano uno stile sadomaso. Eppure altri indizi indicano la natura di messa in scena di quanto vediamo: le due persone sembrano in posa, il tendone di velluto alle loro spalle (un omaggio a Twin Peaks?) è chiaramente un sipario teatrale, e inquadrature precedenti ci hanno già mostrato che il duo si trova effettivamente su un palco rialzato all'interno del locale. L'immagine che questi due vampiri stanno dando di sé è accuratamente calcolata e sostanzialmente fittizia, uno stereotipo di vampiro moderno riprodotto a beneficio degli spettatori – i turisti umani che frequentano il locale in cerca di qualche brivido.
Il principio di questa messa in scena è parallelo, sul piano del mondo finzionale, a quanto sta avvenendo sul piano della rappresentazione cinematografico-televisiva: True Blood, serie prodotta dalla HBO tra 2008 e 2014, sotto la direzione creativa di Alan Ball fino alla quinta delle sue sette stagioni, ci propone un riuso spudorato dell'immaginario – anche il più stereotipo – legato ai vampiri, al contempo richiamando la nostra attenzione sulle modalità auto-consapevoli, ironiche, culturalmente engagé con cui l'operazione viene svolta (si pensi – nella nostra inquadratura esemplare –  alla teatralizzazione estetizzante come epifenomeno di ciò). Il risultato è una serie che offre al suo spettatore almeno due tipologie di gratificazione: quello più immediato e generalista del sesso, del sangue, del mostruoso, e quello, ulteriore, del gioco ironico e citazionistico, e – come vedremo meglio – dell'horror come veicolo per la discussione di problematiche storiche e sociali di ampia portata.
Stiamo guardando Escape from Dragon House, quarto episodio della prima stagione. Lo scenario è quello di un mondo in cui una multinazionale giapponese ha sintetizzato un surrogato del sangue umano e i vampiri – che dispongono così della possibilità di convivere pacificamente con gli umani – hanno deciso di rivelare la loro esistenza e di intraprendere un difficile cammino di integrazione nella società. La prima stagione è costruita attorno a una trama gialla in cui Bon Temps – piccola cittadina fittizia in Louisiana – è funestata da alcuni omicidi seriali. La protagonista, la giovane telepate Sookie Stackhouse (una perfetta Anna Paquin, già giovanissima vincitrice di un Oscar con Lezioni di piano nel 1994, e Rogue in alcuni episodi della saga X-Men tra 2000 e 2014), indaga sugli omicidi, nel tentativo di scagionare dai sospetti suo fratello Jason. Sookie intreccia al contempo una relazione con il vampiro Bill Compton (l'inglese Stephen Moyer – frutto di un casting raffinato, forse memore di Ultraviolet, 1998). Nella scena descritta sopra i due si trovano a Fangtasia, dove sono andati nella speranza che Sookie riesca a captare qualche indizio. La puntata si è aperta – riprendendo il cliffhanger della precedente – sul ritrovamento da parte di Sookie del cadavere di Dawn, l'ultima vittima del serial killer; entrambe le ragazze erano cameriere al Merlotte's, il pub del giovane e misterioso Sam Merlotte (Sam Trammell), segretamente innamorato di Sookie.

 

L'episodio intreccia esemplarmente le sotto-trame costruite attorno a vari personaggi. Le avventure del fratello di Sookie, Jason (interpretato dall'australiano Ryan Kwanten), costituiscono ad esempio un contro-canto ironico a quelle di lei: aitante quanto lento di mente, Jason è sospettato degli omicidi perché è andato a letto con tutte le vittime; dopo aver ingerito un'indebita quantità di sangue di vampiro – che per gli umani ha proprietà invigorenti e talvolta psicotrope – viene affetto da una forma estrema di priapismo, ironico contrappasso ai suoi sregolati costumi sessuali. Tara Thornton (Rutina Wesley), migliore amica di Sookie, lo aiuterà procurandogli un alibi e accompagnandolo da un medico.
Nella cittadina di Bon Temps (una Twin Peaks moderna, con il suo carico di torbidi segreti), e in particolare attorno al Merlotte's, si dipanano le vicende di protagonisti e comprimari, in un mondo in cui il presupposto fantastico – la sfera del soprannaturale in cui rientrano vampiri ma anche lupi mannari e altre creature – è declinato entro un'estrapolazione logico-verisimile. Nel caldo umido e soffocante del profondo sud americano i personaggi fanno sesso e si trovano invischiati in torbide vicende di droga e violenza; mentre le rivendicazioni dei vampiri richiamano in modo esplicito e ammiccante le battaglie civili degli afro-americani e delle minoranze sessuali. Lo sfondo della Louisiana non è affatto neutro: nel nostro quarto episodio, ad esempio, Sookie e Sam discutono della dottrina della segregazione razziale – “separate but equal” – applicata al caso dei vampiri; tra i materiali inclusi nella sigla alcuni fotogrammi di un filmato d'epoca mostrano dei poliziotti reprimere dei manifestanti. A più riprese nella serie vengono suggerite analogie anche tra i vampiri e i movimenti LGBTQ e alle loro battaglie: in un'inquadratura della sigla un cartello “God hates fangs” scimmiotta “God hates fags” della Westboro Baptist Church, sostituendo all'insulto verso i gay i canini dei vampiri; si dice a più riprese che i vampiri “came out of the coffin”, riprendendo l'espressione idiomatica “to come out of the closet”; abbiamo accennato a come in Escape from Dragon House il locale Fangtasia sia costruito sulla falsariga di un luogo di ritrovo di un sottobosco contro-culturale urbano, tanto che la scena si conclude con una retata della polizia. Non mancano spazi importanti dedicati a comprimari velatamente o dichiaratamente gay e queer, come la già citata Pam o il cugino di Tara, Lafayette (nella magnifica interpretazione di Nelsan Ellis).
Lungo le varie stagioni largo spazio è dedicato alle problematiche dell'integrazione dei vampiri nella società, a partire dal dissidio tra coloro che promuovono tale integrazione (significativa la campagna in favore di un Vampire Rights Amendment) e coloro che la osteggiano in nome di una proclamata superiorità dei vampiri, per toccare anche il problema dell'immagine pubblica della comunità dei vampiri, e dello scarto tra posizione ufficiale e ufficiosa delle sue élite dirigenziali. La lettura del vampiro come metafora di minoranze storicamente esistenti va riallacciata peraltro a una lunga tradizione di mostri che danno corpo al diverso, al difforme, all'alterità, e il tema è andato incontro a una particolare fortuna negli studi accademici (Due esempi recenti: Intersectionality Bites: Metaphors of Race and Sexuality in HBO's True Blood di Peter Campbell incluso in Monster Culture in the 21st Century: A Reader; e Mainstream Monsters: The Otherness of Humans in Twilight, the Vampire Diaries and True Blood di Emma Somogyi e Mark David Ryan in The Twilight Saga: Exploring the Global Phenomenon).

 

A questo proposito può essere notata anche la proliferazione del vampiro nelle narrazioni rivolte a un pubblico di ragazzi e ragazze: il vampiro ben si presta a reagire a contatto con l'adolescente come outsider o borderline, a simboleggiarne il difficile percorso di dominio degli istinti, o a incarnare, accanto al lupo mannaro, il dissidio tra mentalità del branco e responsabilità delle scelte individuali.
Alle significazioni cui il soprannaturale rimanda in termini etnici e di genere si può affiancare anche una caratterizzazione di ceto economico: si pensi, in True Blood, alle possibilità economiche di Bill – ex-tenutario di una piantagione durante la sua vita umana prima della guerra civile – e a quelle di Eric – ricco proprietario di Fangtasia, che nel suo locale – come abbiamo visto – fa della sua stessa immagine un prodotto, incarnando alla lettera un'imprenditoria capitalista pienamente realizzata. Una connotazione di classe è suggerita anche per i lupi mannari, rappresentanti di una sotto-cultura simile a quella dei bikers, che appaiono per lo più di umile estrazione (eccezione che conferma la regola: Alcide – Joe Manganiello – con cui Sookie si accoppia nella sesta stagione), mentre le pantere mannare nella terza stagione rappresentano compattamente il tipo del redneck povero, ignorante e tendente all'endogamia.
Nella quarta puntata della prima stagione una scena sottolinea lo scarto di ceto tra Sookie e Bill in termini di gusto culturale: allontanandosi da Fangtasia in macchina, lo stereo suona Escape from Dragon House dei Dengue Fever, Sookie chiede a Bill di spegnere e domanda, con aria di sufficienza, in che lingua sia la canzone. Il particolare mette in luce la lontananza di Sookie dalle preferenze musicali di Bill, laddove queste ultime fanno mostra di contaminazioni interculturali moderne e camp. 

Su questo particolare richiama l'attenzione anche la scelta del titolo della puntata, che riprende esattamente quello della canzone – Escape from Dragon House, come di consueto nella serie (la centralità delle scelte musicali in True Blood è direttamente proporzionale alla qualità produttiva generale e meriterebbe un saggio a sé). Il vampiro come significante di successo economico nella società dei consumi, come incarnazione di un sogno di ascesa sociale ha una serie di interessanti compagni nella produzione più recente. Si potrebbero citare – coprendo spazi diversi nello spettro dei media e delle scelte di gusto – la chiara connotazione di classe della famiglia Cullen e l'arrampicata sociale della protagonista nella saga di Twilight (romanzi, 2005-2008, e film, 2008-2012), l'enfasi di stampo aristocratico-notabiliare posta sulla famiglia e le possibilità economiche dei Salvatore in The Vampire Diaries (2009-), e il più raffinato caso dei vampiri di Jim Jarmush in Solo gli amanti sopravvivono (2014). D'altronde sembra lecito che alla ricchezza materiale sia riservato uno spazio nella connotazione di una figura – il vampiro – che sembra incarnare i nostri moderni sogni di onnipotenza, a partire dal primo e sempiterno: sconfiggere la morte. Il vampiro può esistere in eterno, è dotato di superiori facoltà fisiche (in True Blood i sensi dei vampiri sono più acuti, i vampiri sono super-veloci e super-forti, alcuni di loro possono volare), mentali (possiedono la facoltà di condizionare la mente e la volontà degli umani) e sessuali, e sono spesso facoltosi e potenti (un fatto rimarcato con decisione nella saga romanzesca e ripreso in molti casi anche nella serie). 
Così il vampiro finisce per essere proposto come un umano postumo (oltre la morte) per molti versi migliorato. La compresenza nel vampiro di queste caratteristiche genera in qualche caso un'ulteriore funzione del tropo vampiresco, quella di un dispositivo di memoria storica: la longevità del vampiro lo può aver reso testimone diretto di eventi storici preclusi all'esperienza dei mortali, creando interferenze interessanti. Bill offre la sua testimonianza di prima mano della guerra civile in cerca di un'accettazione da parte della comunità cittadina di Bon Temps (in Sparks Fly Out, quinto episodio della prima stagione): alle derive ideologizzanti e revisionistiche dei nostalgici Descendants of the Glorious Dead, il vampiro contrappone una visione dell'autentico orrore della guerra.
Per riannodare i fili di tutti questi sensi metaforici e ulteriori del tropo vampiresco, il merito maggiore di True Blood, ciò che ha reso la serie un prodotto “adulto” e di culto, sta forse nella composizione complessa e contraddittoria dei possibili significati del vampiro e del soprannaturale, che declina a suo modo quella capacità di rappresentare una dimensione morale e ideologica non manichea – in ciò sostanzialmente realistica, nel senso letterale di aderente alla contraddittoria complessità del reale – che ha fatto la fortuna di altre grandi serie contemporanee. 
Più oltre, le letture che vedono in questi vampiri una mera metafora di genere, etnia o ceto funzionano poco non solo perché questi vari significati si trovano inscindibilmente intrecciati, ma anche perché tutti incontrano un limite in altri caratteri tipici del vampiro. La serie trae molta della sua verve, oltre che la sua cifra più schiettamente horror e splatter, dalla messa in scena della natura predatoria e violenta del vampiro, il cui istinto a nutrirsi di prede umane si riconferma, di caso in caso, spietato o represso a fatica.

 

Si annida forse in questi aspetti del vampiro come predatore fisico e sensuale, anche il principale rischio che la serie corre di proporre una visione post-femminista dei rapporti di genere tra uomini e donne, in particolare attraverso la figura e le vicende della protagonista. Sookie è una ragazza indipendente e orgogliosa della propria indipendenza (di pensiero, di scelta ed economica), ma le sue avventure sono determinate sostanzialmente dalle relazioni romantiche e sessuali che intreccia di volta in volta con questo o quel compagno. Le sue doti telepatiche e la sua natura soprannaturale (disvelata poco a poco nel corso delle stagioni) oltre che la sua avvenenza fisica, la rendono un oggetto del desiderio conteso da più parti, per cui il suo ruolo attivo si esplica, in buona sostanza, in termini di risposta a tentativi di concupirla o sfruttarla, in reazione cioè, a ciò che le accade o che la minaccia per iniziativa altrui.
In questo aspetto la serie di Ball ha rappresentato una solo moderata evoluzione rispetto alla saga di romanzi di Charlaine Harris, di cui nasce come trasposizione. Il rapporto tra serie televisiva e romanzi è illuminante, più in generale, per la diversa economia narrativa che governa i due prodotti e che può contribuire a spiegare, con un buon esempio, la fortuna della serialità televisiva nell'ecosistema delle narrazioni mediatiche contemporanee. La Southern Vampire Mysteries Series di Harris (13 romanzi usciti tra 2001 e 2013, in Italia intercettata da Delos Books quindi ripresa da Fazi) ha rappresentato una traccia seguita da Ball con una certa puntualità fino ai primi quattro volumi. Dai romanzi sono chiaramente derivati alcuni dei protagonisti, le trame orizzontali delle prime stagioni, e i tratti principali dello scenario finzionale, compreso l'amore per un sud gotico di lunga tradizione, che ha in Anne Rice il suo nume tutelare più vicino (per questo aspetto nella Rice di The Witching Hour, 1990, oltre che in quella dei noti romanzi vampireschi). La trasposizione televisiva ha saputo però operare una rielaborazione radicale in fase di sceneggiatura, per tramutare le avventure di Sookie in una vicenda autenticamente corale, e complicare, con l'aggiunta e approfondimento di nuove tematiche, lo spirito di dark-sexy romance di cui si accontentano i romanzi. 
Pensiamo alla già accennata presenza di sotto-trame che vedono protagonista il fratello Jason (nei romanzi una presenza estremamente marginale), Tara (qui la serie aggiunge anche una connotazione etnica importante), Lafayette (nei romanzi una comparsa che entra ed esce di scena rapidamente), Jessica (una fortunata aggiunta originale della serie, ben interpretata da Deborah Ann Woll) per fare solo qualche esempio. Dalla narrazione romanzesca che trova in Sookie l'unica protagonista, ma anche portatrice di un unico punto di vista sugli eventi e narratrice omodiegetica, approdiamo nella serie a una narrazione decisamente plurale e molto più articolata. Escape from Dragon House ne è esemplare, con il montaggio alternato che intreccia le vicende parallele e contemporanee di Sookie prima al Merlotte's quindi con Bill a Fangtasia, di Jason e Tara al commissariato e quindi in ospedale, di Sam al suo locale, sfruttando la presenza di più fili per alternare sotto-generi o atmosfere dominanti diverse (la tensione a Fangtasia contrappuntata dalla ridicola sproporzione dell'erezione di Jason), nonché per tenere alta la suspense, rimandando lo scioglimento di ciascuna situazione.

Le scelte narrative e figurative della serie portano l'impronta di Casa HBO. Network televisivo via cavo e satellitare statunitense, la Home Box Office può essere annoverata tra i protagonisti della nuova golden age televisiva americana: la formula del servizio a pagamento ha svincolato il network dai limiti della censura e appropriatezza che si impongono alle reti in chiaro, e permesso la produzione e trasmissione di prodotti di fiction caratterizzati da contenuti espliciti e da una sofisticazione culturale prima sconosciuti al mondo delle serie generaliste. Serie come Sex and the City (1998-2004), The Sopranos (1999-2007), Six Feet Under (2001-2005), The Wire (2002-2008), fino alle recenti Boardwalk Empire (2010-2014) e Game of Thrones (2011-) hanno indubbiamente segnato il passo della storia recente della fiction televisiva, e spronato i concorrenti (pensiamo alla qualità media delle serie prodotte in ambito generalista, ma anche all'offerta specifica di concorrenti via cavo come Showtime).
Libera dunque dalle normali costrizioni della televisione commerciale, con un target di abbonati su cui il network mantiene un certo riserbo, ma che si colloca verosimilmente in una fascia demografica dalle possibilità economiche e dall'istruzione medio-alta, la HBO ha consapevolmente costruito il proprio marchio attorno a concetti di qualità, innovazione e distinzione culturale, all'insegna del significativo slogan “It's Not TV. It's HBO”, motto ufficiale del network tra 1996 e 2009. La produzione in proprio di serie televisive, in particolare a partire dai secondi anni Novanta, alla ricerca di una sempre maggior fidelizzazione dei sottoscrittori, ha finito per fare tutt'uno con un discorso di nobilitazione estetico-artistica del prodotto televisivo – si pensi all'accento sull'autorialità dei creatori, alla bourdieuniana disposizione alla fruizione estetica garantita dall'assenza di pubblicità, alla consapevole ricerca di un posizionamento all'estremo più sofisticato e distinto entro una scala di gusti televisivi sempre più divaricati – facendo della HBO un interessante caso di brand d'élite all'interno del generalista medium televisivo (si veda su questi temi il saggio di Christopher Anderson Producing an Aristocracy of Culture in American Television, in The Essential HBO Reader).
Di tutto ciò True Blood offre un'ottima incarnazione: il tema già modaiolo dei vampiri (il successo della saga di Twilight in libreria – per fare solo un esempio – comincia nel 2005; cfr. www.quadernidaltritempi.eu/numero25) è offerto in una rielaborazione adulta, segnata dall'autorialità forte di Ball – già Oscar alla sceneggiatura per American Beauty (1999) e consacrato da Six Feet Under; funge da cartina al tornasole del ruolo di Ball il drastico cambiamento (e caduta di qualità) delle ultime due stagioni dopo il suo abbandono. Il risultato è una serie televisiva d'autore che ha saputo magistralmente – e furbescamente – offrire “popcorn for smart people” (“intrattenimento per persone intelligenti”, nelle parole dello stesso Ball riportate nella presentazione della serie sul sito del network). E, proprio come l'operazione di branding della HBO nel suo complesso, il lancio e il successo di True Blood hanno puntato su un fascino elitario e di nicchia, tenendo in secondo piano l'accurata operazione commerciale che ha guidato e sostenuto, anche in questo caso, la serie in qualità di prodotto.

 

Consideriamo ad esempio il contributo dato alla serie e al suo lancio da Digital Kitchen. L'agenzia creativa, già artefice delle notevoli sigle d'apertura di Dexter (2006-2013) e Six Feet Under, ha firmato la sequenza dei titoli di testa, un peculiare caso di sigla in cui non compare nessuno dei protagonisti e luoghi della serie, dedita invece a introdurre le atmosfere di un accaldato, sensuale, violento sud americano, giustapponendo ambiguamente immagini che illustrano e prefigurano i grandi temi della serie – sesso, morte e decadenza fisica, religione e fanatismo, pericolo, sulle allusive note di Bad Things di Jace Everett (della ricca complessità visiva e concettuale della sigla si sono occupati diversi studiosi, si vedano ad esempio Vampire Porn di Daniel K. Immel in A Taste of True Blood: The Fangbanger's Guide, i cenni sparsi nel già citato True Blood: Investigating Vampires and Southern Gothic, e, più in generale sul senso delle sigle nell'economia televisiva contemporanea, Tagli nel flusso. I titoli di testa nella serialità televisiva di Stefano Perna in Post-serialità). Digital Kitchen disegna il font che rende riconoscibile il titolo (nonché la peculiare texture organica e sanguinolenta su cui il font si staglia al termine dei titoli), e orchestra la campagna di marketing che raddoppia l'audience tra la prima e la seconda stagione (dai 2,3 milioni di spettatori della premiere della prima stagione ai 6 milioni della premiere della seconda stagione secondo dati diffusi da Digital Kitchen sul suo sito; 1,44 milioni e 3,7 milioni secondo dati citati da Brigid Cherry nel già menzionato volume collettaneo da lei curato, True Blood). Nella strategia promozionale di Digital Kitchen, facilitata dalle sinergie di HBO con il resto del gruppo Time Warner di cui fa parte, sono comprese la creazione e diffusione di 35 video virali e quattro siti web, una campagna stampa svolta su 29 pubblicazioni, e – forse l'aspetto più interessante – una campagna in co-brand con 8 partner (tra cui Mini e Gillette) in cui una serie di prodotti – un'assicurazione, un’automobile, un rasoio, etc. – è stata pubblicizzata con messaggi rivolti ai vampiri, proponendo implicitamente uno dei presupposti narrativi della serie – i vampiri (non) vivono tra noi – con relativo effetto di straniamento e sorpresa (“haking reality”, nell'ambiziosa formula dell'agenzia). La canzone Oh Sookie e il video del rapper Snoop Dogg fanno parte della campagna ideata tra la seconda e la terza stagione. Adoperare contenuti culturali per favorire il successo commerciale dei prodotti è d'altronde l'esplicita missione dell'agenzia, che sul suo sito si presenta appunto come “a creative and digital agency that harnesses culture to attract audiences”.
Una serie in grado di offrire intrattenimento intelligente, di alta qualità, sostenuta da una strategia promozionale ottimamente congegnata, ha conquistato – non ci stupirà – un seguito di fan accaniti, che ha dato vita a una nutrita produzione di fan fiction (nonché a “tifoserie” in particolare in favore dei personaggi di Bill ed Eric). Non mancano numerosi studi provenienti dal mondo accademico, che si collocano variamente tra curiosità critica e ottica apologetica, rischiando talvolta di perdere di vista il contributo che gli aspetti più schiettamente commerciali visti sopra hanno dato al successo del loro oggetto di studio (si collocano variamente sull'asse analisi-elogio i contributi raccolti in True Blood curato da Brigid Cherry e A Taste of True Blood curato da Leah Wilson).
Così il vampiro realizza sui piccoli schermi i nostri umani sogni, supera la nostra morte, rimescola le nostre identità, differenze, conflitti, e rinfocola la nostra paura di essere scalzati dal vertice della catena alimentare. Mentre buona parte del fascino vampiresco deriva dal potenziale insito nella compresenza di motivi diversi e diverse stratificazioni storiche, le letture critiche di True Blood attendono ancora un pieno assestamento prospettico, che superi le interpretazioni più piattamente metaforiche del soprannaturale, e che renda giustizia anche alle strategie produttive e commerciali dietro al successo della serie, riconoscendone pienamente il ruolo e i meriti.

 


 

ASCOLTI

  Jace Everett, Bad Things, Epic, 2005.
  Dengue Fever, Escape from Dragon House, Brg, 2005.
  Snoop Dogg, Oh Sookie, Digital Kitchen-Snoop Dogg Bush, 2010.

 


 

LETTURE

  Sergio Brancato (a cura di), Post-serialità. Per una sociologia delle tv-series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Liguori, Napoli, 2011.
  Pierre Bordieu, La distinzione, Il Mulino, Bologna, 2007.
  Claudia Bucciferro (a cura di), The Twilight Saga: Exploring the Global Phenomenon, Scarecrow Press, New York, Usa, 2014.
  Brigid Cherry (a cura di), True Blood: Investigating Vampires and Southern Gothic, I.B. Tauris, Londra-New York, Uk-Usa, 2012.
  Gary R. Edgerton, Jeffrey P. Jones (a cura di), The Essential HBO Reader, The University Press of Kentucky, Lexington, Usa, 2008.
  Charlaine Harris, The Southern Vampire Mysteries Series (Dead Until Dark, Living Dead in Dallas, Club Dead, Dead to the World, Dead as a Doornail, Definitely Dead,
  All Together Dead, From Dead to Worse, Dead and Gone, Dead in the Family, Dead Reckoning, Deadlocked, Dead Ever After), Ace Books, New York, Usa, 2001-2013.
  Marina Levina, Diem-My T. Bui (a cura di), Monster Culture in the 21st Century: A Reader, Bloomsbury, New York, Usa, 2013.
  Stephenie Meyer, Twilight Series (Twilight, New Moon, Eclipse, Breaking Dawn), Little, Brown and Company, New York, Usa, 2005-2008.
  Anne Rice, The Witching Hour, Knopf, New York, Usa, 1990.
  Leah Wilson (a cura di), A Taste of True Blood: The Fangbanger's Guide, Benbella Books, Dallas, Usa, 2010.

 


 

VISIONI

  Joe Ahearne, Ultraviolet, Channel 4 (UK), 1998.
  Alan Ball, Six Feet Under, HBO, 2005-2009 (home video).
  David Benioff e D. B. Weiss, Game of Thrones, HBO, 2011-.

Jane Campion, Lezioni di piano, Koch Media, 2013 (home video).

  David Chase, The Sopranos, Stagioni 1-6, Warner Home Video, 2008 (home video).
  Digital Kitchen, sito web ufficiale, http://thisisdk.com.
  Mark Frost e David Lynch, Twin Peaks - I Segreti Di Twin Peaks - Serie Completa, Paramount, 2014 (home video).
  HBO, sito web ufficiale, http://www.hbo.com.
  Catherine Hardwicke, Chris Weitz, David Slade, Bill Condon, Twilight Forever - La Saga Completa, Eagle Pictures, 2013 (home video).
  Jim Jarmush, Solo gli amanti sopravvivono, Eagle Pictures, 2014 (home video).
  James Manos, Jr., Dexter: Killer Collection, Paramount Pictures, 2014 (home video).
  Sam Mendes, American Beauty, Universal Pictures, 2012 (home video).
  David Simon, The Wire, HBO, 2002-2008.
  Darren Star, Sex and the City, Stagioni 1-6, Paramount, 2014 (home video).
  Terence Winter, Boardwalk Empire, HBO, 2010-2014.
  Kevin Williamson e Julie Plec, The Vampire Diaries, The CW, 2009-.
  X-Men series, 20th Century Fox-Marvel Entertainment, 2000.