LETTURE / DIVENTARE CITTADINI. UN MANIFESTO DEL PRECARIATO
di Guy Standing / Milano, Feltrinelli, 2015 / pp. 336, € 19
Per un nuovo statuto del lavoro
di Francesco Pirone
Nel corso degli ultimi quindici anni la ricerca sociale ha prodotto dettagliate analisi e interpretazioni delle trasformazioni del lavoro che si sono sedimentate nel discorso pubblico e molte di queste sono entrate ormai nel senso comune. La corrosione del carattere individuale come conseguenza del lavoro flessibile − parafrasando Richard Sennett (2000) − non è più un rischio, ma è una concreta condizione in cui si trovano soprattutto le nuove coorti di lavoratori in ingresso nel mercato del lavoro, privati della stabilità dell’occupazione e di un’adeguata protezione sociale.
La precarietà professionale rappresenta infatti uno dei tratti distintivi delle istituzioni del nuovo capitalismo neoliberale, che si caratterizza per la diffusione di instabilità e temporaneità in tutte le forme di relazione sociale. Va notato però che il concetto di precarietà ha subito una progressiva trasformazione a causa della sua sempre più ampia presenza sia nel discorso pubblico, sia nella ricerca sociale, generando una moltiplicazione delle definizioni e delle concettualizzazioni che ne hanno ampliato il campo semantico. Provando a schematizzare si possono individuare tre principali linee di ricerca che rimandano ad altrettante concettualizzazioni del fenomeno della precarietà che possiamo identificare − seguendo le indicazioni di Annalisa Murgia (2014) − con i termini di precarity, precariousness e precariat.
Nel primo caso, la precarietà − identificata dal termine precarity − si riferisce strettamente alla condizione occupazionale ed è una concettualizzazione che ha origine e viene impiegata prevalentemente negli studi sul mercato del lavoro, tra i quali si può collocare anche la letteratura sulla insicurezza occupazionale (job-insecurity). Si tratta di precarietà lavorativa e ha come riferimento empirico i soggetti fragili dell’offerta di lavoro che sono impiegati in occupazioni temporanee e discontinue, dai contenuti professionali limitati, mal retribuite e con ridotte protezioni sociali che i sindacati sono in grado di rappresentare in maniera limitata e differenziata.
Nella seconda accezione − quella della precariousness − la precarietà è intesa nel senso più ampio di insicurezza sociale, desoggettivazione ed erosione della possibilità di costruzione del sé, tematiche maggiormente affrontate dalla ricerca sociologica . In questa prospettiva – al suo interno molto variegata – la precarietà viene intesa come l’esito della deregolamentazione del capitalismo industriale e della liquefazione delle sue istituzioni; il soggetto è lasciato libero di autodeterminarsi, ma è chiamato a farsi carico direttamente dei rischi delle sue scelte, senza nessuna mediazione sociale basata su appartenenze e istituzioni di protezione sociale. La crisi della rappresentanza, quindi, viene affrontata nella più ampia prospettiva della crisi delle istituzioni moderne di fronte all’individualizzazione riflessiva.
Nella terza accezione − quella di precariat − si fa riferimento a un attore sociale svantaggiato, sul piano della condizione materiale e della protezione sociale, che potenzialmente è in grado di auto-riconoscimento, di presentarsi come soggetto collettivo e di mobilitarsi per rivendicazioni politiche; si tratta di un’interpretazione diffusa nella letteratura socio-politica di orientamento critico che considera il “precariato” un soggetto emergente che potrebbe diventare una classe politica in grado di mobilitarsi per l’allargamento dei diritti sociali e, più in generale, contro lo sviluppo capitalistico neoliberista. Il sindacato in questa prospettiva dovrebbe impegnarsi in una mobilitazione politica, all’interno di una più ampia coalizione sociale. In questo ultimo filone di studio si colloca il nuovo libro di Guy Standing, Diventare cittadini. Un manifesto del precariato, che sviluppa e precisa le analisi proposte nel precedente e più noto Precari. La nuova classe esplosiva (Standing, 2012).
Sulla scorta dell’attenzione mondiale che è stato in grado di attirare con il precedente volume, in questo nuovo lavoro Standing sviluppa e approfondisce meglio alcuni nodi teorici più dibattuti e, soprattutto, si cimenta nella definizione di una carta dei diritti del precariato − un “manifesto” come riporta il titolo del libro nella traduzione in italiano − per ridare cittadinanza alle persone che subiscono la condizione di precario. Lo scopo del libro, sottolinea l’autore, è quello di “stimolare a concentrarsi sulle politiche e sui mutamenti istituzionali rivolti al precariato” e per questo “tenta di redigere un programma per il precariato che possa diventare la base di un movimento politico fondato [...] sulla visione di cosa costituisca una Società Buona”.
Per chi conosce la biografia e gli orientamenti teorici di Standing, non sorprende la sua “militanza” politica e l’esplicito obiettivo di realizzare marxianamente un costante collegamento tra teoria e prassi, per cui il vero compito del ricercatore non è interpretare il mondo, bensì cambiarlo. Oltre ad essere professore di Development Studies alla School of Oriental and African Studies (SOAS) dell’Università di Londra, Standing è infatti il fondatore e attualmente co-presidente onorario del Basic Income Earth Network (BIEN), un’organizzazione non governativa internazionale che promuove il reddito di cittadinanza.
Il volume approfondisce i caratteri del precariato, specificando − in risposta alle critiche ricevute per il precedente libro − che con “precariato” non si intende soltanto una “condizione sociale”, ma una “classe in divenire” che deve diventare una classe-per-sé che dovrà poi trovare i modi per abolirsi.
I caratteri negativi del precariato, infatti, ne fanno una “classe esplosiva”, intendendo che essa è potenzialmente foriera di cambiamenti e quindi è potenzialmente una “forza trasformativa”, perché ambisce “recuperare una visione progressista di «libertà dal lavoro», stabilendo così un diritto al lavoro carico di significato”. Ciò è anche legato ad un’altra precisazione concettuale, vale a dire la distinzione tra work e labour, intendendo “lavoro libero” e “lavoro alienato”. L’affermazione delle ideologie laburiste hanno enfatizzato il lavoro alienato, mentre oggi si tratta di “svelare” il lavoro libero che deve essere oggetto di diritto.
La rilevanza del precariato è dovuta al fatto che cresce in tutto il mondo il numero di persone che vengono trasformate in “non-cittadini” (denizens), cioè di quote sempre più ampie di persone che perdono diritti e che vivono un’esistenza connotata dall’insicurezza cronica. Nell’era della globalizzazione la non-cittadinanza è un “regresso”, nel senso che abbiamo assistito alla conversione di sempre più persone in individui privati di certi diritti oppure impossibilitati ad ottenerli o conservarli. Questo sarebbe anche l’effetto della crisi del laburismo e della socialdemocrazia a vantaggio dell’affermazione globale della “democrazia utilitaristica” che produce un “modello sociale di appartenenza a strati” che viene descritto da Standing.
Partendo dall’analisi della “Trasformazione Globale” in cui le nostre società sono coinvolte, il libro dedica ampio spazio alla ridefinizione dell’immaginazione economica, provando a dare forma a una visione progressista della “Società Buona”, come alternativa alla democrazia utilitaristica. In questo ambito vengono elaborati ventinove articoli che potrebbero costituire un “Manifesto”, una carta dei diritti del precariato, come base per costruire una rivendicazione del precariato per passare una “politica per il paradiso”. Si tratta di aprire una stagione di mobilitazione e di lotta che deve passare prima per il “riconoscimento”, poi per la “rappresentanza” e infine per la “redistribuzione” che in questo caso riguarda non tanto la ricchezza, ma la sicurezza.
Nel dibattito accademico e politico italiano il volume per ora non ha attirato molta attenzione, almeno non quanto aveva fatto il precedente libro. Eppure si tratta di una lavoro autorevole − vista anche la lunga esperienza di Standing dal 1975 al 2006 presso l’International Labour Organisation (ILO) − e di grande rilevanza sociale e politica, soprattutto in una fase in cui il tema della precarietà si sta imponendo ai primi posti dell’agenda politica nazionale e quando i policy makers sono ancora una volta alle prese con una nuova riforma della regolazione del mercato del lavoro, dei rapporti contrattuali e degli ammortizzatori sociali. In questa prospettiva si tratta di un libro che offre una chiara prospettiva interpretativa di critica alla globalizzazione neoliberista e all’era dell’austerità e che definisce le rivendicazioni per una nuova stagione di mobilitazione e di lotta. Resta però il problema del “soggetto”, poiché − lo stesso Standing lo ammette − il precariato è “una classe in divenire” che non ha ancora trovato la via per diventare classe-per-sé. L’organizzazione e la rappresentanza dei precari si sono dimostrate finora imprese difficili, soprattutto per i sindacati, ma anche le esperienze di auto-organizzazione hanno espresso una forza insufficiente a incidere nei rapporti di potere che determinano le scelte politiche.
LETTURE
— Annalisa Murgia, Soggettività precarie: tra ir-rappresentabilità e auto-rappresentazioni, paper presentato al workshop Diffusione del lavoro atipico e crisi della rappresentanza sindacale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Scienze Sociali, Napoli, 29 settembre 2014.
— Richard Sennett, L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2000.
— Guy Standing, Precari. La nuova classe esplosiva, Il Mulino, Bologna, 2012.