di Gennaro Fucile
È possibile che il progresso sia iniziato nel 1851, quando Londra ospitò la prima esposizione universale. Il mondo intero si stupì di fronte alla sontuosa architettura del Crystal Palace, ferro e vetro, una costruzione leggendaria sorta a Hyde Park in soli quattro mesi, che ospitò quasi quindicimila espositori e i loro centomila prodotti. Era la Grande Esposizione Universale; è possibile che il progresso abbia iniziato a estinguersi allora, nel 1851, quando l’Hyde Park Palace venne smantellato per cedere il posto al maestoso Crystal Palace che aprì al pubblico tre anni dopo negli ampi giardini di Sydenham Hill a sud di Londra. Il progresso iniziò subito a produrre le sue rovine, oltre che i suoi monumenti, le sue icone, ma l’idea stessa di progresso crebbe ancora a dismisura nei decenni successivi e con essa anche la prospettiva di un futuro fatto di meraviglie della scienza e della tecnica, ma anche di emancipazione, di uguaglianza sociale e di diritti del lavoro, di parità tra i sessi, di democrazia. Un intreccio di ideali, visioni, invenzioni, conquiste scientifiche e di narrazioni che anticipavano tutto ciò, lo interpretavano, lo modellavano e anche lo performavano nel regno dei desideri prima ancora che in quello della vita quotidiana.
Tra l’esposizione universale di Londra che diede inizio al fenomeno e quella di Parigi del 1899, che ne segnò l’apoteosi, ebbe luogo anche il primo viaggio immaginario moderno sulla Luna, impiegando l’unico vero mezzo di trasporto aereo dell’epoca. Solo pochi decenni ci si affidava ancora a mezzi precari come il pallone aerostatico di Hans Pfaall nel racconto di Edgar Allan Poe, a sua volta già un bel passo avanti rispetto all’albero di fave scalato dal Barone di Münchhausen. Quella che partì dalla Florida, a 27° 7’ di latitudine nord e 5° 7’ di longitudine ovest, ovvero dalle pagine di Jules Verne pubblicate nel 1865, invece, era una macchina figlia del progresso industriale e partiva proprio dagli Stati Uniti, lì da dove sarebbe partito nel 1969 l’ultimo viaggio romantico verso il satellite terrestre. Tre uomini in viaggio in entrambi i casi, quelli verniani a bordo della mostruosa Columbiad, il grande proiettile sparato da un cannone gigante. Georges Méliès lo raccontò di nuovo al cinema, altra macchina dei sogni, ficcando la bizzarra astronave/pallottola in un occhio della Luna, creando una delle icone del secolo breve, quel Novecento che a un certo punto ha iniziato a produrre su scala industriale la fine dell’idea di progresso e di conseguenza nostalgie stratificate di un futuro perduto. Oggi siamo qui. Schiacciati in un tempo presente infinito, in preda all’emergenza e circondati da rovine del futuro mancato che affiorano qui e là.
Dal progresso all’emergenza, questo il percorso che nel tempo ci conduce dalla prima esposizione londinese del 1851 a quella milanese di Expo 2015, tutta focalizzata sulla ricerca di una vita più sostenibile. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è il tema di Expo 2015. Dal progresso all’emergenza, dunque, perché questo è il mondo abitato da un miliardo di persone denutrite, malnutrite, che muoiono letteralmente di fame, un mondo nel cui orizzonte si aggira lo spettro della mancanza d’acqua, il mondo del capitale trionfante, della sua fase suprema, una micidiale miscela di finanza, di tecnologie militari e relativi derivati applicati al consumo, di tecnologie interattive e chimiche, di multinazionali del cibo e della comunicazione e dell’intrattenimento e infine, determinanti, di narrazioni che ne rendono fluide le connessioni. Un mondo dominato da tecnocrati, tecnognostici, e dai loro dispositivi affabulatori che in/formano un pianeta esausto, in parte abitato da miserabili, schiavi, folle di affamati e un pugno o poco più di folli. Élite che generano e condividono narrazioni e che a Expo 2015 esporranno la loro visione del futuro fondata sull’emergenza. La rassegna milanese produrrà un documento, la Carta di Milano, che verrà consegnata alle Nazioni Unite, fungendo da piattaforma globale per politiche alimentari sostenibili. Solo per gettarne le basi si sono incontrati lo scorso febbraio ben cinquecento esperti provenienti da tutto il mondo. Ecco lo stato di rovina del mondo: cinquecento scienziati, tecnici, intellettuali, che si chiedono come evitare sprechi alimentari ed evitare che nel 2015 si possa morire di fame! È il trionfo del capitale, perché la domanda che tutti si pongono e forse cinquecento cervelli non sono sufficienti (e infatti non bastano) per rispondere in modo convincente è: “Come evitare questo scempio senza intaccare i profitti?”. Non ne basteranno cinquecento, perché siamo nel pieno di un’apocalisse sociale che ha reso realistiche distopie di matrice fantascientifica come quelle immaginate da Philip Dick, William Gibson o James Ballard. D’altra parte anche il trionfo del capitale, un sistema insensato, ha del fantascientifico. Quest’anno ricorre anche il cinquantenario di uno dei più famosi cicli della letteratura di science fiction, Dune, di Frank Herbert. Una saga che nel tempo si è conquistata la fama di antesignana della sci-fi ecologica, narrando dell’ecosistema del pianeta Arrakis sorretto da un perfetto equilibrio tra le varie forme di vita che lo abitano e le risorse naturali di cui dispone. È una storia che funge da involontario preludio all’emergenza di oggi, che non può certo concedersi il lusso di sognare avventure spaziali; in questi tempi ci accontentiamo di orbitare intorno al pianeta e anche lì l’immaginazione viene assalita da mille timori e terrori, come ci ha mostrato Gravity, il film di Alfonso Cuarón. Niente più viaggia eroicamente dalla Terra alla Luna.
Eppure qualcosa lassù sembra comprendere tutto, Fantascienza, Cibo, Luna, Expo, quasi ad accendere una speranza in questo mondo dove è buio fitto. È un comunicato stampa come tanti altri, ma la citazione è d’obbligo: “Il Consorzio Mortadella Bologna ha diffuso oggi i dati di produzione e di vendita della Mortadella Bologna IGP del 2014: 37.000.000 di kg prodotti di Mortadella Bologna IGP […] Un dato che di per sé non dà l’idea dei volumi, ma se facciamo un piccolo gioco, pensando alle fette di Mortadella Bologna del diametro medio di 22 cm e immaginandole una a fianco all’altra, raggiungiamo una superficie di 55.770 kilometri: 5 volte il giro della Luna (1 giro = 10.917 Km)!”.
Il tutto accompagnato da un’immagine del satellite che in luogo della familiare superficie splendente di luce riflessa e costellata di crateri propone una esemplare fetta di mortadella, vista da una Terra avvolta da nuvole vaporose.
A lato, l’unica cosa sensata: il logo del Consorzio, anch’esso sospeso in cielo. Sorvoliamo, sul “giro della Luna”, per dire circonferenza e su chilometri con la “k”. Concediamoci pure un sorriso al gioco, perché tale è dichiarato, ma poi chiediamoci: è una misura dei tempi? È questa l’immaginazione creativa che ci riserva l’emergenza?
Dal faccione della Luna bucato da un proiettile alla mortadella, dall’idea di progresso all’emergenza cibo. Ieri protesi verso lo spazio, oggi verso la tavola. Fa niente che da certe latitudini questa Luna neanche la si scorge, sarà la fame che offusca la vista, ma per fortuna ci penseranno i molteplici brainstorming di Expo a concepire il telescopio a misura di povero.
Siamo proprio in emergenza e meno male che la mortadella è ancora buona.