
Ricominciamo ancora una volta: prendete questa coppia
nell’intimo delle loro primavere, nel quotidiano di un
vestito scucito sotto l’ascella sinistra, o degli
imbarazzanti pigiami di flanella degli inverni in cui si sta dentro e
si guarda il mondo dal vetro delle finestre. Quel mondo che, bene o
male, è sempre lo stesso. Quella realtà che, per
quanto succeda, è sempre la stessa. Perché sta
dall’altra parte, e nessuno ci può fare niente.
Prendete dunque queste due persone proprio mentre sono in casa.
Perché la vita di una coppia è lì,
è lì che si riproduce. Talvolta, anche in questo
quadro di docile invecchiamento, capita tuttavia che emerga qualche
ricordo taciuto, qualcosa di non detto. O di detto di sfuggita, di
accennato. O anche solo di non ascoltato, di lasciato andare insieme al
resto delle cose di poca importanza che fanno una vita
condivisa.
L’espressione dell’amore nei modi non
convenzionali della narrazione e l’offuscata rivisitazione
delle stanze del passato decostruiscono una vicenda che si sviluppa non
nella spirale delle proprie estasi, ma attraverso arbitrari rimandi,
sottratti alla logica del racconto. La frammentazione della
spaziotemporalità, con salti, riprese, riverberi,
attribuisce un più inquietante senso di incompiutezza alle
emozioni e ai palpiti, che resteranno un’indefinibile
rimembranza, in cui si placa, o si fa più profondo e senza
voce, il tumulto della passione, soffocato dallo struggente rimpianto e
dalla poetica nostalgia.
I due coniugi vivono, per esplicita ammissione, senza
programmi. La loro vita, è lampante, si concentra
esclusivamente sul presente. Semplicemente un insieme di episodi
sconnessi, forse in cerca dei sempre innovativi piaceri
dell’istante, sebbene con un’apatica
incapacità di goderne appieno la sostanza. In quanto
espressione traslata dell’individuo tardomoderno –
almeno della sua rappresentazione – essi sono fautori di
un’identità che si rinnova di continuo,
all’insegna dell’abbandono del consolidato, che
però non riesce a stabilizzarsi ed a contrastare la
precarietà dilagante. Un’identità che
naviga a vista in un mondo considerato spesso come liquido,
ossia senza una forma stabile e duratura. L’immagine di se
stessi può così dare corpo ad
un’auto-percezione frammentaria e sinistra, perché
non può giovarsi della continuità sensata degli
eventi nella costruzione di personalità coerenti, seppur
modificabili, lungo l’arco di un’intera e salubre
biografia.
Nessuna scena può essere davvero astratta dal
contesto narrativo del film di cui è parte, e che
contribuisce a “tessere”, né dal
contesto narrativo della biografia del suo spettatore.
Da una
parte ci sono le vicende concrete che occorrono ai protagonisti: tutte
incentrate su se stessi, sulla continua riflessione sulle decisioni da
prendere e su quelle già prese – decisioni che
nella maggior parte dei casi riguardano le relazioni sentimentali, anzi
prima di tutto erotiche, che hanno.
Entrambi vivono nel vuoto degli affetti sradicati
dall’intollerabile violenza di un contesto per cui gli esseri
umani non sono altro che carne e calorie. Nel rapporto che tra loro si
va creando entrambi vivranno una tensione incestuosa talmente
raccapricciante da arrivare perfino a sfiorare la tenerezza. Tensione
che nel suo parossismo si risolverà senza soluzione, ammesso
che la fine non sia una soluzione essa stessa.
La
conversazione tra i due rientra pienamente in un cliché di
vita coniugale (come sempre accade nella dimensione
“domestica” della coppia criminale): lui scherza
sull’ipotesi che avesse dimenticato la ricorrenza, lei
annuisce e poi resta sorpresa dalla cena a lume di candela organizzata
da lui; a tavola, più tardi, rievocano il loro primo
incontro, a due voci...
Lei indossa un accappatoio appena lavato ed emana il profumo
di cocco o di vaniglia del suo bagno schiuma; passeggia per casa a
piedi nudi accarezzando il parquet con i polpastrelli; scosta di poco
la tenda per vedere se fuori la neve cade ancora giù fitta;
accarezza il gatto che la segue lisciandosi il pelo sulla sua pelle che
cammina. Magari ha in mano un bicchiere di vino rosso francese stappato
la sera prima quando lui le era ancora accanto seduto sul divano,
abbracciando il silenzio dei momenti incantevoli del quotidiano e
guardando le fiamme consumare tra i mattoni rossi del camino il ciocco
grande di un vecchio frassino. Insomma, il nostro personaggio,
probabilmente con i capelli lunghi raccolti ad asciugarsi in un telo
morbido come l’accappatoio, o anche con le unghie smaltate di
rosa pastello, si muove in un quadro delicato, familiare e
confortevole: un po’ di discreta delicatezza fa da sfondo e,
tra una cosa e l’altra, s’intravedono quegli angoli
minimi di una malinconia che addolcisce i ricordi belli (come quando
nella polvere della soffitta si ritrova una vecchia fotografia seppiata
che ritrae la famiglia intera seduta al tavolo della festa), e si
percepisce la calma sfiorata della gentilezza del presente a bilanciare
il vuoto di quell’incertezza buona che, senza clamore, il
passato proietta sul futuro.
Il Situazionismo intende perseguire questi obiettivi
attraverso delle direzioni di ricerca come ad esempio il dètournement,
processo di risignificazione di un oggetto culturale (il procedimento
che utilizza anche Blob: Enrico Ghezzi per sua stessa ammissione deve
parecchio ai situazionisti), vale a dire un montaggio di elementi
preesistenti che assemblati in maniera differente
dall’originale producono un significato nuovo.
Quello
dell’amore impossibile – ha origini che si annidano
negli anni più oscuri, nascosti del medioevo occidentale: il
“romanzo” di Tristano e Isotta. Ma deve avere nel
suo nucleo più profondo e segreto qualcosa di universale ed
eterno per aver attraversato come un fiume sotterraneo, un filo
nascosto, tutta la cultura occidentale, tradendo le sue origini,
trasformandosi continuamente e adeguandosi al mutamento dei contesti,
delle sensibilità, e al processo di definizione
dell’identità occidentale colonizzandone le sue
espressioni estetiche. Transitando e nutrendo così prima la
tragedia e la commedia elisabettiana, il romanzo gotico, il romanzo
borghese di formazione, per poi sbarcare nel cinema, la macchina
più potente – almeno per un secolo – di
espressione e formazione dell’immaginario collettivo.
Seguendo gli snodi e le torsioni, gli intrecci e le fratture che hanno
accompagnato il cammino della modernità.
Coinvolti in una storia d’amore, finivano per
assumere comportamenti e compivano mosse prescritti dalla propria
formazione letteraria, con il risultato di essere scontati e
prevedibili, a differenza degli abitanti della provincia e degli
incolti che, in ragione del proprio analfabetismo e della scarsa
frequentazione di letture formative, potevano salvaguardare schegge
preziose della propria ingenuità e innocenza, preservando
una certa verginità e spontaneità, a scapito
della possibilità di accedere alla vita elegante e ai suoi
rigidissimi canoni. I comportamenti amorosi avevano uno specifico
percorso formativo, che poteva passare per i libri o attraverso dei
precettori che già ne avevano fatto larga
esperienza.
Che non è abituata, non lo sopporta, non ha corde e
registri per potersi rappresentare l’asimmetria. Non riesce
ad elaborare quella che pare La Sconfitta, ma che poi sarebbe solo
l’accesso alla propria umanità,
vulnerabilità, imperfezione. Non se ne dà pace.
Ha visto cose di sé che non avrebbe voluto vedere, che non
riesce a perdonare a chi l’ha portata fino a quel punto. E
condanna l’Altro per delle cose di sé
Un buon rifugio pensai una tana per chi vuole leccarsi ferite
ancora gocciolanti e che lei fosse piuttosto giù si capiva
era bellissima poco loquace gli occhi ti legavano ma era triste ne
ignoravo il motivo notai quei capelli cortissimi che sembravano
sforbiciati al buio più che altro intuivo che volesse
dimenticare qualche accidente lasciarselo alle spalle mi disse che li
aveva portati lunghi fin dove la schiena cambia nome sorrise accennando
a una citazione di vattelappesca chi almeno così mi pare
eppure non smetteva di ricordare di inseguire una pena
un’ossessione tenace.
Se ne innamora: comincia a prendersi cura di lei, a coprirla
di attenzioni e regali, riesce addirittura a farla uscire di casa dopo
dodici anni di reclusione.
Insomma, si innamora di lei,
perdutamente, tanto – una volta vinta la sua agorafobia
– da condurla a casa sua e introdurla alla stanza segreta
dove conserva la sua collezione di quadri, di donne conosciute
– forse possedute? – solo in effigie, impossibili
da avere.
Ogni volta che provo un dolore, ogni volta che provo a non
sentirlo, vedo quella scena, vedo acqua che cade. Le prime volte
l’ho anche sognata. Un fiume che viene da molto lontano, che
è riuscito a restare a galla crescendo e moltiplicandosi,
ora si perde. Un enorme volume d’acqua in piena corsa
improvvisamente inciampa e cade. Non c’è
più alcun legame forte tra la materia liquida, o forse non
c’è mai stato fino a questa prova estrema. Non
c’è più la storia, le origini, e
l’impeto ad accomunare, non c’è nemmeno
più l’orizzonte di fronte al buco nero della
cascata. Le molecole si separano, si spezzano e nebulizzano. Alcune si
ritroveranno in un nuovo fiume, diverse, sopravissute e stravolte
riprenderanno una nuova corsa. Alcune andranno a formare rugiada,
nebbie e nuvole, altre affonderanno per sempre sottoterra. È
una separazione indolore, incosciente, spettacolare e insensibile come
deve essere la natura. La sensibilità è nostra,
di osservatori distaccati, ci sentiamo attirati dalla bellezza di
questa caduta, apparentati a questo destino che somiglia
così tanto alla separazione, alla perdita di una persona
cara.
Mentre un emulo oltremondano di un modernismo sonoro sta
raccontando la loro bella storia, bizzarra e un po’
malinconica, singhiozzandone dolcemente i frammenti: la storia di due
esseri eterei forse infelici o forse sorridenti (o forse semplicemente
soli), in quel frattempo sospeso che per loro
è la vita, ma che noialtri, invece, possiamo soltanto
supporre.
Se è vero che l’identità si
svela nell’intersoggettività, se il giudizio
prende forma nella connessione tra realtà sempre incomplete,
è altrettanto vero che è proprio questo aspetto
relazionale a renderci soli. L’Io inerisce il Tu ma lo rende
inadeguato, malfatto, sempre abbozzato.
Perché così è sempre un
sentimento, “amare a” e non amare un complemento
oggetto, una transitività infinita, con le cose che vanno e
fanno partire quelle che tornano che fanno ripartire quelle che vanno.
Sentimento non è contemplazione, ascesi o misticismo:
è movimento, risposte che inducono domande che inducono
risposte. Bisogna essere molto agitati, inquieti, per questo. Bisogna
aver una gran forma fisica, un fisico bestiale.
Solo che… solo che le cose non sempre stanno come
appaiono, o come l’amore ce le fa sembrare, e si rischia di
ritrovarsi presi in un vortice di vicende e pensieri in cui
è facile perdere il controllo su ciò che
è sicuramente vero, ciò che probabilmente
è falso, fino al delirio e alla follia.
C’è sempre una presa di distanza tra chi
scrive e trascrive le sue stesse esperienze e le esperienze stesse,
quindi già il linguaggio non è quello
dell’esperienza vissuta in prima persona dallo stesso
scrittore/trascrittore. Poi c’è la distanza tra
chi legge e i dati dell’esperienza letti, e tra chi legge e
se stesso. Nella misura ulteriore dell’esperienza di chi
legge e dell’esperienza di chi ha scritto. Si viene pertanto
a diramare ed estendere una molteplice serie di direzioni e di distanziazioni.
Tra vicende vissute, vicende elaborate; vicende già
elaborate e ulteriore cerebralizzazione di quanto viene prodotto. E a
seguire in tutto il rapporto tra l’autore e la lettura
dell’altro.
Risulta necessario porsi una domanda fondamentale: chi
ha prodotto questo testo letterario che sto leggendo e interrogando?
Tale domanda, è chiaro, non serve soltanto per rintracciare
le linee biografiche di chi ha scritto un particolare e specifico testo
all’interno del testo stesso. Al contrario. Questa domanda
intende indagare circa la natura e la funzione di un personaggio tra
gli altri all’interno di un’opera letteraria,
l’autore appunto.
Non è
l’estetica del brutto che si vuole mostrare, piuttosto quella
appannata e stanca della normalità, quei dettagli minuscoli
che Arthur Schopenhauer trovava irresistibilmente comici:
“L'agitazione e il tormento della giornata, l'incessante
ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli
accidenti sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora
intento a brutti tiri”. Svanisce, invece, la tragedia dei
“desideri sempre inappagati, delle speranze calpestate senza
pietà dal destino, dei funesti errori di tutta la
vita”, svanisce la disperazione, forse dimenticata sugli
sgabelli di una tavola calda o forse abbandonata per strada insieme al
passato.
Su quale base scegliamo il nostro partner?
Cos’è che ci frena nel dichiararci? Da cosa
nascono i timori e i dubbi che abbiamo quando siamo attratti da un
potenziale partner? E dopo, quando lo abbiamo conquistato, o ne siamo
stati conquistati?
E, prima di tutto – pur tenendo
conto del progressivo tramonto del matrimonio fra
“etero” come unica opzione possibile, e del
progressivo legittimarsi di unioni non istituzionali e/o fra lo stesso
sesso – come scegliamo?