Ordinate un Martini, senza scervellarvi ricercando cocktail esotici, perché in questo caso è il bar che fa l’atmosfera
Il “bello di notte” si prepara con 4,5 cl di whisky, qualche goccia di Angostura Bitters, Soda Water (uno spruzzo) e una zolletta di zucchero. Questa miscela è apparsa per la prima volta sul banco del Pendennis Club di Louisville, nel Kentucky, intorno al 1880. A dare celebrità al cocktail è stato uno dei membri del club, il Colonnello James E. Pepper, che ne ha svelato la ricetta al barman del Waldorf-Astoria Hotel di New York. Da lì il successo globale. Oggi è riproposto nei cocktail bar più blasonati di New York come il Pdt o il Death & Co. Locali che ripropongono la tradizione dell’Archaic e Baroque Age, l’epoca, siamo intorno ai primi dell’Ottocento, in cui tutto ha avuto inizio. Sul loro bancone sfilano cocktail per secoli dimenticati come Toddy, Sling, Julep, Cobbler, Sangaree, Flip, Egg nog. Tornando all’Old Fashioned, la ricetta originale prevedeva il bourbon whisky.
Cose belle/cose brutte: non possiamo qui riportarle tutte. Ci esibiremo dunque solo in una rapida e schematica carrellata degli aspetti che ne sono riguardati. La prima forma di rapporto affettivo si sperimenta attraverso la suzione dal seno materno: la bocca resta quindi, poi, fortemente investita di significati in tal senso. Nel suddetto rapporto, per esempio, ogni madre esprime il concetto che ha del proprio bambino e glielo trasmette: se risponde con il cibo ad ogni tensione, quest’associazione tensione/cibo si fissa nel bambino, impedendogli di maturare l’autoconsapevolezza della diversità dei bisogni. La funzione alimentare diventa così pseudo-soluzione dei problemi, quando non si distingue la sensazione di fame da altri stati di tensione fisica ed emotiva. Una madre molto protettiva induce una forte dipendenza orale, strutturando nel bambino come solo linguaggio e unica forma di reazione a ogni circostanza, solo un domanda continua di affetto materno, facendogli sviluppare, quindi, poca autonomia. A lungo termine, questa domanda d’affetto sarà troppo esagerata perché possa essere sempre soddisfatta: eventuali ammanchi in tal senso dovranno essere compensati in modo secondario, per esempio attraverso l'assunzione del cibo.
Il nominalismo considera i concetti generali come formati dall’unione di singoli elementi attraverso logiche funzionali. Questi “singoli” avrebbero lo statuto di realtà che mancherebbe invece ai concetti generali. Un simile modo di pensare nominalistico contagia qualsiasi forma di conoscenza e di esperienza o visione del mondo, plasmando perfino il senso comune. Tant’è vero che una simile inclinazione gnoseologica sarebbe la base cognitiva della strutturazione contrattualistica della moderna società occidentale
Tutto quello che c’è dentro il pasticcio, infatti (rigaglie di pollo, meglio se con uova non ancora mature, creste e barbigli della stessa bestia, funghi, prosciutto crudo e cotto di maiale, animelle di un’altra bestia ancora, tartufo, balsamella e maccheroni), sta chiuso in un involucro di pasta frolla, come quella che s’usa per le crostate anche se un po’ più magra. Questo un primo elemento della nostra dimostrazione. Inoltre è oggetto totale, il nostro pasticcio, per numerosi altri argomenti. Innanzitutto la coincidenza degli opposti (salato e dolce) che annulla le opposizioni antropologiche di cui abbiamo già parlato. In secondo luogo perché racchiude, nelle sua densità, proprio come l’Aleph, l’essenza dell’eterogeneo e del mutamento: le uova ancora non mature del pollo sono micro-localizzazioni staminali, che si danno senza ancora rilanciare nella pratica sulla scommessa delle possibilità, sono generative di soggettive prospettiche, non ancora compiute nemmeno nel loro essere germinative. In terzo luogo perché con metodologia casistica, sezionando una parte arbitraria dell’enumerazione completa del mondo animale, il pasticcio racchiude in sé elementi di quattro bestie differenti (maiale, vacca, pollo e agnello), allo stesso modo di un’Arca costruita per solcare la rabbia di un Dio irrequieto.
I funzionali si propongono il mantenimento della buona salute, hanno come target di riferimento l’intera popolazione e agiscono sul metabolismo, mentre i dietetici coadiuvano la cura delle malattie. Il target, quindi, sono gli ammalati, sul cui metabolismo agiscono. I nutriceutici dall’anglosassone nutriceutical (nutrition+pharmaceuticals), invece, migliorano la salute, si rivolgono a gruppi omogenei (età, razza, sesso) e agiscono sul metabolismo.
La dismorfia muscolare è un disturbo tanto giovane quanto inesplorato. L’insufficienza di ricerche al riguardo e la complessità della patologia non permettono di definire con esattezza le cause del disturbo. Il corpo muscoloso intimamente legato alla visione della mascolinità e del ruolo sessuale maschile secondo cui gli uomini devono essere forti, potenti e perfino distruttivi, rappresenta l’ideale. Il corpo ipermascolino, simbolizza il tentativo degli uomini di restaurare sentimenti di autocontrollo mascolino e di valore.
Segue una corretta alimentazione, assume un’adeguata quantità/calorie, evita le schifezze (cibi grassi, zuccheri, come dolciumi, cioccolato), è attento all’equilibrio nutrizionale (carboidrati e proteine-carne, seguite da verdure). Una dieta che tiene in giusto conto anche il ruolo dei minerali (calcio in primis) e delle vitamine.
Lardo di Colonnata, curry, ricotta, salame piccante, porchetta,castagne, zafferano, stracchino, bresaola, fegatini, vodka, grana e pere, emmenthal, prosciutto di struzzo, fagioli, sardine, bottarga, indivia, e provola, wurstel, ketchup, patatine fritte, mortadella, speck, asparagi, kebab, pesto, melanzane, lampascioni, Nutella, jalapeños, yogurt, frutta, crauti, mele, formaggio olandese, pistacchi, fave, broccoletti, radicchio rosso di Chioggia, fiori di zucca, capicollo, uvetta e ciccioli, gorgonzola, e ananas, tagliatelle, strutto, filetto di manzo, piselli, cecinielli e minutaglia di pesce, filetti di merluzzo, bietole, zucca gialla, cavolo rosso, noci, cavolfiore, nocciole, friarielli, porri, petto di pollo a fettine, lattuga, pinoli, ceci, uova di lompo, panna liquida, fontina, code di scampi, mascarpone, formaggio Bruss, scime di rapa, fusilli, prosciutto di cinghiale….e l’elenco continua.
Dopo l’argomentare su quello che c’è, potrebbe forse scaturirne un discorso su ciò che non c’è, su quanto esula dalla dimensione rappresentativa, ma viene automaticamente evocato. Evocazione per assenza. Soffermando l’attenzione sul dettaglio, la sottrazione tecnica evoca – per sottrazione di quanto viene rappresentato.
La “riscoperta dei sapori dell'orto, dei prodotti freschi e rari, delle verdure di stagione e di prossimità” è un approccio fra i tanti che discrimina e incrimina, che promuove realtà e mito. L’industria garantisce la base alimentare alla popolazione italiana, con una gamma di prodotti scalare, per costo e valore gastronomico, ma tutto il suo marketing non basta a renderla riconoscibile e accettata in tutte le sue componenti. L’esistenza dell’orto e quella delle coltivazioni estensive, della passata casalinga e di Pomì sono le due facce di un sistema che dagli anni Novanta non riesce a trovare un equilibrio, almeno da un punto di vista culturale, e che richiede, per il futuro, una nuova visione.
Nessuna scena può essere davvero astratta dal contesto narrativo del film di cui è parte, e che contribuisce a “tessere”, né dal contesto narrativo della biografia del suo spettatore.
D'inverno si andava nel suo studio e d'estate si andava a casa sua, dopo cena, normalmente alle otto e trenta. Era una cosa molto divertente perché in serata uscivamo tutti, andavamo a bere nelle osterie. Mangiavamo sempre un po' di pane nero e bevevamo del vino con lui che, tra l'altro, era un buon bevitore. In quelle serate lui faceva un seminario sullo spirito, sulla fenomenologia dello spirito. Io, purtroppo, non capivo assolutamente niente.
Nel dibattersi delle forme vitali, prima catturate e poi liberate dalla materia e dall’energia, l’evento ultimo, che trascende tutti i processi, vanificandone gli sviluppi, presenta i contorni sfuggenti dell’indefinito, i tratti sbiaditi di un’illusoria esistenza, sospesa tra il suo inizio e il suo termine, che trascina miseramente brandelli di coscienza destinati a estinguersi, metafore di ciò che disperatamente resiste alla sua stessa fine.
Al colmo della sua disperazione, strappando vaschette di prosciutto crudo preaffettato, e di molti altri generi alimentari, e ingurgitandoli in un solo boccone, per poi vomitarli sul pavimento di fronte agli altri clienti inorriditi.
Sfamiamo i lerciosi affamati con i nostri avanzi, prendiamo tutto dai piatti, lische, ossicini mal rosicchiati, condimenti, fondo di pentola o di padella, pezzetti di pane, torsoli, briciole, ma anche tutto quello che non utilizziamo dell’ortofrutta, ad esempio, oppure interiora non cucinate, e avremo di che saziare questo fabbisogno alimentare supplementare, risolvendo anche il problema dello smaltimento dell’umido.
Al tempo stesso il cuoco regola l’accesso ad un territorio sacro, contiguo talvolta alla creazione artistica, riconoscibile per l’uso di uno spazio esclusivo e separato (la cucina), di oggetti e abbigliamento specifici (mestoli, fruste e coltelli; l’immancabile cappello o il famoso cordon bleu), per la pratica di azioni rituali quasi magiche (montare a neve, chiarificare il burro, legare una salsa) e l’uso di termini, prevalentemente di derivazione francese, comprensibili solo agli iniziati (aspic, salmì, roux, chiffonade, concassé).
Vogliono darsi la morte per indigestione, ingerendo pietanze a dismisura, finendo in definitiva – e solo in parte loro malgrado – per farsi avvolgere da quella sozza lordura che coniuga ingordigia, indecenza, lascivia. È il triste e vacuo spirito del lusso, probabilmente, che si nutre di maiali, pollame, manzo, formaggi in smodate quantità, nel contesto di una casa sontuosa e barocca, traboccante di orpelli pomposi.
Imperdibili le pagine dedicate alle sconfinate distese di piante di mais e agli orrori degli allevamenti intensivi di bovini alimentati con sbobbe a base di mais, all’abominevole alimentazione degli umani a base di bistecche che, in ultima analisi, sono a base di mais … tirate due semplici somme, si arriva alla fine di questa scorpacciata di cibo spazzatura a concludere che quasi il 75% dei cibi o bevande che consumiamo contengono derivati del mais. Morale: gli esseri umani sono vere e proprie pannocchie con le gambe. La faccenda, a dir la verità era nota da tempo, risale quantomeno ai Maya che per primi intuirono la capacità della pianta di affermarsi sull’ambiente circostante.
Risulta necessario porsi una domanda fondamentale: chi ha prodotto questo testo letterario che sto leggendo e interrogando? Tale domanda, è chiaro, non serve soltanto per rintracciare le linee biografiche di chi ha scritto un particolare e specifico testo all’interno del testo stesso. Al contrario. Questa domanda intende indagare circa la natura e la funzione di un personaggio tra gli altri all’interno di un’opera letteraria, l’autore appunto. Forchette estremamente caute, nello Iowa non conoscono ricette sofisticate come meringate, aragoste alla Newburg, pollo alla cacciatora, descritte nei settimanali femminili. Anche il critico gastronomico più famoso dell’epoca, Duncan Hines, autore di Adventures in Good Eating (la prima edizione data 1935 e venne pubblicata in proprio) dichiara con orgoglio di non mangiare mai, potendo, piatti dai nomi francesi. Reduce da un viaggio in Europa fatto a settant’anni, afferma che la maggior parte delle cose provate non gli sono piaciute, in particolare il cibo. In compenso le sagre di paese di Des Moines offrono tavolate di coloratissime gelatine Jell-O, il frutto di stato, contenenti fantasiosi ingredienti come marshmallow, pretzel, pezzi di frutta, Rice Krispies, triangoli di mais fritti. Molte altre stranezze mangerecce stars&stripes producono colesterolo in quantità industriale: purè di patate burrosi, fagioli al forno soffocati nel bacon, verdure alla crema, uova sode piccanti, pane di mais, muffin.
Si può spiegare in questa maniera il proliferare di spazi televisivi dedicati alla tavola, alle tecniche di cucina, alla conoscenza degli alimenti, in un tempo in cui la propensione all’acquisto è penalizzata dalla perdita progressiva di ricchezza. Recuperando un vocabolario barthesiano, si potrebbe osservare che la cucina in televisione torna a essere una cucina della vista piuttosto che della sostanza.
E la trippa tiepida, nella sua ridicola suppurazione esistenziale, non può far altro che guardarsi e riconoscersi, sbeffeggiandosi, così da potersi affermare nella sua stessa dannazione: almeno quello può farlo, sì.
Il Situazionismo intende perseguire questi obiettivi attraverso delle direzioni di ricerca come ad esempio il dètournement, processo di risignificazione di un oggetto culturale (il procedimento che utilizza anche Blob: Enrico Ghezzi per sua stessa ammissione deve parecchio ai situazionisti), vale a dire un montaggio di elementi preesistenti che assemblati in maniera differente dall’originale producono un significato nuovo.
Allora diciamo che lui si chiama Cico, un adulto, sano, attento al proprio welness, non si fa mancare nulla, cure estetiche, attività sportive, specialisti, psicologo e terapeuta-educatore. Non è un personaggio letterario, non arriva dai cartoon o dai manga, tantomeno dal cinema. È reale, potrebbe appartenere ad un qualsiasi proprietario di animali domestici da compagnia, il cosiddetto pet owner. È vivace, curioso – ha girato mezzo mondo –, ama la musica e la sua compagnia trasmette allegria e gioia, amplifica la dimensione giocosa del vivere quotidiano e spesso facilita le relazioni interpersonali dell’intero gruppo familiare.