Il
Pianeta Proibito (Forbidden Planet, 1956) di Fred McLeod Wilcox Con
Walter Pidgeon, Leslie Nielsen, Anne Francis, Warren Stevens
Nel XXIII secolo – come ci
avverte la propagandistica voce da cinegiornale Luce nell’incipit del
film – l’incrociatore stellare C-57-D
al comando di John Adams giunge dopo un anno di viaggio su Altair IV,
per far luce sulla scomparsa dell’astronave Bellerofonte
avvenuta vent’anni prima. L’equipaggio scopre che gli unici
sopravvissuti della spedizione sono il dottor Morbius, studioso esperto
in filologia, e la sua giovane figlia Altaira, ingenua come può esserlo
solo chi non è mai entrato in contatto con le convenzioni della civiltà
umana. Morbius avverte il comandante Adams del pericolo che corre
insistendo nel restare su Altair per far luce sul disastro del Bellerofonte,
pericolo che presto si concretizza in inspiegabili attacchi
all’astronave e al suo equipaggio atterrati sul pianeta. Sotto la
pressione di Adams e del medico di bordo, il dottor Morbius rivela
quindi il segreto del pianeta: due milioni di anni prima la civiltà dei
Krell, dopo essere giunta alle più alte vette della conoscenza e
dell’ingegneria, scomparve in una sola notte. Le vestigia di questa
civiltà, rimaste sotto la superficie del pianeta e perfettamente
funzionanti grazie allo sfruttamento di un’energia inesauribile, sono
state per anni studiate da Morbius senza che questi sia riuscito a
venire a capo dell’enigma centrale: a cosa servisse la Grande Macchina
che i Krell costruirono prima della loro scomparsa. Ma quella Macchina,
scoprirà Adams, è indissolubilmente legata a Morbius e alla creatura
misteriosa che ha ucciso l’equipaggio del Bellerofonte
e rischia di distruggere anche quello dell’incrociatore terrestre. Se la trama del film parte dal
tentativo di una rilettura in chiave fantascientifica de La Tempesta di Shakespeare
- il mago Prospero come Morbius, la figlia Miranda come Altaira, il
robot Robby come una sintesi dei due servitori Ariel e Calibano,
l’isola sperduta come Altair IV -, è interessante cercare altri punti
di contatto del film non soltanto (anche se soprattutto) con il genere
fantascientifico, ma anche con altre opere della letteratura. Dal punto
di vista del genere, il film propone con Robby la prima
“applicazione” delle Tre Leggi della robotica di Isaac Asimov,
evidenziate dal dottor Morbius in una bella scena dimostrativa.
L’incrociatore stellare C-57-D,
dal design “disco volante” incredibilmente demodè, sembra suggerire
l’idea che – se gli UFO
sono effettivamente astronavi aliene – non c’è nulla che impedisca
alle nostre astronavi future di assumere quella conformazione, che
evidentemente avrà una ragione. Siamo lontani dall’aerodinamicità
dell’Enterprise, ma gli
interni appaiono molto simili a quelli di Star Trek (che verrà più di dieci anni dopo), così come molte
altre trovate: i comunicatori, i loculi per la decelerazione del tutto
simili a quelli del teletrasporto, i disintegratori, i “Pianeti
Uniti” che il comandante Adams cita ad un tratto, e anche la trama che
ispirerà Gene Roddenberry nell’elaborazione del primo pilot della
serie, Lo Zoo di Talos. Al lettore di fantascienza apparirà poi evidente
la somiglianza del soggetto di fondo del film col grande romanzo di
Stanislaw Lem Solaris (1961):
anche lì i protagonisti, prigionieri di un mondo alieno, finiscono per
scontrarsi con le proiezioni del proprio inconscio, dell’ancestrale Id, dove albergano i desideri e i sentimenti più primitivi
dell’essere umano. Il Pianeta
Proibito è al contempo un’apologia e un monito delle capacità umane. Diversamente dalla Nuova Atlantide di Bacone - l’utopia del filosofo inglese dove la
scienza ha realizzato progressi incredibili grazie agli sforzi
dell’uomo (si noti, nella trama c’è anche lì un’isola sperduta
dove approdano dei marinai, accolti da un ambasciatore che chiede loro
di non sbarcare ma di andarsene, proprio come fa Morbius) - qui il
tentativo estremo dei Krell di realizzare una civiltà tecnocratica
perfetta si rivela un peccato di hybris, punito, come nell’altra Atlantide della leggenda
platoniana, con l’improvvisa e brutale cancellazione della loro società
nell’arco di una sola notte. Il dottor Morbius, che come Frankenstein
aveva sperato di poter andare oltre i propri limiti umani, scatena un
mostro che non riesce più a fermare e che infine causa la sua stessa
morte. Ciò che il film suggerisce è che anche i Krell, nel loro
continuo desiderio di raggiungere le più alte vette della civiltà,
finirono per cedere a quel sostrato alla base dell’esistenza
intelligente che è l’inconscio, la bestia indomita che nonostante la
società tenti di soffocare resta sempre in guardia pronta a ricordarci
qual è la nostra vera natura. Altaira, la figlia di Morbius, cede
infine all’amore che fino ad allora non ha mai conosciuto,
dimostrandosi capace di “tornare alle origini” molto più di quanto
Morbius tenti di fare ricreando nella sua residenza un nuovo Paradiso
terrestre dove bestie feroci convivono pacificamente con uomini e
animali. Ma l’uomo, dichiara fieramente il comandante Adams al termine
del film, un giorno arriverà alle stesse vette raggiunte dai Krell, e
allora trarrà giovamento dal sacrificio di Morbius e ricorderà che «dopotutto,
di Dio ce n’è uno solo». |