1997:
Fuga da New York (Escape
from New York, 1981) di John Carpenter Con Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Harry
Dean Stanton, Adrienne Barbeau, Donald Pleasence, Isaac Hayes.
Dopo che il tasso di criminalità
in America ha toccato le stelle, il governo decide per una soluzione
definitiva: creare un carcere di massima sicurezza a New York, murando
l’isola di Manhattan e lasciandoci marcire i migliaia di detenuti. Nel
1997 l’America è in guerra con l’Unione Sovietica e il Presidente
degli Stati Uniti (Pleasence) è a bordo dell’Air Force One per
recarsi a una storica conferenza di pace, quando alcuni terroristi
dirottano l’aereo e lo fanno schiantare all’interno della città-prigione.
Il Presidente è salvo ma nelle mani dei criminali di New York e del
temibile Duca (Hayes) che li “governa”. Il direttore del carcere Bob
Hauk (Van Cleef) decide di dare l’incarico di salvare il presidente a
un criminale appena arrivato, l’ex eroe di guerra Jena Plissken (Russell),
l’unico capace di compiere quell’impresa disperata. Ma Plissken non
ha che 24 ore di tempo, e scoprirà presto che New York è un inferno
dal quale non è facile uscire. William Gibson, l’autore di Neuromante
e interprete di punta della corrente cyberpunk nella letteratura
fantascientifica, dichiarò di essersi ispirato a 1997:
Fuga da New York per il suo celebre capolavoro. La ragione non è
difficile da scoprire. La New York di questo improbabile 1997 è
l’ambientazione ideale per la fantascienza più hard: una metropoli
allo sbando, dove i grattacieli formano un’impenetrabile giungla
d’acciaio da cui uscire vivi è impossibile, e dove domina solo la
legge della sopravvivenza. In questo scenario apocalittico Carpenter
mette su una pellicola di pura azione con personaggi rudi ma efficaci,
come il losco Tassista (Borgnine) che sa tutto di tutti, o il
pusillanime Harold ‘Mente’ (Stanton) che mette la sua intelligenza
al servizio dello zotico Duca, un nero che si muove per la città a
bordo di un auto con lampadari di cristallo sul cofano. E’ una New
York estremizzata fino al parossismo, che prende spunto dalla realtà di
una città che all’epoca della realizzazione del film era l’incubo
di ogni rispettabile newyorkese, e che oggi ci sembra abbia perso parte
della sua stessa anima senza quelle torri del World Trade Center su cui
atterra il biplano di Jena Plissken. Ma il crogiolo di etnie c’è
ancora tutto, e Carpenter ci tiene a mostrarlo nella scena in cui Jena
si scontra con una sorta di Golia del wrestling, e che rappresenta la
versione moderna del duello dei due pistoleri fuori le porte del saloon.
Poco spazio per dialoghi e belle parole, poco spazio per approfondimenti
sul passato dei protagonisti, sulla situazione internazionale, sul
contenuto di quella cassetta da cui sembra dipendere il destino del
mondo. In 90 minuti di film Carpenter non vuole dirci che
l’essenziale, mettendoci negli stessi panni di Jena Plissken, che
niente sa se non che ha 24 ore per trovare il Presidente e portarlo
fuori di lì, prima che le tossine impiantate nel suo corpo lo uccidano.
Non esistono buoni o cattivi in questo film dove l’eroe è un avanzo
di galera, e il Presidente americano è un grasso frignone che non
disdegna di prendersi la sua vendetta sparando al riparo dagli spalti di
New York al Duca che lo teneva prigioniero. Il gesto finale di Jena, che
disgustato dal cinismo di un governo liberticida dà al Presidente una
cassetta di musica invece del nastro pieno di segreti sulla fusione
nucleare, rappresenta la disillusione dello stesso Carpenter verso una
società che ha sempre dipinto a tinte fosche, proprio come la New York
di questo film: un carcere all’ombre della Statua della Libertà. John Howard Carpenter (1948) è
regista e sceneggiatore di film che oscillano tra l’azione e il
fantastico. Inizia la sua carriera con Dark
Star (1974), proseguendo con Distretto
13 - Le brigate della morte (1976), i cult-movie pseudo horror Halloween (1978) e Fog
(1980), i fantascientifici 1997:
Fuga da New York e La Cosa (1982).
Da allora la sua produzione è stata costellata di clamorosi flop di
pubblico e critica, benché i suoi film abbiano ancora l’approvazione
entusiastica di molti cinofili. |