ASCOLTI / ORIGINAL ALBUM SERIES
di Kevin Ayers / PLG UK
Sparando alla luna sopra Deià
di Claudio Bonomi
Poco più di un anno fa, il 18 febbraio 2013, Kevin Ayers, classe 1944, moriva a Montolieu, piccolo comune di 800 anime nel sud ovest della Francia. Songwriter di razza ha saputo in tutta la sua lunga carriera artistica mantenere un certo distacco, anche fisico, dalle vicende quotidiane e dallo show business a difesa di una libertà di pensiero e di una indipendenza perseguita sempre con grande determinazione. Una costante sin dal suo esordio che risale addirittura al 1964 quando entra come cantante a far parte della prima formazione dei Wilde Flowers insieme a Richard Sinclair, Robert Wyatt, Brian e Hugh Hopper (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 47).
Scrittore mancato, edonista nomade e musicista riluttante, già l'anno dopo il suo ingresso nei Wilde Flowers e dopo la prima seduta di registrazione della band negli Steenhuis Recording Studios di Broadstairs nel Kent, va a godersi il sole delle Baleari a Deià (sull’isola di Maiorca). Un posto che conosceva bene, grazie all’amicizia con Robert Wyatt, e che costituisce lo starting point per quasi tutti i suoi più importanti progetti musicali. È lì che entra in contatto con la famiglia del poeta Robert Graves, approfondisce l’amicizia con Daevid Allen, matura l’idea di dar vita ai Soft Machine, scrive le canzoni del suo primo album solista Joy of a Toy e, negli anni Ottanta, condivide con il suo grande amico Ollie Halsall, anche lui cittadino del buen retiro maiorchino, concerti, avventure e grandi bevute. Deià è un buon punto di osservazione per fare la conoscenza di Ayers, un punto geografico periferico, ma pieno di luce e di tensione creativa, che è raccontato splendidamente dal figlio di Robert Graves, Tomàs, nel libro Tuning Up at Dawn e che fa ben capire quale fosse il milieu preferito da Ayers e la sua filosofia di vita. Accompagnamento perfetto alla lettura del libro di Graves sono i dischi del troubadour di Deià che sono stati proposti proprio recentemente in confezione economica per la collana Original Album Series. Si tratta dei primi cinque album della discografia ayersiana, i migliori. Il primo si è detto è Joy of a Toy, che risale al novembre 1969.
Un debutto alla Tubular Bells quello di Ayers con l’ex Soft Machine che compone il tutto e si fa carico di suonare quasi tutti gli strumenti. Le eccezioni sono degne di nota, come Paul Buckmaster al violoncello, Jeff Clyne al contrabbasso e David Bedford alle tastiere e agli arrangiamenti. Bedford, pupillo di Lennox Berkeley e di Luigi Nono, arrangia quasi tutti i brani scritti da Ayers e li ammanta di una magia sonica obliqua, di uno sperimentalismo schizoide e di una eccentricità tipicamente inglese. L’album è una delle prove migliori di Ayers, alcuni dicono sia stato il suo exploit dal punto di vista compositivo, e, in effetti, tutto “suona” incredibilmente fresco ed eccitante anche oggi a distanza di quasi mezzo secolo. Dalla marcetta beatlesiana di Joy of a Toy Continued, dove Ayers fa il verso (ma solo nel titolo) a una composizione apparsa nel primo album omonimo dei Soft Machine, alla splendida Town Feeling con quell’oboe in primo piano che inaugura il canone della ballad progressive, alla cavalcata psichedelica di Stop This Train (Again Doing It). I vecchi amici (!?) del Soft Machine appaiono nella jazzata Song For Insane Times, unico brano davvero canterburiano, ammesso che abbia senso una definizione del genere. Qui il sound è quello da band impegnata e Ayers sa stare al gioco splendidamente. Ma è solo un momento.
Un anno dopo il debutto da solista, arriva con Shooting At The Moon (dell’ottobre 1970) l’esordio in gruppo con i Whole World che comprendono il già citato Bedford alle tastiere e agli arrangiamenti, il sassofonista-busker Lol Coxhill (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 32), reclutato da Ayers dopo averlo sentito suonare nei sotterranei della metropolitana di London Bridge, l’allora diciassettenne Mike Oldfield e il batterista Mick Fincher. Una compagine davvero assortita che dopo una serie di concerti di rodaggio, alla Tavern de L’Olympia a Parigi e a Londra alla Queen Elizabeth Hall, entrano in sala registrazione con i pezzi già ben provati e le idee ben chiare. Qui la vena cantautoriale che animava Joy of A Toy non si è affatto persa, ma le parti strumentali hanno decisamente la meglio. Tutto suona più compatto e coerente dal punto di vista stilistico rispetto all’album precedente anche se l’anarchia e il caos sembrano ogni volta prendere il sopravvento come nelle incursioni colte di Pisser Dans Un Violon o di Underwater. E, dal vivo, i Whole World daranno vita a veri e propri pandemoni, a volta senza capo né coda. Tra i pezzi forti, la mitica ballad May I? (brano già provato, ma solo in forma strumentale, ai tempi dei Soft Machine, qui lo si ascolta con un nostro commento), il duetto folk con Bridget St. John, The Oyster and The Flying Fish, e la canzone Red Green and You Blue che sembra uscita da un musical immaginario con solista l’ottimo Coxhill. L’esperienza dei Whole World dura poco. Già dopo le registrazioni di Shooting At The Moon, l’equilibrio del gruppo comincia scricchiolare.
E l’anno seguente c’è l’implosione con Oldfield che, incoraggiato da Ayers e Bedford, se ne va a progettare Tubular Bells, Coxhill che si ricongiunge momentaneamente ai Delivery e intraprende, grazie a John Peel, un’avventurosa carriera solista e Bedford che sospende le attività per un brutto incidente stradale. Il seguito della storia si chiama Whatevershebringswesing (gennaio 1972).
Registrato come i due lavori precedenti negli studi londinesi di Abbey Road, è un album molto ambizioso che, a dire della critica d’allora, rendeva finalmente giustizia al genio di Ayers e alle sue aspirazioni artistiche che erano rimaste represse sin dai tempi in cui suonava nei Soft Machine. Può darsi, è di sicuro l’album più eterogeneo della serie che mette in vetrina un carnevale di generi, i più disparati: dalla suite d’avanguardia stile l’Atom Heart Mother dei Pink Floyd, There’s Loving/Among Us/There’s Loving, orchestrata dal recuperato Bedford, alla ballad psichedelica Margaret fino al brano da consumato bluesman Champagne Cowboy Blues.
Della compagnia oltre a Bedford, fanno parte, tra gli altri, l’ex Whole World Mike Oldfield alla chitarra e al basso, l’amico Robert Wyatt e Didier Malherbe, in temporanea fuga dai Gong, Il brano che dà il titolo all’album è di un altro pianeta: una suntuosa country song di otto minuti e passa impreziosita dalla voce baritonale di Ayers doppiato nel ritornello dallo stesso Wyatt e da un lungo assolo di Oldfield che qui dà l’ultima dimostrazione di bravura come musicista accompagnatore. Tubular Bells è dietro l’angolo, uscirà nel maggio 1973, e Oldfield non sarà più quello di prima. Qualcosa cambia anche per Ayers con Bananamour (del maggio 1973).
D’altronde, la svolta “commerciale” era nell’aria e presente con quegli, oggi anacronistici, cori femminili anche in Whatevershebringswesing. Si fa ancora più evidente in Bananamour con pezzi dall’atmosfera glamour e un po’ da radio generalista come Don’t Let It Get You Down o Shouting in A Bucket Blues che tuttavia ingloba un ottimo assolo di Steve Hillage. La parte migliore di Bananamour emerge improvvisamente nella “seconda facciata” con l’ipnotica e lucente Decadence, che non è altro che un ritratto poetico di Nico (con la quale firmerà l’anno seguente il live June 1st 1974 insieme a John Cale e Brian Eno). Decadence fa anche parte della colonna sonora del recente film Apre Mai (in Italia è stato distribuito con il titolo Qualcosa nell’aria) del regista francese Olivier Assayas: una bella ricostruzione della migliore gioventù post 1968, segnandone il finale proustiano (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 46).
Ma il capolavoro di Bananamour è la sognante e psichedelica Hymn, impregnata della filosofia dell’amato George Ivanovich Gurdjeff, che emoziona fin dal primo verso “Why do we waste our lives/Why do we stay asleep/So many confused words/So many total disasters there are”. Un inno a cambiare se stessi dove le voci (ai cori c’è il buon Robert Wyatt) sembrano “nuotare” su un tappeto armonico di chitarre trattate con note di piano che sembrano perdersi nell’infinito. Una vena sottilmente malinconica pervade tutto Bananamour, come ad annunciare la fine di un’epoca o di un ciclo. Fine che prese forma con The Confessions of Dr Dream and Other Stories (maggio 1974).
Quinto album della discografia ayersiana e primo per la Island (gli altri quattro erano stati realizzati sotto l’ombrello dell’illuminata Harvest, etichetta creata dalla Emi). Doveva essere la prova regina e consacrare Ayers nell’empireo del rock, quello dei grandi nomi con la “r” maiuscola. E invece è la più debole della cinquina. Nonostante un cast strepitoso (Mike Oldfield, Nico, Lol Coxhill, Michael Giles, Mike Ratledge, Ray Cooper, Ollie Halsall, John Perry e altri) e gli arrangiamenti laccati di Rupert Hine, The Confessions of Dr Dream è una buona raccolta di canzoni e non molto di più. Pochi gli indizi a dirci che si tratta dell’ex Soft Machine se non una rediviva Why Are We Sleeping? (che qui prende il nome di It Begins With A Blessing…), in formato supermarket, o l’allucinato intro di Irreversibile Neural Damage con gli altrettanto allucinati vocalismi di Nico. Quest’ultima traccia è ricavata dalla suite di circa venti minuti che dà il titolo all’album. Ayers si salva in extremis con Two Goes Into Four, ballata gentile d’altri tempi non viziata da schitarrate ampollose e riff ridondanti e che riporta il crooner di Deià sulla sua isola spagnola, lontano dallo stress e coccolato da una dolce brezza mediterranea. Il suo amore di sempre.
LETTURE
— Thompson Dave, June 1, 1974. Kevin Ayers, John Cale, Nico, Eno, Mike Oldfield and Robert Wyatt: The Greatest Supergroup of the Seventies,
— Amazon.co.uk, Marston Gate (anno non specificato).
— King Michael, Falsi movimenti, una storia di Robert Wyatt, Arcana Editrice, Milano 1994.
— Bonomi Claudio. Il ritmo surreale, Alias n. 40, supplemento domenicale a il Manifesto del 14 ottobre 2006.
— Coralli Michele, Swingin’ Canterbury, Tuttle Edizioni, Camucia (Ar) 2007.
— Graves Tomàs, Tuning Up at Dawn, Harper Perennial, London 2005.
— Thomas Pat, Kevin Ayers, Perfect Sound Forever, aprile 2008.