qfacebook
filo_bianco
image

 

LETTURE / LA PROMESSA


di Silvina Ocampo / La Nuova Frontiera, Roma, 2013 / pp. X-144, € 15,00


 

Una memoria fatta di persone

di Livio Santoro

 

Si parla spesso dell’America Latina come di un luogo in cui i confini tra i generi letterari e le strategie narrative sfumano fino a farsi impalpabili, talvolta ingannevoli, magari come confusioni intenzionali che si divertono a giocare col lettore: e questo è un fatto. Tuttavia l’America Latina è anche un territorio piuttosto grande e assai differenziato al suo interno: e questo è un altro fatto. Perciò si restringa il campo, e si guardi soltanto a quanto accade ed è accaduto in Argentina. Di certo un Paese decisamene fortunato per il parere di chiunque viva nella letteratura e ne respiri l’aria, un Paese che può vantarsi di aver dato i natali a gente come Jorge Luis Borges e Julio Cortázar, come Adolfo Bioy Casares e Roberto Arlt, per citare nomi che già meritano gli spazi infiniti e superiori dell’immortalità; oppure a gente come Rodolfo Walsh, Osvaldo Soriano e Tomás Eloy Martínez, per non arrivare fin lassù, su quell’empireo dove albergano i primi quattro; oppure ancora, per restare a giorni più nostri, a gente come Ricardo Piglia, Alan Pauls e Norberto Luis Romero, per dirne soltanto alcuni altri. Elemento caratterizzante di questa letteratura, o almeno uno degli elementi che la rendono riconoscibile e del tutto peculiare, è appunto l’assenza di confini messi a separare, per esempio, il romanzo dal racconto, la narrativa dalla saggistica, la diaristica dal reportage giornalistico e poi il realismo dal fantastico, il poliziesco dalla biografia, il romanzo storico dalla finzione e così a seguire. Detto in estrema brevità, e con una selvaggia approssimazione che non troppo si addice ad argomenti nobili come quello che stiamo affrontando, in questa produzione di storie, di critiche e di parole vi sono molti libri, molti universi meglio sarebbe definirli, in cui più vettori della produzione letteraria vengono mescolati e confusi, in un gioco di commistioni che al lettore ingordo e cupido offre la più preziosa delle possibilità: trovarsi a percorrere una geografia fatta di più piani distinti eppure interconnessi, paralleli eppure che continuamente s’intrecciano. Sicché per dare qualche esempio di quanto si va dicendo, e recuperando alcuni dei nomi di sopra, possiamo pensare ai saggi borgesiani di Altre Inquisizioni (Borges, 2009) e alla biografia sui generis di Evaristo Carriego (Borges, 1999), al reportage Operazione Massacro di Walsh (2011), al romanzo-saggio Santa Evita di Martínez (2013) al Tierra de bárbaros di Romero (2011), romanzo storico di una storia non troppo conforme a quella che è stata, a Triste, solitario y final (Soriano, 1999), che fa convivere vari personaggi del reale in un’irrefrenabile e continua storia di finzione, oppure, infine, a Respirazione artificiale di Riccardo Piglia (2012), esempio spazioso di un letteratura ellittica, romanzo che se ne frega della costruzione romanzesca (che dunque forse non è romanzo) e che s’accompagna alla critica; un libro che in tal modo trascende gli spazi imposti da un’asfittica suddivisione dei compartimenti letterari; un testo che, in sostanza, ci precipita nel mondo grande della letteratura, al cui interno ve ne sono molti altri, di per sé indipendenti, se si vuole, o anche no, tra i quali vi è pure la storia. Un altro libro argentino che sembra poter appartenere a questa schiera di oggetti letterari che confondono le cose, che mettono scompiglio nei cataloghi delle biblioteche, è La promessa di Silvina Ocampo (sorella minore di Victoria – la fondatrice della strepitosa rivista Sur –, sodale di Borges e di Bioy Casares, e sposa di quest’ultimo), che La Nuova Frontiera fa ben tradurre oggi a Francesca Lazzarato per il pubblico italiano.

La promessa, di per sé, è un romanzo parzialmente incompiuto, postumo. Un romanzo però a cui manca l’impalcatura, il collante della trama, per dirla frettolosamente. La storia è semplice, almeno quella grande che dà il titolo al volume. Una donna precipita accidentalmente nei flutti dell’oceano da una nave di ritorno a Buenos Aires da Città del Capo, e così si trova sola, trasportata da un naufragio piuttosto dolce, in fin dei conti, a ricordare il proprio passato, la propria vita di prima che, inevitabilmente, si va spegnendo cullata da docili marosi. In punto di morte, nella felicità fatta di abbandono che spetta ai morenti, prende a ricordare per restare ancora in vita, trascinata dalle correnti a pelo d’acqua. Sono così proprio tutti i ricordi a fare la vera narrazione, memorie episodiche, confuse e senza una conseguenza apparente, di alcune delle persone che hanno popolato, nel tempo, la biografia della donna abbandonata alla deriva.

Si tratta, in sostanza, di un romanzo fatto di veri e propri microracconti (anche piuttosto brevi) e racconti (sempre piuttosto brevi) biografici che si susseguono, che prendono volta a volta corpo nella rimembranza della protagonista del romanzo; e sì che l’Argentina, nel vorticoso pullulare di fatti letterari che l’hanno nel tempo caratterizzata, ha visto pure lo sviluppo ben solido della micronarrazione, spesso di tono fantastico, perturbante, talvolta grottesco, ironico, sempre spaesante: un genere che da quelle parti è cosa quotidiana, stile endemico e caratteristico. Per averne un quadro, qui da noi, si legga per esempio la raccolta antologica intitolata Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee (Boccuti, 2012).

La promessa, pur non conformandosi in maniera assoluta a tale schema, frequenta marginalmente i territori del fantastico, per esempio per la dimensione estesa di un tempo che sembra non voler finire nel susseguirsi delle memorie, ma non quelli del perturbante, seppure conserva talvolta una sottile ironia piuttosto delicata e per nulla maschile. Il libro è dunque costituito di tanti racconti e micro racconti tra loro anche indipendenti, ognuno dei quali, come si diceva, espone per brevi, brevissime tracce la storia minima, una storia fatta di attimi o anche di immagini fossilizzate (strategia narrativa borgesiana, questa), delle persone conosciute dalla protagonista durante il suo passaggio sul mondo. C’è per esempio la ballerina Zulma, dalla pelle dorata e pallida e dai capelli e gli occhi biondi. Zulma viene ammirata da tutti mentre danza mezza nuda in casa, con la madrina obesa e avvinazzata che pure la guarda seduta in un angolo, finché, ammirata da tutti tranne da colui che vorrebbe l’ammirasse, vola via “a forza di fare esercizi”, dimostrando in tal modo una certa parentela con la famosa Remedios la bella (García Márquez, 1988), personaggio già piuttosto conosciuto del contesto letterario ispanoamericano. E c’è Celia o Clelia, una parrucchiera dalle fattezze abbastanza repellenti: “Si chiamava Celia o Clelia. Era parrucchiera nell’istituto di bellezza di Náyades. In un caos di facce, la sua spicca per bruttezza. A che cosa le serviva essere giovane? Sotto i capelli untuosi, gli occhi si affacciavano con due pupille simili a spilli, la mandibola prominente finiva in un doppio mento, la bocca era un taglio contorto, violacea o livida. Nessun indizio di gioventù poteva renderla attraente. Mi pettinava senza parlarmi, con gli occhi fissi sulla mia testa. Io le dicevo: «Celia o Clelia, che le succede?» Lei non rispondeva. Era a me che stava succedendo qualcosa”.

C’è Susanna, una giovane timorosa, dagli “occhi scuri e lucenti, […] la bocca triste e sorridente, quindi [dalle] mani che spiegano quello che le sue parole raccontano”; c’è la sua minima storia d’amore, appena accennata, con un peruviano che cerca di curarle la paura a furia di pesche sciroppate.

Tutti personaggi episodici dunque, quasi impalpabili. Gente messa a popolare un mondo molto docile, sociale in fin dei conti, nel quale i ricordi sono fatti di profili più o meno sfumati, di compagni di viaggio, di immagini che si susseguono nell’ultima deriva di una donna che sta per morire. Una donna che forse sente definitivamente di appartenere all’acqua che la culla, appartenendo dapprincipio più alla morte che alla vita. “Non ho una vita mia” dice la donna “ho dei sentimenti. Le mie esperienza non hanno auto importanza nel corso della vita e neppure sull’orlo della morte, invece la vita degli altri diventa mia”.

 


 

LETTURE

  Boccuti Anna (a cura di), Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee, Arcoiris, Salerno, 2012.
Borges Jorge Luis, Altre Inquisizioni, Feltrinelli, Milano, 2009.
Borges Jorge Luis, Evaristo Carriego, Einaudi, Milano, 1999.
García Márquez Gabriel, Cent’anni di solitudine, Mondadori, Milano, 1988.
Martínez Tomás Eloy, Santa Evita, Sur, Roma, 2013.
Piglia Ricardo, Respirazione artificiale, Sur, Roma, 2012.
Romero Norberto Luis, Tierra de bárbaros, Paréntesis, Sevilla, 2011.
Soriano Osvaldo, Triste, solitario y final, Einaudi, Milano, 1999.