LETTURE / GUIDA ALLA LETTERATURA DI FANTASCIENZA
a cura di Carlo Bordoni / Odoya, Bologna, 2013 / pp. 655 / € 26
Lettere della (post)modernità
di Roberto Paura
Da quand’è che la fantascienza è diventata letteratura? Una domanda non banale se ci si imbatte in libreria in un’opera dal titolo “Guida alla letteratura di fantascienza”, magari addirittura nella sezione dedicata alla critica letteraria. È vero che Tzvetan Todorov scrisse già nel 1970 il suo classico La letteratura fantastica (2000), ma lì non c’era spazio per la “science-fiction”, ma solo per tutta quella letteratura che è stata madre nobile della fantasy contemporanea. Quando Carlo Pagetti, quello stesso anno, pubblicò Il senso del futuro (2012), sottotitolò “la fantascienza nella letteratura americana” (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 43). La fantascienza, cioè, era solo un sottogenere, mentre l’aggettivo che accompagna il termine letteratura designa sempre l’appartenenza nazionale (letteratura italiana, francese, russa, americana), a rappresentare la cultura di un intero popolo. Più recentemente Fabio Giovannini pubblica una Storia del romanzo di fantascienza con l’editore Castelvecchi (1998), che è attenta a specificare nel sottotitolo di trattare dell’altra letteratura. E anche andando a leggere la voce “Letteratura” compilata su Wikipedia, la fantascienza è designata come un genere, quindi è narrativa, non letteratura. La scelta di Carlo Bordoni, curatore di questa nuova Guida alla letteratura di fantascienza, è quindi polemica fin nel titolo, perché rivendica un’etichetta che la critica italiana ha continuamente messo in dubbio. Ma, al di là di ciò, si può davvero parlare di letteratura di fantascienza? A rigor di logica, come precisava Francesco De Sanctis, la letteratura rappresenta “la sintesi organica dell’anima e del pensiero di un popolo”; come tale, dunque, è sempre nazionale, etnica, culturale. Può esserci fantascienza nella letteratura americana, come quella studiata da Pagetti, ma può esistere una letteratura di fantascienza universale? Ebbene sì, può esistere. Perché anch’essa rappresenta la sintesi organica dell’anima e del pensiero di un popolo, che è quello dell’Occidente. In questo caso i suoi confini non sono territoriali, etnici o culturali, ma temporali: la fantascienza è la letteratura della modernità, se non addirittura della post-modernità. Una guida alla sua produzione – enorme, internazionale, inevitabilmente discontinua nella qualità – è in pratica una guida alla storia dell’immaginario occidentale moderno, che cronologicamente parte dalla fine del XIX secolo. Sono quelli gli anni in cui si comincia a ragionare sulle straordinarie possibilità offerte dallo sviluppo scientifico. Nella voce del volume dedicata alle “Invenzioni”, Claudio Asciuti sostiene che “la fantascienza nacque proprio con l’invenzione”, aggiungendo: “I tre padri fondatori del genere (Edgar Allan Poe, Jules Verne, H.G. Wells) operarono in modi diversi, ma tutti attraverso inventori solitari che costruivano macchine; e fino a quando la figura dello scienziato artigiano fu in grado di reggere la concorrenza della grande industria, la tradizione proseguì”. Non sfugge al critico attento il fatto che la prima rivista di fantascienza prodotta da Hugo Gernsback, il padre del genere, si chiamasse Modern Electrics e si occupasse, come il nome suggeriva, di elettricità; tanto l’elettricità rappresentava, in quei decenni, l’incarnazione dei tempi moderni (cfr. in questo numero). Nel 1920 Gernsback avrebbe fondato la rivista Science and Invention prima di giungere, nel 1926 – considerato l’anno di nascita della fantascienza – a fondare Amazing Stories. Il ruolo delle invenzioni è così cruciale nella prima fantascienza che il termine stesso nasce dal binomio tra la scienza, science, e la narrativa, la fiction. Lo specificano bene Riccardo Gramantieri e Carlo Bordoni nella voce dedicata a “Scienza e pseudoscienza” quando ricordano l’esperienza di John W. Campbell jr., direttore di Astounding Stories, la rivista su cui esordirono tutti i grandi scrittori dell’età d’oro. Millantatore di una laurea al MIT, che aveva invece lasciato a metà degli studi per ripiegare su un ateneo più facile, Campbell si vantava di pubblicare sulla sua rivista storie plausibilissime dal punto di vista dell’estrapolazione scientifica e tecnologica, quella che diventerà nota successivamente come hard science-fiction. Ma in realtà i confini tra scienza e pseudoscienza in quegli anni sono talmente labili, che dalle colonne di Astounding Stories vengono lanciate alcune delle più fortunate dottrine pseudoscientifiche, tra cui la più celebre resta la Dianetica di L. Ron Hubbard, divenuta poi universalmente nota come Scientology. Una “filosofia” che Campbell abbraccia entusiasta insieme a tanti scrittori di successo, da Alfred Eton Van Vogt a James Blish fino a Theodor Sturgeon (provocando invece l’allontanamento dalla rivista di Isaac Asimov, la cui cultura scientifica e l’ideologia positivista non potevano in alcun modo sposarsi con le bislacche teorie di Hubbard, peraltro scrittore di fantascienza molto modesto).
La letteratura di fantascienza è innanzitutto, quindi, letteratura dell’immaginario scientifico e tecnologico. In questo senso assume un ruolo decisivo negli anni concitati in cui all’invenzione della bomba atomica fa seguito – partendo dagli studi di missilistica necessari per portare le bombe sull’obiettivo – la corsa allo spazio tra le due superpotenze (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 40). Attraverso la lente della fantascienza diventa possibile analizzare incubi, sogni, speranze e paranoie dell’America e in generale dell’Occidente del secondo dopoguerra e poi della Guerra fredda. Mancano, purtroppo, nella Guida, voci dedicate proprio all’immaginario nucleare e a quello spaziale, concetti diluiti nei troppo vasti e discontinui capitoli dedicati da un lato all’apocalisse e alle catastrofi, dall’altro alla space opera. Mentre la voce dedicata a “Politica/Guerra fredda” precisa proprio il ruolo decisivo che la fantascienza assume negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. È in questo momento che essa diventa davvero letteratura della modernità, perché in grado meglio di ogni altro genere letterario di rappresentare fedelmente le angosce dell’America del conflitto bipolare, il modo in cui questo immane conflitto non combattuto – se non nei teatri periferici e dimenticati del globo – irrompe nella quotidianità dell’american way of life, stravolgendo la vita piccolo borghese del cittadino medio. Ma stravolgendola in modo silenzioso, subdolo, inquietante, come l’invasione “rossa” che secondo i deliri del senatore McCarthy e dei suoi sostenitori si sta già svolgendo sul suolo patrio americano. Le paranoie di quegli anni popolano l’inconscio occidentale, non la sua coscienza: e la fantascienza, riuscendo a dar voce a quell’inconscio, è anche la letteratura per eccellenza della Guerra fredda.
Inevitabilmente, dunque, la predominanza hard nella fantascienza comincia a scemare in favore di una maggiore attenzione alla componente politica, sociologica, filosofica. Non a caso molti autori cominciano, a partire dagli anni Settanta, e ancora oggi, a suggerire di ribattezzare la science-fiction come speculative-fiction, narrativa di speculazione, così da conservare anche l’acronimo SF. Addentrandosi tra le voci della Guida, si può in effetti comprendere la validità di quest’idea. Correnti come la New Wave e la fantascienza sociologica hanno poco a che vedere con l’estrapolazione scientifica e tecnologica della prima fantascienza, e autori come James G. Ballard o Samuel R. Delany prendono chiaramente le distanze dai classici per avvicinarsi maggiormente al mainstream. È questo il momento in cui la fantascienza si trasforma, da letteratura della modernità, a letteratura della post-modernità. La trasformazione coincide con una supposta “crisi” della fantascienza che in realtà è semplicemente una mutazione, una contaminazione che la porta a uscire dai propri confini e intrecciarsi con altre suggestioni letterarie. Lo intuisce Giuseppe Panella nella voce dedicata ai “Complotti”, in cui fa giustamente rientrare tra gli scrittori di fantascienza post-moderna nomi come Thomas Pynchon (con V. e L’incanto del lotto 49, senza contare l’ultimissimo Bleeding Edge), Philip Roth (Il complotto contro l’America) e Stephen King con il suo 22/11/63 (cfr. Quaderni d'Altri Tempi n. 36). Non stupisce allora se i romanzi citati nella Guida successivi al 2000 siano pochi. Non perché sia in crisi la letteratura di fantascienza, ma perché essa ha intrapreso percorsi nuovi che molti puristi non riconoscono come appartenenti al “genere”, in un vano tentativo di ridurre tutta la produzione fantascientifica ai soli autori che riconoscono le loro opere come fantascientifiche. Questi ultimi non sono affatto scomparsi, certo, anche se in molti casi hanno reagito a questa crisi presunta con operazioni nostalgiche o radicalmente anti-attuali. Nel primo caso vanno annoverati i tentativi di rinnovare il genere della space-opera, come ha provato a fare con esiti deludenti l’inglese Peter F. Hamilton (la trilogia La Crisi della Realtà e la successiva trilogia del Vuoto); nel secondo caso rientra la moda dell’ucronia e quella dello steampunk, che ambientano le storie in epoche passate rivedute e corrette alla luce di ipotesi di scuola – il classico What if – o in cui fa irruzione la modernità esemplificata da computer e aeronavi inserite generalmente nel contesto dell’epoca vittoriana. È una fuga dalla realtà che volta le spalle all’epoca contemporanea per rifugiarsi in tempi passati; non a caso l’ucronia ha avuto buona fortuna in Italia, i cui scrittori sono tradizionalmente più a loro agio con la storia che con la scienza. L’eredità della letteratura di fantascienza del XX secolo è portata oggi avanti soprattutto da quegli scrittori che hanno ripreso ad analizzare lo straordinario sviluppo del progresso tecnologico e ad applicarlo allo studio della società, da Iain M Banks a Charles Stross, da John C. Wright a Robert Sawyer. La filosofia del post-umanesimo, nata all’interno della fantascienza, sta assumendo vita propria al di fuori dei suoi confini, nel momento in cui – un po’ come il cyberpunk – non si limita a narrare uno scenario di fiction ma suggerisce anche codici e comportamenti da adottare per trasformare quella finzione in realtà.
È chiaro allora che non ha più alcun senso parlare di “fantascienza italiana”, tema al quale la Guida dedica una voce ad hoc che non ha mancato di scatenare dibattito e polemica nell’ambiente degli appassionati e degli esperti nostrani, perché cita solo autori defunti. Non è che la fantascienza italiana non abbia senso perché, come disse Carlo Fruttero, un disco volante non potrebbe mai atterrare a Lucca. Ma perché, se esiste una letteratura di fantascienza che è espressione di un’epoca e non di una nazione o di una cultura specifica, ha ben poco senso offrire un’analisi della sua produzione per temi e poi dedicare un capitolo alla produzione italiana. Verrebbe da chiedersi dove siano allora le voci sulla fantascienza russa, su quella francese, su quella tedesca e via dicendo (e tutte hanno offerto validissimi contributi alla letteratura di science-fiction). Si obietterà che, essendo italiani gli autori dell’opera, un omaggio alla fantascienza nostrana sia d’obbligo. Peccato però che l’occasione si trasformi in una pessima operazione che si limita a rivangare i presunti fasti di un’epoca fatta di fanzine ciclostilate, senza una reale analisi dei temi emersi dalla fantascienza nazionale. Mentre invece, all’interno di altre voci, non mancano puntuali riferimenti a romanzi italiani citati insieme a quelli americani e di altre nazionalità. Non può esistere, insomma, una “via italiana” alla fantascienza, dal momento in cui temi di cui tratta questa letteratura sono universali. Oggi il panorama italiano è perfettamente innestato all’interno delle correnti che costituiscono la fantascienza mondiale: a fianco di autori che si dedicano alle ucronie (Mario Farneti, Giampietro Stocco) troviamo quelli che si dedicano alla space-opera (Paolo Aresi, Francesco Troccoli), allo steampunk (Dario Tonani, Francesco Dimitri) e alle prospettive transumaniste (Francesco Verso, Giovanni De Matteo). Quanta, poi, di questa produzione possa definirsi “letteratura”, e non meramente narrativa, spetterà a una prossima Guida stabilirlo.
LETTURE
— Todorov Tzvetan, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 2000.
— Pagetti Carlo, Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana, Mimesis, Milano, 2012.
— Giovannini Fabio e Minicangeli Carlo, Storia del romanzo di fantascienza.
— Guida per conoscere e amare l’altra letteratura, Castelvecchi, Roma, 1998.