VISIONI / THE PERVERT’S GUIDE TO IDEOLOGY
di Sophie Fiennes / Channel 4, 2013
Essi ridono
di Clara Ciccioni
Dimenticate Marx e Engels,
il Libro di Giobbe
è la prima vera opera
di critica dell’ideologia.
Slavoj Žižek
Se la filosofia, diceva Theodor W. Adorno, è “lo sforzo di dire ciò di cui non si può parlare”, non c'è dubbio che Slavoj Žižek porti avanti egregiamente il compito insistendo a parlare di ideologia. A essere più precisi, l’ideologia è il tema originario del pensiero žižekiano, il prisma teorico attraverso il quale il filosofo, psicanalista e critico culturale sloveno analizza il divenire storico della realtà sociale. Fin dal 1989, anno di uscita di The Sublime Object of Ideology, primo libro di Žižek in inglese e opera che tuttora egli stesso considera tra le sue migliori, i suoi sforzi sono stati diretti a sostenere la tesi che “l’idea di una possibile fine dell’ideologia è un’idea ideologica per eccellenza” (Žižek, 1989) e che la psicoanalisi è lo strumento più adatto a spiegare la persistenza di una categoria del reale sopravvissuta alla fine delle grandi narrazioni (Lyotard, 1979), alla fine della storia (Fukuyama, 1992) e perfino alla fine del mondo, interiorizzata dall’homo postmodernus in una dolorosa “auto-coscienza” culminata in una rivoluzionaria accettazione della catastrofe ottimamente riassunta dalla celebre massima di Mao: “Grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente” (Žižek, 2011).
Non è raro che durante una lecture di Žižek – specialmente se il teatro in cui si svolge è una università degli Stati Uniti – il pubblico si abbandoni a una isterica ilarità che accompagna con risolini o fragorose risate alcuni dei passaggi più significativi del discorso, in particolare quando questo chiama in causa alcuni dei tabù più significativi del succitato homo postmodernus, ovvero quegli -ismi dall’aspetto docile e onesto che hanno sostituito quelli colossali e severi delle grandi ideologie del XX secolo: ecologismo, ambientalismo, salutismo, antirazzismo (o “tolleranza”), ateismo, cinismo, femminismo, politically correctness. E se ascoltare e vedere una lecture di Žižek può essere un’esperienza talvolta anche “divertente” (non certo per il sigmatismo, tra gli argomenti più trattati dai commentatori off-topic di Youtube, ma piuttosto perché il suo modo di comunicare è poco ortodosso, in alcuni casi ironico e in generale letteralmente simpatico, nel senso di incline a condividere il proprio pathos), è anche vero che spesso l’ilarità della platea è provocata da semplici descrizioni analitiche di frammenti di realtà quotidiana, o se vogliamo da più o meno complesse ipotesi psicoanalitiche su atteggiamenti che risultano essere tanto comuni da strutturarla. Quando la lecture è un’esperienza in differita, resa possibile da quel frammento di capitalismo globale chiamato Internet, le risate danno la ridicola e sinistra impressione di voci di adulti che sghignazzano come bambini che abbiano appena ascoltato una barzelletta sporca, come se ignorassero effettivamente il significato di ciò che hanno ascoltato e facessero fatica a immedesimarsi, ma non potessero nascondere quell’imbarazzo spontaneo di chi ha giocato a un gioco proibito di cui non è abituato a parlare. Per fare un esempio, un classico argomento dal potere esilarante risulta essere la descrizione del cliente-tipo di Starbucks o di Whole Food, che si beve un caffè “etico” o si compra una banana “equa e solidale” acquistando, compreso nel prezzo del prodotto, un sedativo ideologico per la sua offuscata coscienza riguardo lo sfruttamento del lavoro, il neocolonialismo, l’imperialismo economico, l’inquinamento del pianeta e perfino l’organismo. Stesso potere esilarante sembra possedere il racconto della “lifetime experience” del filosofo sloveno, il suo incontro con un “cosiddetto nativo americano” in Montana che gli confessò di detestare questa definizione, percependola come una scimmiottatura delle sue credenze religiose, e di preferire senza dubbio quella di “indiano”, che “almeno è un monumento alla stupidità dell’uomo bianco”. In linea di massima, comunque, l’ilarità del pubblico dei presenti si manifesta prima o poi in reazione a certe lucide riflessioni sulle abitudini di consumo, le “scelte etiche” e “consapevoli” che si compiono al supermercato, gli atteggiamenti di “tolleranza” verso “l’altro”, le parole che ci si ritrova a usare nel discorso politicamente corretto. Tutti argomenti che in effetti non possono che svelare un certo lato ridicolo quando li si sottopone a un’analisi teorica, ma che di fatto strutturano la vita quotidiana dell’homo postmodernus, di cui le platee universitarie delle lecture di filosofia probabilmente riuniscono numerosi rappresentanti.
Slavoj Žižek è un personaggio molto contemporaneo, che della contemporaneità riassume l’essenza multimediale e la tensione psicoanalitica del narcisista patologico che convive con il suo male (“Io non sono umano, sono un mostro. Non è che ho una maschera di teorico e dietro la maschera sono una persona più umana, a cui piace la torta al cioccolato, a cui piace questo, piace quello, e dunque è umano. Preferisco percepire me stesso come qualcuno che per non offendere gli altri finge, gioca a fare l’umano”). Quando l’editore americano Verso Books pubblica The Sublime Object of Ideology lui ha appena compiuto quarant’anni e ha raggiunto la sua “maturità filosofica” dopo un intenso ventennio trascorso nella Iugoslavia di Tito e nella Parigi (VIII) di Foucault. La prima passione a muoverlo fin da giovanissimo è quella per il cinema, a cui presto si affiancano la letteratura poliziesca e la filosofia, e in particolare Karl Marx, Georg W.F. Hegel e Friedrich Schelling. Nell’estate precedente al suo ingresso all’università scopre lo strutturalismo francese e a diciotto anni pubblica la prima traduzione in sloveno di Jacques Derrida. Ironia della sorte, quello che oggi è spesso definito come uno dei maggiori filosofi marxisti viventi si vide rifiutare nel 1971 la tesi di dottorato dal suo mentore e revocare un impiego all’università dietro l’accusa di “non-marxismo”. Negli anni Settanta la laurea in filosofia a Lubiana, la scoperta di Jacques Lacan e della psicanalisi, l’inizio di una intensa attività teorica che si traduce in libri e collaborazioni a riviste. Negli anni del punk, che sostiene e apprezza su un piano teorico non riuscendo a goderne tramite il senso dell’udito, lui ascolta musica classica ed è fanatico di Richard Wagner. Non beve e non fuma, né sigarette né marijuana, perché “il nemico non dorme mai e perciò non ci si può permettere di perdere il controllo”. Nella prima metà degli anni Ottanta approda a Parigi, dove studia con Jacques-Alain Miller, genero ed erede intellettuale di Lacan, e consegue il dottorato. Nel frattempo dalle pagine di Mladina, storica rivista slovena di attualità e politica, è autore di pesanti critiche al regime di Tito, abbandona il partito comunista per protesta contro il “processo di Lubiana” (con cui la corte militare iugoslava condannò nel 1988 quattro giornalisti sloveni travestendo il reato di opinione da tradimento militare) e partecipa attivamente ai movimenti politici e sociali che in quegli anni cominciano a mobilitarsi per la democratizzazione della Slovenia e il rispetto dei diritti umani.
The Sublime Object of Ideology (la cui prima edizione italiana è in uscita per Ponte alle Grazie) arriva nelle librerie d’Occidente in un’epoca in cui l’Ideologia con la I maiuscola sembra ormai sul viale del tramonto, condannata a morte dalla critica postmodernista e se vogliamo simbolicamente abbattuta dalle picconate che in quel novembre demolirono il “muro della vergogna”. Quella di Žižek risuonava allora – e per certi versi risuona ancora oggi – come una voce decisamente fuori dal coro funebre, che rinnegava la visione marxista dell’ideologia come falsa coscienza e si serviva di Sigmund Freud e Lacan per collocarla nel territorio delle fantasie inconsce che strutturano la realtà. Un approccio ben riassunto dai termini semplici di un conciso estratto del primo capitolo: “Anche se non prendiamo più le cose sul serio, anche se manteniamo un’ironica distanza, le stiamo ancora facendo” (p. 30). A più di due decenni di distanza, quell’affermazione sembra riportarci alle risate che accompagnano oggi le lecture universitarie del filosofo sloveno, al confronto di un tribunale militare senz’altro più indolori e auspicabili, ma che hanno l’effetto di ricordarci che se non prendiamo più sul serio l’Ideologia, ciò non significa che ce ne siamo liberati.
[L’ideologia totalitaria] Non è più intesa, neppure dai suoi autori, per essere presa sul serio, il suo status è quello di uno strumento di manipolazione, puramente esterno e strumentale; il suo potere è assicurato non dal suo valore di verità ma da una semplice violenza e promessa di guadagno extraideologica.
È qui, a questo punto, che bisogna introdurre la distinzione tra sintomo e fantasia per mostrare come l’idea che viviamo in una società post-ideologica si sta facendo strada un po’ troppo velocemente: il pensiero cinico, con tutto il suo distacco ironico, lascia intatto il livello fondamentale della fantasia ideologica, il livello sul quale l’ideologia struttura la stessa realtà sociale (Žižek, 1989).
L’ideologia è un problema dell’inconscio, è fatta della materia delle fantasie che compongono l’immaginario; ha la funzione di giustificare l’ordine sociale, la realtà che viviamo come soggetti, e la forza materiale che possiede allo stesso tempo le permette di strutturare la realtà. Rispetto a questa interpretazione originaria, quest’ultimo ventennio di capitalismo globale non ha fatto altro che offrire a Žižek una varietà di esempi adatti a illustrarla, e questa sorta di sequel dedicato all’“oggetto sublime” realizzato con Sophie Fiennes a sei anni da The Pervert’s Guide to Cinema (2006) attinge ancora molto alla fonte del cinema – alla “fabbrica dei sogni” hollywoodiana, allo strumento di propaganda nazista e comunista – componente fondamentale dell’immaginario dell’homo postmodernus. Insieme al cinema, stavolta attore non protagonista, ci sono anche la pubblicità e il marketing, il cimitero di aerei del deserto del Mojave, Wagner, i Rammstein, la Coca-Cola e il Kinder Sorpresa, la propaganda politica, il comunismo e il nazismo, i movimenti sociali e la violenza, i riot di Londra dell’agosto del 2011, la guerra in Iraq, la strage di Oslo, la campagna moralista di John Major. In sostanza un compendio dell’opera Žižekiana, già ampiamente diffusa attraverso innumerevoli testi e altrettanto numerosi interventi registrati e condivisi sul web. Parte dei contenuti di questa “guida” sono già emersi nelle righe precedenti, e riportare l’intera trama teorica richiederebbe un numero eccessivo di battute. Vale la pena, però, di accennare all’apertura del film, affidata a un “capolavoro dimenticato della sinistra hollywoodiana”, Essi Vivono di John Carpenter. Dal luogo dell’indimenticabile scena di lotta a due tra i protagonisti, Slavoj Žižek introduce la critica all’ideologia accanto ai cassonetti, dalla pessimistica prospettiva rovesciata degli occhiali di John Nada:
Il nostro senso comune ci dice che l’ideologia è qualcosa che ci offusca, che ci confonde la vista. L’ideologia dovrebbero essere gli occhiali, che distorcono la nostra visione, e la critica all’ideologia dovrebbe essere l’opposto, ovvero togliersi gli occhiali per poter vedere finalmente le cose come veramente sono. È precisamente in questo che il pessimismo del film è ben giustificato, è precisamente questa la fondamentale illusione: l’ideologia non ci viene semplicemente imposta. L’ideologia è il nostro rapporto spontaneo con il mondo sociale, il modo in cui percepiamo ogni significato (Fiennes, 2012).
Il nostro rapporto spontaneo con il mondo contiene una forte dose di violenza, che in questo evergreen di Carpenter esplode ossessivamente quando Nada tenta di fare indossare gli occhiali al “compagno” Frank, in altre parole di farlo uscire dalla giustificazione ideologica della realtà. “Perché quest’uomo rifiuta così violentemente di mettersi gli occhiali? Come se sapesse bene di vivere spontaneamente in una menzogna che gli occhiali gli mostreranno come la verità ma che questa verità può essere dolorosa”. Se c’è qualcosa che fa sentire comodo l’homo postmodernus nell’impenetrabile confusione del capitalismo globale è il trattenersi in quel cinismo ideologico “che riconosce e tiene conto della […] distanza tra la maschera ideologica e la realtà, ma che trova ancora ragione di continuare a indossare la maschera” (Žižek, 1989). La verità fa male, ma la libertà è uno sforzo ancora più doloroso. Se così fosse, l’abbandonarsi all’ilarità potrebbe essere un escamotage istintivo per sfuggire a quel dolore, un isterico rigurgito psicosomatico provocato dal confronto dell’homo postmodernus con il suo alieno interiore. E le risate degli studenti universitari un’interessante cartina al tornasole delle stesse riflessioni che le suscitano. Di certo c’è che i 130 minuti di questo viaggio immaginifico nella teoria žižekiana hanno un innegabile pregio: l’assenza di un pubblico e di quelle risate, spesso colpevoli del fastidioso effetto di far perdere il filo del discorso e trasformare un trattato filosofico nel fantasma di una grottesca sitcom.
LETTURE
— Greenstreet Rosanna, Q&A. Slavoj Žižek, professor and writer,
— in The Guardian, 9 agosto 2008, www.theguardian.com.
— Fukuyama Francis, The End of History?, in The National Interest, n. 16, 1989.
— Fukuyama Francis, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1996.
— Lyotard Jean-François, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 2002.
— Žižek Slavoj, The Sublime Object of Ideology, Verso, London-New York, 1989, trad. it. Ponte alle Grazie, Firenze, 2013.
— Žižek Slavoj, Philosophy, the “Unknown Knowns” and the Public Use of Reason, in Topoi, Vol. 25, n. 1-2, 2006, pp. 137-142.
— Žižek Slavoj, La violenza invisibile, Rizzoli, Milano, 2007.
— Žižek Slavoj, A Pervert’s Guide to Family, Lacan.com, 2008, www.lacan.com/frameziz.htm.
— Žižek Slavoj, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino, 2009.
— Žižek Slavoj, Politica della vergogna, Nottetempo, Roma, 2009.
— Žižek Slavoj, Dalla tragedia alla farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo, Ponte alle Grazie, Firenze, 2010.
— Žižek Slavoj, Il segreto sessuale della Chiesa, Mimesis, Milano, 2010.
— Žižek Slavoj, Vivere alla fine dei tempi, Ponte alle Grazie, Firenze, 2011.
— Žižek Slavoj, Žižek presenta Trockij. Terrorismo e comunismo (a cura di Antonio Caronia), Mimesis, Milano, 2011.
— Žižek Slavoj, Benvenuti in tempi interessanti, Ponte alle Grazie, Firenze, 2012.
— Žižek Slavoj, L’isterico sublime. Psicanalisi e filosofia, Mimesis, Milano, 2012.
— Žižek Slavoj, Variazioni di Wagner, Asterios, Trieste, 2012.
— Žižek Slavoj, Un anno sognato pericolosamente, Ponte alle Grazie, Firenze, 2013.
VISIONI
— Carpenter John, Essi Vivono, Alive Films, 1988.
— Fiennes Sophie, The Pervert’s Guide to Cinema, Mischief Films / Amoeba Film, 2006.
— Taylor Astra, Žižek!, Zeitgeist Films, 2005.