Nel tripudio di festival, saghe, mostre, eventi, incontri e
rassegne che offrono intrattenimento per il corpo e per
l’anima, durante le estati italiane, all’insegna
del rapporto tra cibo e arte, tra alimentazione e cultura, tra estetica
e godimento tout court, un posto in prima fila se lo è
aggiudicato quest’anno No Seconds, Comfort Food e
Fotografia mostra e altro in corso a Venezia, fino al 24
novembre, al Museo della Follia di San Servolo.
Di
che cosa si tratta? Il comunicato stampa recita così:
“Un evento che unisce fotografia e cucina d'alto livello, e
che si apre a tutti gli appassionati dell'una e dell'altra con un contest
che usa il videoclip come mezzo di narrazione introspettiva”.
In
breve, si tratta della prima personale europea del fotografo
neozelandese Henry Hargreaves, un ex modello ora residente negli Stati
Uniti, che si è procurato discreta fama per la sua ricerca
tra fotografia e cibo, inclusi divertenti scatti di iPod e iPad fritti.
Niente di straordinario, se non fosse che il piatto forte della mostra,
spunto anche per una serie di iniziative collaterali, è la
selezione della serie di fotografie intitolata No Seconds,
nelle quali Hargreaves ha riprodotto l'ultima cena
richiesta da detenuti nel braccio della morte delle prigioni
statunitensi. Alla mostra si affianca un cosiddetto movie
contest rivolto ai navigatori intitolato L'Ultimo
Desiderio: “il cui obiettivo sarà quello
di spingere i partecipanti a trovare e presentare, scavando nella
memoria, il proprio piatto ultimo desiderio”
– precisa sempre l’ufficio stampa – , che
prosegue: “una commissione sceglierà fra i
più votati dalla rete i tre food videomaker
che hanno meglio interpretato il tema e che saranno
chiamati a partecipare agli eventi organizzati a
San Servolo dove, assistiti da un team di chef
professionisti e mentre scorrono le immagini dei loro video, potranno
far degustare al pubblico il loro piatto dell’anima
in un mix esperienziale coinvolgente”. L'Ultimo
Desiderio, prende il via con una sezione di video fuori
concorso, dove è possibile cimentarsi nel racconto del
proprio piatto da "ultimo desiderio", in non più di 60
secondi registrati in presa diretta con uno smartphone. A fare da
apripista ci sono i video degli chef Pietro Leemann, Andy Luotto e
Pierchristian Zanotto e del giornalista Matteo Gamba, proposti durante
il vernissage inaugurale. Non sono però gli unici
testimonial de L'Ultimo Desiderio, vi vanno
aggiunti alcuni food blogger. Non poche le istituzioni coinvolte,
Unesco inclusa.
Tutto questo schieramento di forze che rimescola le carte come
se si trattasse di ingredienti di cucina da cui trarre ricette di ogni
genere, è in realtà marketing culturale impastato
con uno sguardo impietoso sulla morte e non occorre essere master chef
per capire che è un pasticciaccio quello che si cucina a
Venezia.
Un conto è l’angoscia o il
vuoto, oppure probabilmente sia l’una sia l’altro,
di cui è preda chi è sul punto di essere
terminato, altro è far evocare dalla propria memoria i desiderata
di persone che sono vive, svolgono attività che
amano e i cui frutti sono amati, oppure sono persone comuni,
frequentatori abituali del web dove spesso semplicemente giocano
(niente di male per carità), in questo caso a immaginare la
loro ultima cena, ma che non sono minimamente sfiorati dalla privazione
della vita. Quanto alle foto di Hargreaves…
In L'ultimo
giorno di un condannato a morte (1829), Victor Hugo
raccontò i terribili momenti che precedono
un’esecuzione capitale dal punto di vista del condannato,
messa a nudo dei tormenti dell’animo umano a un passo
dall’abissale silenzio.
Un pugno nello
stomaco. Stralciamone dei brevi passi.
“Ebbene,
dunque! Abbiamo coraggio con la morte, prendiamo quest'orribile idea a
due mani e guardiamola in faccia. Chiediamole cosa sia, cerchiamo di
sapere cosa vuole da noi, giriamola da tutte le parti, scrutiamo
l'enigma: guardiamo, orsù, nella tomba. Mi sembra che,
quando i miei occhi saranno chiusi, vedrò una grande luce e
degli abissi di luce in cui il mio spirito rotolerà senza
fine. […] Oppure, me disgraziato, non ci sarà che
uno spaventevole gorgo, profondo, le cui pareti saranno tappezzate di
tenebre e dove io cadrò continuamente, circondato da larve
sbucanti dall'ombra. […] E ci saranno mari e ruscelli di un
liquido tiepido e sconosciuto; e sarà tutto nero”.
Non possiamo fissare direttamente la morte così
come non possiamo farlo con il sole: sono abbacinanti e ci accecano. Lo
sguardo che vi rivolgiamo, si deve misurare con la nostra
umanità.
Le due pinte di gelato menta e cioccolato,
re-inventate da Hargreaves, che vennero richieste da Tymothy McVeigh,
trentatreenne dell’Indiana, deceduto dopo
un’iniezione letale, o l’oliva voluta dal
ventottenne dello Iowa, Victor Feguer, che cosa esprimono, invece,
oltre alla voglia di stupire di Hargreaves? Che è un buon
erede di Oliviero Toscani o più genericamente ben inserito
in quel percorso dell’arte contemporanea che trova in
più ambiti (si pensi al cinema) momenti di sovrapposizione
con la pornografia, con le sue modalità, le sue logiche, le
sue distanze? Forse, esprime anche la banalizzazione della morte al
fine di rimuoverla dal nostro quotidiano, così tipico dei
nostri tempi, trovando qui una dimensione estetica adeguata, affine a
certe pubblicità di agenzie di pompe funebri che catturano
l’attenzione con claim tipo “non andare col primo
che passa” (!!!). Per carità Hargreaves ha
talento, non si discute della bellezza delle sue foto, ma del vuoto che
denunciano e dell’addio definitivo che pronunciamo alla
nausea sartriana e a malesseri analoghi. In questo caso, al massimo si
rischierà una leggera indigestione, tenuto conto della
cucina light e/o naturale e dunque sicura degli chef
coinvolti.