Una decina, una quindicina o al massimo una ventina. Ecco
quante sono le app che probabilmente ognuno di noi realmente utilizza a
fronte delle centinaia scaricate tra le quasi ottocentomila oramai
disponibili. App per soddisfare ogni esigenza, desiderio,
curiosità, perversione, necessità e per il puro
piacere di sperimentarle o di farne semplicemente collezione. Il tempo
per usarle non aumenta, la loro effettiva utilità spesso
è insignificante se non inesistente, ma proliferano e sono
destinate ad aumentare in modo esponenziale. Le app come i virus sono
contagiose e l’infezione è destinata a propagarsi
in ciascuno degli Io di cui disponiamo, quelle interfacce imperfette di
questi meravigliosi dispositivi chiamati app. Sciame verso sciame.
Identità polverizzata la nostra, ma niente affatto debole,
iperspecializzata in migliaia di ambiti fecondi dove le app si
depositano al fine di performare come il loro codice genetico impone.
In cambio ne riceviamo indubbi vantaggi, trasformandoci in tanti
enciclopedisti in sedicesimo, tutti con la nostra libreria poggiata
sulla testa come Peter Kien, il protagonista di Auto da
fé, il romanzo di Elias Canetti. Prendiamo Sky
Map. Come si fa a non resistere alla tentazione di poter
esibire il proprio sapere in materia di costellazioni, di stelle e
pianeti? Certo, a volte si esagera, come nel caso di FartDroid
Fart Machine, un vero obbrobrio. Esclusi i due trucidi Beavis
e Butt-head, eroi di un meraviglioso, storico cartoon di MTV, non si
capisce chi potrebbe davvero usarla. L’applicazione dice
testualmente: “Record your own farts and play them for your
friends!”: In italiano suona così:
“Registra le tue scoregge e falle sentire ai tuoi
amici!” Inutile dire altro.
Il mondo delle app
è sconfinato, democratico, di massa, si presenta ai nostri
occhi come un’immensa raccolta di merci virtuali –
per parafrasare in parte un celebre incipit – il cui valore
d’uso è determinato dalle nostre coscienze di
consumatori scaltri e al tempo stesso sempre più infantili.
Consumatori evoluti: prosumer. Gli scaffali virtuali dove le app
alloggiano non ci svelano ancora del tutto i misteri della merce, ma
indubbiamente ci indicano una pista valida da seguire per capire almeno
le logiche che presiedono i meccanismi di scelta di tutti i prodotti,
compresi quelli tangibili, fisici, da lungo tempo sospettati di
catturarci per motivi che solo in parte sono quelli della soddisfazione
dei bisogni materiali. Un mondo di bisogni da soddisfare e uno di merci
pronte per saziare a volontà ogni desiderio. Certo, a volte
si esagera nell’inutilità, ma come resistere alla
tentazione di utilizzare GolfCard Gps e accedere a
un database dove sono archiviate informazioni sui campi da golf di
tutto il pianeta e mediante la visualizzazione satellitare accertarsi
per ognuno delle specifiche, caratteristiche, distanze e pendenze?
È (era, nuove app sorgono a ogni istante) piuttosto recente
e di una leggerezza piuttosto insostenibile. Oppure chi può
dire di no a Mountain Bike Pro per pedalare sapendo
tutto sull’andamento del tempo relativamente al percorso che
si intende seguire, alla cadenza di pedalata, al battito cardiaco
tramite sensori esterni (un optional)? Tutte inappuntabili, preziose
incarnazioni impreviste di un ideale di comunismo pienamente
realizzato, anzi per metà, partorito dallo stesso filosofo
di prima (ovvero: a ciascuno secondo i suoi bisogni), le app, sostiene
qualcuno, non sono tutte uguali. Alcune sono più e altre
sono meno interessanti, attraenti, divertenti (un nugolo di app servono
per giocare, ça va sans dire), performanti. Ne ha scattato
una polaroid lo scorso anno Wired Italia e chi se
non questa esemplare rappresentanza della peggior deriva tecnognostica
poteva farsene carico? Quando l'App Store ha toccato 25 miliardi di
download, il sito della rivista ha messo a punto un elenco delle 100
app del secolo. Sic! L’App Store è stato
inaugurato l’11 luglio 2008, dunque il secolo in questione
è di neanche quattro anni. Niente paura, presto ci
sarà una app dedicata al mondo Wired per
calcolare dopo quanti anni è trascorso un secolo.
Chissà poi se per selezionare le 100 app del secolo si
è utilizzata una app(osita)? Fatto sta che
all’epoca (cioè l’anno scorso, un quarto
di secolo fa) mancava all’appello un’app davvero
formidabile, scodellata in occasione dell’ostensione della
Sindone nel Duomo di Torino lo scorso 30 marzo: Sindone 2.0,
disponibile in versione gratuita e a pagamento. Sull’App
Store vengono elencate queste principali caratteristiche:
Consultazione dell’immagine della Sindone in alta definizione
Esplorazione libera del Telo in modalità touch screen
Visualizzazione del positivo e del negativo fotografico dell’immagine
Quattro percorsi di lettura guidata dei dettagli e degli aspetti più importanti riguardanti la Sindone
Approfondimenti sulle analisi scientifiche e la storia della Sindone
Filtri fotografici per migliorare la leggibilità dell’immagine
Navigatore
Di fronte al mistero dei misteri, all’immagine
più studiata e analizzata di tutti i tempi, il mistero delle
app in parte si svela. Come per incanto la scena si illumina. Autentica
epifania o sarà che i nostri sensi (virtuali) sono esaltati.
Servitù al nostro servizio, affidabili e infallibili
strumenti per assolvere ogni nostro fine, seducenti, creature votate
all’intrattenimento ghiotte del nostro tempo, le app ci
appaiono tutte agite da una sottile perversione feticista che sconfina
nella pura abbacinante pornografia.
Manipolare,
penetrare con lo sguardo, osservare da angolature improbabili,
possedere illusoriamente, tornare a possedere, ripetere e variare la
ripetizione, conoscere ogni dettaglio, baloccarsi con il proprio
feticcio, accumularne tutte le sue possibili forme. Se poi il feticcio
è sacro, il cortocircuito è inevitabile.
L’immateriale e il corporeo, il noto e l’ignoto, la
scienza e il culto, tutto ciò danza insieme come in fondo
avviene ogni volta che ricorriamo a una app. Saperi superflui da
condividere spesso inutilmente, conoscenze che appagano la nostra fame
di conoscere l’altro, il mondo e
l’aldilà, guide spirituali per questo e per tutti
i mondi che il nostro know how è in grado di dominare, puro
passatempo per anime morte, manualetti tascabili per mondi su misura,
per tutti i gusti, le fedi e le necessità. Che cosa
è impresso nella Sindone? Un mistero o un bluff che nessuno
ha scoperto, il che è lo stesso.
Che cosa
riflette Sindone 2.0? Ci viene in soccorso Jorge
Luis Borges: come gli specchi e la copula, le app sono abominevoli
perché moltiplicano all’infinito
l’immagine dell’uomo ma nella sua veste attuale,
quella dell’incontinente prosumer. Prot.