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LETTURE / SCRITTORI


di Antoine Volodine / Clichy, Firenze, 2013 / pp. 180, € 16,00


 

Miracoli segreti e lettere belle

di Livio Santoro

Quando la letteratura parla della letteratura nella sua concreta e materiale dimensione riproduttiva, e quando evita di farlo con l’esoterica arroganza dell’intellettuale di professione, può capitare, come in alcuni casi è capitato negli ultimi tempi, di trovarsi di fronte a opere appaganti, più o meno memorabili, costruite, tra le altre cose, della miscela di malta più solida che possa cementare l’impalcatura di un lavoro letterario: l’ironia (ossia la capacità di non prendersi troppo sul serio) e l’umiltà (ossia la consapevolezza di non essere altro che un tassello piccolo all’interno di un mosaico molto più grande e, fortunatamente, imperscrutabile). È per esempio il caso, con le dovute distinzioni, di solidi mattoni come il gradevolissimo La scopa del sistema di David Foster Wallace (2008) e l’infinito 2666 di Roberto Bolaño (2009), storie in cui è anche la letteratura in sé ad essere protagonista; non è solo mezzo, bensì cuore pulsante, centro (o meglio uno dei tanti punti centrali) della riflessione, palcoscenico della recita su cui si vanno intrecciando trame e animando personaggi. Ed è anche il caso, qui da noi, di un capolavoro come Rosso Floyd (vedi "Quaderni d'Altri Tempi" n. 29) di Michele Mari (2012), se vogliamo, e lo vogliamo, offrire alla musica le stesse capacità poietiche della letteratura che si fa con le parole e la punteggiatura (d’altronde anche la musica racconta storie, questo non lo si può negare).

In casi siffatti, forse proprio perché si ambienta al suo stesso interno, la letteratura dimostra non soltanto di saper raccontare vicende più o meno avvincenti, o di saper riflettere sulla realtà, ma dimostra anche di essere in grado di conservare ancora quella dimensione che probabilmente prima di ogni altra cosa fa le lettere belle: il gioco, il divertimento; la scrittura fine a se stessa, insomma, quella che non ha il mercato come primo ed immediato interlocutore né il facile gusto di un lettore sempre più svogliato e televisivo. Ecco che appellarsi ad altre storie in cui protagonisti sono i libri, gli scrittori, gli editori o i lettori viene da sé; storie che nascono all’interno dell’ambito letterario per dialogare con la realtà esterna attraverso la lingua polimorfa della congettura e dell’artificio. A tal proposito si ricordino marginalmente, e soltanto a titolo rappresentativo, le note fantastiche di alcune delle Finzioni di Jorge Luis Borges (2005), da cui bene o male tutto questo discorso proviene: Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, per esempio, oppure La biblioteca di Babele (vedi "Quaderni d'Altri Tempi" n. 39), o ancora Pierre Menard, autore del Chisciotte.

Il gioco della letteratura, nei pochi e paradigmatici casi citati, tocca il parossismo e sembra farsi beffe delle inutili necessità imposte dal realismo; consiste infatti nella sovrapposizione tra loro di diversi piani del reale, o meglio di diversi piani di realtà che vivono tra le pagine del mondo e tra gli ambienti del libro. D’altronde, per confortare il richiamo a Borges, si può senz’altro dire che far dialogare realtà intra ed extratestuale è metodologia che proviene proprio da quell’infinito letterario, gorgo appartenuto inizialmente al fantastico, di cui Maurice Blanchot (1969, riproposto anche su queste stesse pagine) aveva parlato esattamente commentando l’argentino. S’intende fare riferimento a quella innocente e tautologica corrispondenza tra libri e mondo che purtroppo (o meglio fortunatamente) ingenera delle temibili conseguenze che travalicano i confini di un singolo piano di realtà.

Ecco che veniamo così definitivamente a noi: un altro autore che a buon titolo potrebbe entrare all’interno della schiera di chi gioca con le lettere apparentemente senza altra intenzione che il gioco stesso (il piacere che se ne trae, il divertimento), è il franco-russo Antoine Volodine, di cui le neonate edizioni fiorentine Clichy (risorte sulle spoglie di Barbés) traducono per la prima volta un libro in italiano: Scrittori, già nel titolo programmaticamente inserito di diritto nella giocosa (che è innocente e temibile allo stesso tempo, l’abbiamo detto) autoriflessione letteraria di cui si sta parlando. Tanto che non è affatto un caso, immaginiamo, che all’interno del libro, per restare sui nostri modelli, siano chiaramente rintracciabili alcuni di quei temi che hanno fatto e che fanno, a partire da Borges, una metodologia letteraria fantastica che non necessariamente si affida e accompagna a un’ontologia altrettanto fantastica: come a fissare definitivamente, con le parole di Blas Matamoro (2011), quella verità per cui ogni letteratura, per statuto, è di per sé fantastica.

Dunque la letteratura da cui Volodine sembra trarre ispirazione si fa forte di temi già cari all’ambito di cui si sta discutendo: temi come l’elenco e la lista, per esempio; l’annullamento dei confini tra vita e morte, sogno e veglia, ragione e follia; temi come il libro che interviene attivamente sul reale modificandone gli accenti; temi come la memoria, l’enumerazione. Tanto che ci sembra si possa rintracciare a modello generale (uno dei tanti) di Scrittori il racconto intitolato Il miracolo segreto (naturalmente ancora delle Finzioni di Borges, 2005) in cui un certo Jaromir Hladík, autore e drammaturgo condannato alla fucilazione durante il nazismo, nell’attimo esteso che dilatandosi a dismisura precede la sua esecuzione ha la possibilità di concludere un’opera cominciata anni prima, I nemici, avendo a disposizione soltanto la sua stessa memoria e l’interruzione del tempo del mondo di fuori che il fato, una qualsiasi divinità o forse il caso, per chissà quale ragione, hanno deciso di concedergli. In questa sua impresa solitaria (come d’altronde lo è sempre l’azione di chi scrive) Hladík, scrive Borges, “non lavorò per la posterità e neppure per Dio, delle cui preferenze letterarie poco sapeva” (ibidem). Lavorò per se stesso, invece; dunque esclusivamente per la letteratura, per il gioco che questa presuppone. Appena posta la parola fine alla sua opera, Hladík vede il tempo intorno ricominciare, vede l’esecuzione riprendere. Il suo I nemici, come la sua stessa vita, andrà così perduto, per sempre, per non rimanere con il suo titolo che nelle pagine di Borges e in altre, decisamente molto più modeste, come per esempio sono queste.

Scrittori di Volodine è esattamente una raccolta organica di sette racconti, sette miracoli segreti in cui la letteratura, per tramite del suo agente più immediato, appunto lo scrittore (la sua biografia estesa, o anche un semplice attimo che serve a condensarne per sempre il suo corso), parla di se stessa confondendo le trame della realtà del testo e di quella che sta fuori. Racconta di sette diversi personaggi, che, in un modo o nell’altro, sono rinchiusi nelle loro produzioni letterarie, ne sono letteralmente rapiti, determinati nello scorrere biografico; racconta per loro bocca di quanto accade prima, durante e dopo l’opera di creazione; e lo fa con ironia, come detto, e con umiltà, caratteristiche che di converso, in letteratura, annunciano quasi sempre l’angoscia: altro sentimento, forse più imponente, che sta dietro. Naturalmente, nel suo essere elegia del marginale (in base al carattere di umiltà e ironia su cui si sta insistendo), la raccolta di Volodine non mette sulla scena grossi nomi della letteratura o ricchi romanzieri, nient’affatto, nemmeno tenaci e testardi profili dal gusto ottocentesco chinati sullo scrittoio e a cui resta soltanto una salute precaria o l’amicizia della luna. Gli Scrittori di Volodine sono invece di caratteri bizzarri, malati, periferici ed emarginati; tendenzialmente borderline, costretti tra le mura di un manicomio o fossilizzati nell’attimo che segue la loro morte; abitanti di case di cura per mostri che l’umanità, come in Levitico (XIII: 45-46) e Numeri (V: 2-3), pone al di fuori dell’accampamento; uomini semianalfabeti, anche, perché la scrittura può trascendere dalla grammatica e dalla sintassi; oppure orfani intenti a tematizzare la loro eterna solitudine di fondamento. Gli Scrittori che ci presenta Volodine sono personaggi la cui storia si trascina nelle spire dell’isolamento, non riuscendo in alcun modo ad uscirne: rinchiusi nelle loro narrazioni come Jaromir Hladík, come Pierre Menard e come tutti coloro che giocano con la letteratura, d’altronde.

 


 

LETTURE

  Blanchot Maurice, Il libro a venire, Einaudi, Torino, 1969.
Bolaño Roberto, 2666, Adelphi, Milano, 2009.
Borges Jorge Luis, Finzioni, Einaudi, Torino, 2005.
Mari Michele, Rosso Floyd, Einaudi, Torino, 2012.
Matamoro Blas, ¿Qué es la literatura fantástica?, in “The Cult Magazine”, 13 aprile 2011.
Foster Wallace David, La scopa del sistema, Einaudi, Torino, 2008.