VISIONI / LA GUERRA È DICHIARATA
di Valérie Donzelli / Sacher Distribuzione, 2012
Lotta dura senza paura, per amore
di Patrizia Simone
Parigi. Juliette e Roméo si conoscono ad una festa ed è colpo di fulmine. Giovani, belli e innamorati, vivono con spensieratezza il loro sogno d’amore, coronato dalla nascita del figlio Adam. L’idillio si spezza quando scoprono che il bambino, di diciotto mesi, è affetto da una forma particolarmente aggressiva di tumore al cervello. La malattia provoca una brusca frattura esistenziale nella coppia e ne scompagina la vita e le ambizioni, coinvolgendo anche le famiglie d’origine. Per i due giovani genitori è l’inizio di una lunga lotta, la guerra del titolo, che richiederà una buona dose di determinazione e coraggio. La lotta alla malattia viene portata avanti attraverso una vera e propria strategia di management familiare, in cui amici e parenti vengono coinvolti e addestrati per aiutare la coppia a non mollare. Il protocollo di cura di Adam diventa una tabella di marcia per i due coraggiosi genitori che, con amorosa creatività, costruiscono una routine dell’accudimento disciplinata come un allenamento sportivo (si vedano le sessioni di corsa) e ritmata come una danza rituale.
D’altra parte, nomina sunt omina, e i nomi dei protagonisti rimandano inevitabilmente alla famosa opera shakespeariana. Ironicamente, Roméo sembra presagire da subito i problemi a venire: “Avremo un destino tragico allora” dice a Juliette quando si conoscono, in una scena che ha tutti i connotati dell’agnizione. Girato in digitale (con una fotocamera Canon), il secondo lungometraggio di Valérie Donzelli aveva aperto la Semaine de la critique a Cannes nel 2011 per approdare nelle sale italiane solo quest’estate, dopo un doveroso tour per i festival internazionali (Atene, Rio, Torino, Sundance). Scritto a quattro mani dagli stessi interpreti (la regista e l’ex compagno Jérémie Elkaïm), il film è ispirato alla storia personale della coppia. Malgrado la genesi autobiografica, l’opera evita le derive della melensaggine e del voyeurismo facile. Certo è lecito pensare che in quanto cinema familiare, il film sia funzionale a metabolizzare ed esorcizzare il doloroso vissuto degli autori/interpreti. Bisogna però precisare che, benché il legame tra cinema e vita resti significativo e costituisca un dato di verità pulsante, l’asse fondante della riuscita del film si colloca su un livello prettamente estetico.
Donzelli evita con classe i pantani del sentimentalismo a buon mercato tipico dei melodrammoni sul cancro di stampo televisivo: La guerra è dichiarata riesce a colpire e coinvolgere lo spettatore soprattutto per le qualità intrinseche della messa in scena, ovvero per l’originalità con cui la storia personale dei protagonisti viene rielaborata a livello filmico. L’espressione dei sentimenti non viene sacrificata ma i picchi drammatici (la corsa sfrenata di Juliette all’ospedale dopo la rivelazione della diagnosi) sono sempre sorretti da un impianto registico oculato e rigoroso che nulla concede alla graziosità stucchevole del film bomboniera. Pur senza essere cinico, il film esibisce momenti di sano e ironico distacco (“Ho paura che nostro figlio ne esca cieco, sordo, muto, nano, di colore, omosessuale e che voti Fronte Nazionale!” confida Roméo a Juliette in un dialogo in cui i due mettono a confronto iperbolicamente le loro paure circa l’operazione).
Pur frequentando a più riprese un registro disinvoltamente pop, il film non sconfina nel kitsch e si tiene in equilibrio grazie a una scrittura calibratissima, dispiegata attraverso una serie di felici soluzioni stilistiche, spesso dal tono vivacemente poetico. Scelte antinaturalistiche (come la voce fuori campo) si accompagnano a intermezzi musicali e istanti di rivelazione simbolica (la visione di L’origine du monde al Musée d’Orsay come presagio di maternità oppure le immagini “cellulari” al microscopio). Alcune volte, come in un videoclip, l’azione scenica si accompagna alla musica in modo fusionale. I suoni fanno da filo conduttore del racconto, come nel caso del battito martellante (e intradiegetico) durante la risonanza magnetica di Adam. La sapiente orchestrazione del ritmo è infatti uno dei punti di forza del film, che si pregia di scelte musicali indovinatissime (Laurie Anderson e Sébastien Tellier ma anche Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach e Ennio Morricone), così come di un montaggio saggiamente asciutto.
Gli inserti poetici di cinema ludico e musicale (come le parti quasi coreografate che descrivono l’inizio della relazione d’amore, o il momento cantato di Ton grain de beauté) sono sempre modulati da una grande consapevolezza espressiva e da un’attenzione magistrale all’economia del racconto: nulla è fatto a caso e ogni elemento, a partire dalla composizione dell’inquadratura, è studiato ad arte e rimanda a una solida coerenza di fondo. La leggerezza briosa e mai superficiale che caratterizza ogni scena fa di questa dichiarazione di guerra un piccolo gioiello, capace di non banalizzare il dramma né di renderlo una storiella leziosa, fino al bellissimo ralenti finale che sigilla il film in una sequenza magicamente vittoriosa.
Siamo in presenza di uno stile personale, anzi autoriale: la seconda opera della Donzelli presenta infatti diversi aspetti di continuità, sia tematici che stilistici, con La reine des pommes (2009), suo lungometraggio d’esordio, mai uscito in Italia. Qui i nodi centrali sono ancora una volta la derivazione biografica (la coppia di attori Donzelli / Elkaïm), l’amore e la malattia, o meglio la malattia d’amore.
Dopo la separazione da Mathieu la trentenne Adèle (interpretata dalla regista) perde la voglia di vivere e viene risucchiata da una solitudine autodistruttiva finché, grazie all’aiuto della cugina Rachel, decide di tornare a vivere. Per dimenticare la relazione finita male, inizia una serie di avventure con uomini differenti: uno studente d’arte, il padre del bambino a cui fa da baby-sitter, uno sconosciuto. Il ricordo dell’amore perduto però ossessiona Adèle al punto che rivede Mathieu in ognuno degli uomini che incontra (tutti interpretati da Jérémie Elkaïm). Con il tempo, e grazie ad un viaggio che la allontana provvidenzialmente da tutto e da tutti, la protagonista ritroverà la forza e la lucidità per guardare il mondo con altri occhi. I personaggi stilizzati di questo racconto di formazione hanno la forza allusiva della maschera e l’intreccio è un susseguirsi di dialoghi e situazioni paradossali. La brillante leggerezza di La reine des pommes, che irride benevolmente la goffaggine sentimentale della protagonista e forse di tutti gli innamorati delusi, è segno che la regista ha ben assimilato la lezione rohmeriana, arricchendola di toni sognanti e sfumature personalissime.
Se il cinema riscrive il reale attraverso l’inganno, allora ogni cosa è lecita e Valérie Donzelli non ha paura di osare dimostrando una sorprendente maturità e padronanza del linguaggio filmico. Una cineasta da tenere d’occhio.
VISIONI
— Donzelli Valérie, La reine des pommes, MK2 Video, 2010.