Le caratteristiche peculiari dei prodotti audiovisivi seriali
sono
tutte riconducibili alla forma di scrittura che li sottende e che
possiamo definire deviante rispetto alla struttura narrativa solita del
romanzo con un inizio, una parte centrale ed una fine, e con
l’equilibrio iniziale rotto e poi ricomposto alla fine. Addirittura, la
fine delle singole puntate nei prodotti seriali è caratterizzata da un
colpo di scena non risolto e che lascia lo spettatore in attesa, ecc..
ecc…
Intanto, bisogna distinguere tra serie e serial,
dove la serie è composta da episodi autonomi e per questo
provvisti di titolo, mentre i serial sono formati da puntate non
autonome e temporalmente legate. Per riportare le definizioni a
letterature più riconoscibili potremmo dire che il Decameron è
una serie e La Divina Commedia è un serial.
La particolarità dei prodotti seriali sta tutta nella
storia: tutte le caratteristiche proprie dell’arte degli audiovisivi
sono presenti nei prodotti seriali. Per questo, belli o brutti,
innovativi o tradizionali che siano, ai prodotti seriali possiamo
comunque applicare le stesse categorie estetiche che normalmente
utilizziamo per gli altri prodotti televisivi. Tranne che per la storia.
Anche per i sequel la storia sottesa è da considerare alla
stregua della narrazione tradizionale, i capitoli in più sono dovuti al
successo del primo film, oppure alla lunghezza dell’intreccio, e fungono
da completamento di una storia; talvolta con l’invenzione postuma della
genesi di tutto l’intreccio.
Usando per definirlo un bel termine ossimorico:
presequel.
La storia nei prodotti seriali rispetta principi diversi
pur mantenendosi costantemente ancorata alle leggi universali del
raccontare. Anzi, forse proprio in virtù di questo ancoraggio ai bisogni
fondamentali dell’uomo relativi alla comunicazione, i prodotti seriali
soddisfano esigenze più semplici ma più profonde: il racconto senza
fine, cioè senza scopo se non quello di comunicare fine a se stesso e
produrre emozioni empaticamente.
Tutto ciò avviene attraverso quello che si chiama 'effetto
di familiarizzazione'.
I personaggi devono diventare la famiglia surrogata dello
spettatore che, una volta conosciuti questi e le loro caratterizzazioni,
ed appena decide di continuare ad interessarsi della storia conosciuta,
si dà come impegno l’appuntamento con la puntata; è qui che scatta il
meccanismo fondamentale: non ci si aspetta più il meccanismo ordinario
di una storia più o meno lunga che si completa con un finale, ma ci si
accompagna alle storie dei personaggi che diventano nostri conoscenti; e
dai conoscenti ci si aspetta un comportamento ordinario, atteso, ma
anche uno scarto dall’ordine immaginato.
Insomma, quello dello spettatore dei prodotti seriali
sarebbe un lavoro dinamico per raggiungere l’equilibrio tra l’atteso
e l’inatteso, come quando si scopre qualcosa (una terra, una
legge scientifica, ecc…) il lavoro del ricercatore è legato ai
presupposti che conosce, da questi è guidato, e la maggior parte dei
risultati sono attesi, ma le sorprese scaturite della sua indagine sono
l’obiettivo, cioè la sintesi equilibrata tra la nuova scoperta e il già
conosciuto.
Il concetto di sospensione dell’incredulità è valido per ogni
tipo di fruizione narrativa: chi legge, ascolta o assiste ad una storia
raccontata in qualche modo sospende la sua funzione critica (magari
riservandola per la fine del racconto), si immedesima, e questo
immedesimarsi deve essere in relazione al bisogno del raccontare come
universale della cultura.
La sospensione dell’incredulità è artificio forte che
operiamo su noi stessi quando inizia un racconto, in realtà sospendiamo
il regolare fluire della nostra esistenza, interrompiamo il nostro
continuum temporale; come in un sogno, in qualche modo, entriamo in
un’altra realtà propostaci dal racconto.
Nella fruizione dei prodotti seriali la sospensione
dell’incredulità cambia, si attenua, pur restando un atteggiamento
necessario, l’abitudine voyeristica alle vite dei personaggi rende gli
stessi più reali (bisognerebbe verificare se agli attori impegnati
quotidianamente in quelle parti succede qualcosa alla personalità), da
personaggi diventano persone incluse nella nostra sfera esistenziale che
ci raccontano la giornata in mezz’ora mediante il meccanismo della
comprensione ellittica.
Ma al soddisfacimento di quale bisogno profondo risponde questo
assistere ad altre vite?
Perché, passivamente quando guardiamo i prodotti seriali, o
attivamente quando giochiamo con i giochi di simulazione come The
Sims, ci ricreiamo in queste altre vite?
La ragione ultima potrebbe essere la moltiplicazione dell’esistenza come
soluzione alla terribilità del divenire, alla insensatezza della fine.
E quando, con le tecnologie più potenti, riusciremo a gestire un gioco
che sintetizzi SimCity con The Sims magari con la grafica
utilizzata nei film come Il signore degli anelli, potremmo
rispondere, come nel racconto La risposta di F. Brown,
alla domanda fondamentale posta a tutti
computer dell’universo dopo averli connessi:: "C'è Dio?", "Sì: adesso
c'è". Nel racconto di Brown il nuovo Ente supremo prende possesso del
cosmo, soppiantando l’uomo. Se noi potessimo fornire una risposta
analoga, beh, che… Dio c’è la mandi buona.
Answer in
a cura di Carlo Fruttero e Franco
Lucentini,
Le meraviglie del possibile - Il secondo libro della fantascienza,
Einaudi 1961
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