VISIONI / ORLAN AAKA ORLAN
a cura di Eugenio Viola / Milano, Prometeo Gallery di Ida Pisani, / Ex Chiesa di S. Matteo, Lucca
ORLAN l’opera d’arte
totale
della contemporaneità
di Antonello Tolve
Brano biobarocco del contemporaneo, ornamento vivente che
attraversa – con esuberanza – le ragioni (e le
regioni) del pluriculturalismo o, ancora, corrosione delle barriere che
disegnano i mondi del naturale e dell’artificiale, ORLAN
(Saint-Étienne, F., 1947) è nome regio di un
discorso che mira ad investigare, con prontezza, il soggetto e la sua
identità. Un dibattito, questo, che impegna –
sotto uno stesso cielo riflessivo – biologi ed antropologi,
sociologi, filosofi, medici, psicoanalisti e artisti perché,
ha suggerito Max Scheler in tempi non sospetti “mai, nel
corso di tutta la sua storia, l’uomo è stato tanto
enigmatico a se stesso come nell’epoca attuale”
(Scheler, 1913).
Da corpo come linguaggio
(Vergine, 1974) a corpo multicodico (Trimarco,
2009) che rappresenta la storia individuale e nel contempo la storia
dell’umanità, ORLAN ha elaborato, in maniera
coerente e anancastica, un lavoro di oggettivazione del corpo
a partire da un fondale linguistico che ha saputo rimodellare e
rivisitare i linguaggi della pittura e della scultura (territori
d’origine del suo lavoro) per generare un sillabario estetico
in cui il rapporto tra arte e vita, l’ossessione della carne
e l’ibridazione costante tra reale e virtuale si compenetrano
fino a cortocircuitare il tempo e lo spazio in nome di una fusione tra
ingegneria genetica e fascinazione estetica, che trova nella
psicoanalisi, nell’antropologia e nell’iconologia
classica il proprio massimo comune denominatore.
“Devo
dire che ho cominciato la mia attività come pittrice e come
scultrice; e ancora oggi mi trovo a fare in maniera naturale della
pittura e della scultura. In tutto il mio lavoro ho sempre cercato di
evidenziare il valore che assume il corpo umano all’interno
della sfera sociale. L’importante è sapere che lo
statuto del corpo è importante nella società. Del
resto le impressioni sociali politiche e religiose si inclinano nella
nostra carne con forza e robustezza”.
(Dichiarazione raccolta dell’autore nell’ambito della collettiva BAROCK
- Museo MADRE, Napoli, come tutte quelle che seguono
– salvo dove indicato diversamente – e da cui
provengono le immagini che proponiamo).


Photo by Amedeo Benestante, courtesy Museo Madre, Napoli
Sin dagli anni Sessanta – al 1964 risalgono, ad esempio, le sue prime personali Peintures Trottoirs e Les Marches au ralenti, Le Gueuloir – l’attività creativa di ORLAN ha fatto dell’azione il territorio caldo di una sperimentazione tesa ad approdare, ben presto, a ORLAN-Corps et Corps-Sculpture “qui sont”, ha suggerito l’artista in una conversazione tenuta con Eugenio Viola, “le point de départ et la clef de voûte de tout mon travail à venir”.
“ORLAN accouche d’elle m’aime (del 1964) rappresenta, ad esempio, il parto di qualcosa d’altro, di un clone. Mentre, Tentative pour sortir du cadre (del 1966), una foto in cui mi sforzo di uscire da una cornice ovale, è uno dei fondamenti del mio lavoro. È stato uno stadio del mio lavoro molto importante perché in quel periodo cercavo di oltrepassare l’apparenza per far uscire dal quadro il corpo, di ridare carne e corpo all’immagine”.
Irriverente, blasfema e iconoclasta, ORLAN ha disegnato, sin dalle sue prime opere, un percorso unico di riattraversamento della grafia giudaico-cristiana. Un percorso artistico ed esistenziale che ha trapunto i perbenismi sociali e ha suscitato, di volta in volta, scandali pubblici, estetici e politici.
“Nella mia vita ci sono stati vari scandali messi in campo dai media, ma certo non orchestrati da me. Uno di questi è stato senz’altro Le Baiser de l’Artiste del 1977. Un’opera che rappresenta il prima e il dopo della mia vita. È stata davvero un passaggio fondamentale. Io sono stata licenziata di punto in bianco con un semplice telegramma inviatomi dalla scuola in cui insegnavo. All’inizio Le Baiser de l’Artiste era una scultura divisa in due parti: SANTA ORLAN e ORLAN CORPO. Da una parte c’era un altarino con una fotografia dove era possibile mettere una candela a SANTA ORLAN. Dall’altra parte c’era ORLAN CORPO, un distributore automatico nel quale era possibile inserire una moneta da 5 franchi (che andava a finire direttamente nella zona pubica). Nel momento in cui qualcuno metteva la moneta nel distributore, decideva di partecipare automaticamente a una performance istantanea in cui io gli davo un bacio con la lingua”.


Photo by Amedeo Benestante, courtesy Museo Madre, Napoli
Definito, di volta in volta, “corps politique” (Marcela Iacub, 2007), “plastica inerte a mutazioni chirurgiche barocche” (Paul Virilio, 2002, pag.85), o “discours sur l’autre et sur la multi-identité” (Lóránd Hegyi in ORLAN, 2007)) il lavoro dell’artista si fa, ben presto, azione chirurgica che surclassa le linee generali del corpo per approdare al nuovo statuto teorico di Art Charnel. Di un’arte che non è soltanto idioma corporale, ma anche carne, appunto, messa in gioco e radicale messa in discussione del vivente. Un’indicazione, questa, coniata dall’artista agli inizi degli anni Novanta per mostrare il lavoro di incarnazione del pensiero direttamente nel corpo. L’esigenza di generare e lanciare definitivamente nel mondo dell’arte lo pseudonimo ORLAN nasce, così, da una declinazione agiografica della body art. Attraverso la creazione di un vero e proprio alterego politico e polemico (che è scollamento e riappropriazione – o meglio materializzazione – del sé, dell’altro, per dirla con Jacques Lacan), Santa ORLAN emerge, dunque, per farsi confronto esplicito e paradigmatico con il barocco riformato romano.
“Ho
lavorato parecchio in Italia e ho analizzato molto il barocco. Quello
che mi interessava (e continua ad interessarmi) è che il
barocco non chiede di scegliere tra il bene ed il male. Le oltrepassa
queste congetture. Durante tutto il mio lavoro mi sono riferita a
questo concetto fondamentale guardando al barocco e anche a quello che
va al di là dello stesso barocco. Per ciò che
concerne le mie operazioni chirurgiche devo dire che, fin
dall’inizio, ho sempre accompagnato le mie operazioni con
delle letture di testi psicoanalitici, letterari o filosofici. Tutti i
vari interventi, tra l’altro, erano messi in scena con dei
costumi di importanti stilisti. In ogni operazione cercavo di muovermi
liberamente, senza intralciare, però, il lavoro chirurgico.
Prima di fare questo tipo di interventi ho scritto
anche un manifesto, L’Art Charnel. Quello
che era importante per me in questo manifesto era di prendere le
distanze dalla Body Art. La Body Art è stata, certo, molto
importante. I bodyartisti hanno aperto delle vie
significative. Quello che però ho messo in discussione era
la sofferenza, il dolore fisico, la tortura, il limite psicologico e
fisico. Per me il dolore, oggi, è anacronistico.
È inconcepibile, oggi, una frase tipo ‘tu
partorirai con dolore’ perché la nostra
è un’epoca che va al di là del dolore.
In ogni mia operazione, difatti, non c’è stato mai
alcun tipo di dolore, né prima, né dopo
l’intervento chirurgico. La gente mi faceva delle
domande in diretta dal Centre Pompidou (dove
c’erano degli schermi che proiettavano quello che accadeva in
sala operatoria) e io potevo tranquillamente rispondere. Se avessi
avuto dolore non sarei riuscita ad instaurare alcun tipo di dialogo.
Inoltre, in queste operazioni l’idea era quella di mettere in
questione la mia immagine, anche se era un’immagine che amavo
molto. Tuttavia era un’immagine che non avevo scelto, ma mi
era stata imposta”.


Photo by Amedeo Benestante, courtesy Museo Madre, Napoli
Con le Self-hybridations – azioni antropologiche formulate dopo le operazioni chirurgiche – l’artista ha avviato, successivamente, a partire dal 1998, un discorso teso a interrogare e ibridare corpi intellettuali differenti. Investigando i modelli culturali e corporali dominanti in diverse nazioni e dilacerando le dinamiche temporospaziali ORLAN ha mostrato, appunto, con le Self-hybridations, un sostrato linguistico in cui la cultura è intesa come cultura di standard visivi, che muovono dall’acconciatura e dalla trasformazione del corpo, per generare un vero e proprio tour virtuale nei territori della differenza, del coabitare comune e della pacificità con l’autre.
“Dopo le operazioni chirurgiche ho avviato un discorso dedicato interamente ad alcune culture internazionali. L’idea era quella di interrogare nel profondo l’arte occidentale e l’iconografia cristiana dell’arte. (Io ho scoperto la religione cristiana attraverso la scultura e la pittura). E praticamente con questo lavoro ho scoperto, a partire dalla cultura autoctona di paesi differenti, delle prassi molto particolari che manipolano il corpo umano mediante cerimoniali tesi a variare e alterare alcune parti della struttura corporea. Una di queste è, ad esempio, la costruzione e la trasformazione del corpo con dei crani molto allungati. Si mettono intorno alla testa del bambino dei pezzi di legno che modificano notevolmente la testa. Quando sono andata a Città del Messico, al Museo di Archeologia, per studiare questo tipo di fenomeni culturali, alcuni ricercatori mi hanno detto che questa ritualità era diffusa anche in Francia. Infatti, proprio in Francia, ad Albi, nella regione dei Midi-Pirenei, ho riscontrato questa ritualità. Tutte le civilizzazioni hanno cercato di fabbricare, costruire e modificare i corpi. Lo si vede non solo in alcuni esempi dei nostri paesi, ma anche nelle civiltà precolombiane, centroafricane o amerindie. Anche lo strabismo, ad esempio, poteva essere prefabbricato attraverso l’applicazione di alcune conchiglie sul naso dei bambini. In questi lavori mi interessava non solo studiare gli standard corporei di epoche e di regioni differenti ma anche mescolarli a quelli della nostra epoca. Insomma, le Self-hybridations sono tutte manipolazioni digitali che tendono ad ibridare civilizzazioni differenti. Spero tanto che, un domani, ci siano dei meccanismi applicabili al nostro corpo per permetterci di mutare la nostra pelle o di cambiare lingua a seconda del paese in cui ci troviamo, attraverso un semplicissimo pulsante”.
È proprio lungo queste linee che l’artista ha sentito – e continua a sentire – l’esigenza di far diventare l’azione una trasformazione e una riflessione comune. Di utilizzare il suo corpo, in altre parole, non solo come linguaggio e costruzione di segni, ma anche come materia(le) primario, come fabula de lineis, coloribus et carnibus che racconta, nell’oggi dell’arte, le parabole estetiche di una nuova evoluzione umana.
“Tutto il mio lavoro è uno sfumato tra rappresentazione e presentazione, figurazione e trasfigurazione. È un lavoro che tende a costruire il sé, a creare, sempre, la scultura del proprio sé”.