Corpo e anticorpo nell'arte
di
Paolo Rosa

 


Nella morsa di questa estetica, non si avverte vissuto, non si gusta uno stile. E lo stile è l’elemento che “non ti permette di barare … lo stile è un prodotto diretto di questo sentimento della realtà come apparizione del divino” ci ricorda Pier Paolo Pasolini. Corpo vero e straziato,  buttato a terra con i propri pensieri. 




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A questa estrema proliferazione di corpo d’artista, ammettiamo pure in parte necessaria per arrivare ad un suo precipitare, è corrisposta inevitabilmente l’amputazione di un altro fondamentale corpo: quello del suo pubblico.

La frustrazione fisica dell’assistere o dell’ascoltare certe opere artistiche o anche musicali del secolo scorso è stata sopperibile solo a costo di intensi sforzi concettuali che senz’altro hanno portato a godere, successivamente, della straordinaria intelligenza dell’autore, ma non ad assumerselo intimamente, corporeamente. Così come nella rapidità comunicativa dell’opera marketing più recente, il contatto è talmente fugace e così poco da approfondire che il passaggio fisico, tattile quasi sempre manca. E con questo anche il coinvolgimento, il trascinamento emotivo, l’istintiva voglia di muoversi, sentire il proprio corpo risucchiato, investito, smaterializzato dal suono, o dalla visione. È come se l’aspetto rituale che sta all’origine di molte espressività artistiche mancasse o avvenisse solo da una parte. Tu, spettatore,  non hai accesso anzi sei un turista culturale che devi osservare, senza toccare, il pittoresco indigeno di turno. E magari anche consumare.

Tradito dall’arte, che lo considera da tempo un corpo buono solo da provocare, da risvegliare, al meglio da educare o al peggio da non considerare.




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Stanco di rincorrere gli autoreferenziali formalismi e concettualismi, certo pubblico comprensibilmente,  s’infila nel rave allucinatorio dell’incalzante mondo mediatico, dove il suo corpo magari conta poco, ma si muove, alla pari di tutti gli altri.

Proprio questo corpo sfinito, delocalizzato, serializzato,  riprogettato costantemente dal sistema mediatico, in balia di un passaggio epocale che lo ha trascinato nella morsa della tecnologia; questo corpo che non sa più sentirsi è doveroso della più grande attenzione, della più massiccia osservazione. I professionisti del sensibile devono ad esso, e non al proprio, la più grande considerazione. Sapendo che anche quello artistico che indossano è un corpo amputato.

 

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