Le mani avanti, Gesù Cristo le aveva messe già all’indomani della sua resurrezione. Invitando lo scettico San Tommaso a prendere atto del suo ritorno tra i vivi, aveva sentenziato: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Giovanni 20, 29). Se Cristo avesse potuto assistere all’ultima recente Ostensione della Sindone di Torino, esposta di nuovo agli occhi dei fedeli dieci anni dopo quella del Giubileo del 2000, avrebbe dovuto ammettere che quella di San Tommaso sembra essere diventata una vera e propria sindrome nell’ecumene cristiano. Il lenzuolo più famoso del mondo è ormai entrato nell’era della multimedialità di massa. L’Ostensione del 2010 varca i limitati confini di una chiesa e si apre all’intero pianeta grazie alla rete. Sul sito ufficiale della Sindone è persino possibile camminare virtualmente nel Museo annesso, e ammirare le prime raffigurazioni del lenzuolo, i pregiati contenitori realizzati per trasportarla, gli strumenti scientifici che nel corso dei decenni l’hanno scandagliata in ogni sua parte, non riuscendo tuttavia, per strano che possa sembrare, a giungere a una conclusione condivisa. E l’Ostensione si apre per diventare multimediale nel vero senso della parola: produce nuovi libri e nuovi controversi studi; sbarca su tutti i canali televisivi nazionali e nei più bislacchi programmi; genera mostre di arte contemporanea (quella a Palazzo Barolo a Torino, Il sepolcro vuoto – Un percorso d’arte contemporanea intorno alla sindone) e persino mostre di storia del cinema (la mostra al Museo del Cinema della Mole Antonelliana,
Ecce Homo. L’immagine di Gesù nella storia del cinema). Insomma, la tradizionale Ostensione fisica al Duomo passa quasi in secondo piano rispetto all’intero universo mediatico che gravita intorno alla Sindone.
La Sindone è diventata “una nuova icona pop”, come ha notato Luigi Garlaschelli (2010, p. 27), chimico e membro del CICAP (il famigerato Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) in un suo intervento nel numero monografico di
Micromega a essa dedicato, che non a caso in copertina replica il volto sindonico parafrasando le opere di Andy Warhol. “D’altronde, siamo o no nell’epoca della Sindone vista con gli occhialetti 3D come fosse un Avatar qualunque?”, si chiede ironicamente il massmediologo Stefano Milani (2010, p. 100). Niente di più vero, perché la Sindone è in effetti un avatar nell’accezione propria del termine: la manifestazione terrena del divino, com’è nella religione induista, o anche l’icona virtuale dietro la quale si nasconde un’altra realtà. La Sindone è un’immagine, dunque proprio “un avatar qualunque”. Lo hanno sostenuto, del resto, gli stessi prelati della Chiesa di fronte alle accuse di falso storico. Il cardinale Ballestrero si spingeva ad affermare che “la Sindone ha una sua autenticità come immagine, il cui valore è preminente rispetto all’eventuale valore di reperto storico” (cit. in Platone, 2010, p. 97); Don Giuseppe Ghiberti scrive che “il suo interesse fondamentale consiste nell’essere un segno e questo funziona indipendentemente dalla consistenza della sua natura” (Odifreddi e Ghiberti, 2010, p. 10). Dunque, la Sindone ha un valore meramente iconografico. Esso risiede nel fatto che quel volto, martirizzato ma quieto, vada esattamente incontro alle aspettative visive del pubblico cristiano: è il Gesù tradizionale con la barba e i capelli lunghi, come ce lo ha rappresentato la tradizione negli ultimi secoli. A nulla servirebbe osservare che questo tipo di rappresentazione del volto di Cristo non è l’unico, né tantomeno il più recente. Almeno fino al VI secolo, il volto imberbe di Cristo è quello dominante. L’affermarsi della virilità si avrà solo nei secoli successivi (Belting, 2007). Ma niente da fare: l’immagine ha la meglio sull’eventuale realtà storica.
La Sindone è un falso, ma un falso sui generis. È uno di quei falsi che, nella storia dell’arte, diventa celebre quanto un originale, e magari vale anche di più. Quando i falsari lo presentarono al vescovo di Troyes, che lo pose all’attenzione di Clemente VII, nessuno abboccò. L’antipapa, nel 1390, ebbe cura di emanare ben quattro bolle che, pur permettendo l’ostensione del lenzuolo, ordinavano di “dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario” (cit. in Odifreddi e Ghiberti, p. 7). Ma la politica si appropriò ben presto di quel lenzuolo e, in un’epoca in cui non esisteva la televisione, ne fece un potente strumento mediatico. Tale fu per i Savoia che lo acquistarono nel 1453 da Margherita de Charney, nipote di Geoffroy de Charney che per primo tentò di spacciare il falso alle prelature franco-italiane. Margherita fu beninteso scomunicata per quell’atto, ma da buona procacciatrice d’affari riuscì – per una somma di tutto rispetto – a piazzare quell’opera sul mercato collezionistico dell’epoca. I Savoia, tuttavia, non avevano per la Sindone nessun tipo d’interesse artistico: essa serviva a legittimare la dinastia e a fare di Torino una delle mete principali del turismo religioso europeo. Cominciarono così a essere diffuse ad arte le storie riguardanti i presunti miracoli della Sindone. Chi la portava con sé si garantiva l’immunità da ogni sorta di incidente, e la città che la ospitava sarebbe stata immune da disastri (Nickell, 1993, p. 23). La Sindone tuttavia si rivelò incapace di proteggere se stessa, tant’è che nel 1532 un incendio ne devastò i contorni, poi rozzamente rattoppati, benché la miracolosa immagine restasse complessivamente integra. Il falso consapevole, poi, produce altri falsi consapevoli. Sin dalla prima metà del XVI secolo si afferma la consuetudine di realizzare copie a grandezza naturale del sacro lenzuolo, per i principi stranieri. Per “autenticarne” il fac-simile, “… le copie venivano appoggiate per qualche istante all’originale, nella convinzione che questo contatto fisico consentisse loro di partecipare al mistero di cui la reliquia era espressione, e quindi, a loro volta, di poterlo trasmettere”. (Cozzo, 2010, p. 60).
Quando, nel 1988, i risultati di tre diversi laboratori scientifici rivelarono che l’analisi al carbonio-14 datava il lenzuolo tra l’XI e il XII secolo, nessuno storico gridò allo scandalo. Se persino i contemporanei ne sostenevano la falsità, non c’era nemmeno bisogno di scomodare la più nota delle metodologie scientifiche di datazione. Trascorso tuttavia un po’ di tempo, affinché la storia venisse dimenticata, i “legittimisti” sono tornati alla carica sostenendone l’autenticità, mai confermata in realtà da nessun papa nel corso dei secoli (tranne che da Bruno Vespa…). E per cercare di trovare una spiegazione all’imbarazzante assenza di notizie sulla Sindone prima del Trecento, alcuni sindonologi hanno fatto entrare in campo i più ingombranti personaggi di quel secolo: i Templari. Aveva ragione Umberto Eco quando, nel
Pendolo di Foucault, faceva affermare a uno dei suo personaggi: “I Templari c’entrano sempre”. C’entrano anche con la Sindone perché, senza troppa fantasia, si potrebbe sostenere che il misterioso Baphomet, l’immagine diabolica da loro venerata (almeno secondo la leggenda nera di Filippo il Bello, che li distrusse), altri non fosse che il volto di Gesù rappresentato nella Sindone. Che da Costantinopoli, liberata dagli infedeli dopo la prima crociata, viaggiò in gran segreto fino in Europa grazie ai Templari e che, dopo la loro tragica fine, passò nelle mani della famiglia de Charney. A sostenere una tesi simile, oltre all’immancabile Roberto Giacobbo, il guru dei misteri, è una studiosa dell’Archivio Segreto Vaticano, Barbara Frale, che ha avuto l’imprimatur dalla stessa Santa Sede per pubblicare con grande clamore mediatico il suo
I Templari e la Sindone di Cristo (2009). La Sindone torna così a essere, anche nella storia più remota, oggetto di venerazione, feticcio propiziatorio, idolo quasi blasfemo, “icona pop” ante-litteram.
Il volto di Cristo, insomma, impazza. Nel 1991, per esempio, apparve nientemeno che su un cartellone pubblicitario che reclamizzava una marca di spaghetti in America. Lo strano caso, che destò l’attenzione della stampa locale, fu provocato dalla fantasia di un nutrito gruppo di persone convinto che, tra i fili degli spaghetti conditi da un invitante sugo colante, si nascondesse proprio il barbuto volto di Gesù. Un precedente del resto c’era stato nel 1978 allorquando, in un paesino del New Mexico, una signora fece benedire dal parroco locale una tortilla da lei cucinata, sulla quale le casuali bruciature provocate dalla cottura formavano inequivocabilmente i contorni di un volto. “È Gesù Cristo!”, avrebbe esclamato la brava donna senza starci a pensare troppo, trovando conferme in tutti coloro che accorsero a vedere la miracolosa tortilla (Nickell, pp. 36-37). A cosa si deve questa sbrigliata fantasia? Alla stessa ragione che ha portato migliaia di persone a convincersi di vedere Madonne piangenti o sanguinanti, spesso addirittura parlanti, in ogni angolo del mondo. Il bisogno di miracoli. “Persistevo nell’incrollabile fede che l’era dei miracoli crudeli non fosse ancora finita.”, dichiarava il protagonista di Solaris al termine del capolavoro di Stanislaw Lem (2007). Il grande romanzo – trasposto da Tarkovskij sul grande schermo in una versione ancora più vicina al tema del rapporto tra umano e divino – mette in gioco proprio questo bisogno. Quando Harey, la fidanzata di Kelvin morta suicida, riappare improvvisamente sulla stazione di Solaris, risuscitata come Cristo il terzo giorno, avviene il primo dei “crudeli miracoli” prodotti dal pianeta cosciente. La disperata ricerca dell’umanità nel cosmo – lo si può leggere tra le righe nel romanzo di Lem, più esplicitamente nel film di Tarkovskij - ha come oggetto non un’altra civiltà, ma l’oltreumano inteso come manifestazione del divino; manifestazione che, come ogni avatar che si rispetti, sceglie un’immagine miracolosa per rivelarsi.
Il cattolico (o comunque cristiano) credente che ha avuto anche solo una superficiale istruzione biblica ed evangelica in chiesa o a scuola, sa che nella Bibbia i miracoli erano all’ordine del giorno. Mosè era un esperto nel riuscire a ottenerli, ma gli altri non scherzavano di certo. Senza dover scomodare tempi tanto remoti, solo duemila anni fa gli abitanti della Galilea ebbero diretta esperienza del figlio di Dio morto e risuscitato. E i primi secoli dei martiri cristiani abbondano di miracoli. Oggi, nell’era di Youtube che permette di pubblicare eventuali apparizioni di Madonne riprese dalla fotocamera del cellulare e diffonderle in tutto il mondo (Milani, p. 103), il miracolo non è più così consueto. La sindrome di San Tommaso porta i fedeli ad attaccarsi in tutti i modi a quei pochi, clamorosi miracoli non smentiti dalla Chiesa (da Fatima al controverso caso di Medjugorje), e a cercare il miracoloso nella vita di tutti i giorni. È una forma di voyeurismo cristiano, come l’ha definita qualcuno (Nickell, p. 240). Il messaggio di Cristo – “Beati coloro che crederanno senza aver visto” – non basta più. La secolarizzazione del mondo mette ai margini della nostra vita l’elemento mistico che, cacciato fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Se quindicimila persone si affollano sotto il telone del Palavesuvio, a Napoli, per condividere l’esperienza mistica di una delle veggenti di Medjugorje, non è per il puro desiderio di una preghiera collettiva: si vuole condividere la stessa visione della veggente, che – occhi al cielo – sembra senza dubbio
vedere la Madonna. Se ne convincono almeno coloro che, indemoniate, durante i pochi minuti di silenziosa conversazione tra la veggente e l’invisibile apparizione, prendono a urlare sconnessamente.
L’Ostensione della Sindone viene a colmare questo vuoto, l’assenza di miracoli. L’antropologo Alfonso Maria Di Nola, nella sua prefazione a uno dei testi più definitivi sulla “falsificabilità” della Sindone (detta alla Popper),
E l’uomo creò la Sindone di Vittorio Pesce Delfino (2000), ne ribadiva il carattere feticistico: “Il culto della Sindone – e quello delle reliquie in genere – resta un fenomeno barbarico che svilisce un grande messaggio religioso trasferendone il codice di trasmissione sul piano di una semiotica feticistica e selvatica” (Di Nola, in Pesce Delfino, p. 12). Se nel Trecento la Chiesa non aveva bisogno di questi aiuti artificiali per ribadire il suo potere religioso sui fedeli e sui potenti, e poteva permettersi di bollare il lenzuolo come un falso senza tanti problemi, oggi non è più così. La Chiesa deve ricorrere a portavoce imbarazzanti come lo speaker di Radio Maria, Padre Livio, strenuo difensore della veridicità di Medjugorje, perché solo così può riuscire a recuperare il terreno perduto. Il grande clamore mediatico intorno alla Sindone, oggi, permette di stendere un velo pietoso sugli scandali che stanno devastando la comunità ecclesiastica in tutto il mondo: non riuscirà a far recuperare al Vaticano il prestigio ormai perso, ma permetterà di far risorgere, almeno per un po’, la fede perduta del gregge, speranzosa che l’era dei miracoli non sia ancora finita.
:: letture ::
— Belting H. La vera immagine di Cristo, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.
— Cozzo P., Le mille e una Sindone, in “Micromega” n. 4/2010.
— Di Nola A.M., Nota introduttiva alla prima edizione, in Pesce Delfino V., E l’uomo creò la Sindone, Dedalo Edizioni, Bari, 2000.
— Frale B., I Templari e la Sindone di Cristo, Il Mulino, Bologna, 2009.
— Garlaschelli L., Perché la Sindone è un falso, in “Micromega” n. 4/2010.
— Lem S., Soljaris, 1961; tr. it. Solaris, Mondadori, Milano, 2007.
— Milani S., Il medioevo televisivo della Sacra Sindone, in “Micromega” n. 4/2010.
— Nickell J., Looking for a Miracle, Prometheus Books, New York, 1993.
— Odifreddi P. e Ghiberti G., Diavolo e acqua santa a confronto sulla Sindone, in “Micromega” n. 4/2010.
— Platone G., Il sacro business, in “Micromega” n. 4/2010.
:: visioni ::
— Portale multimediale sull’Ostensione della Sindone di Torino: http://www.sindone.org/santa_sindone/multimedia/00023935_Multimedia.html.
— Tarkovskij A., Soljaris, Urss, 1972; Solaris, Medusa Home Entertainment, 2006.