Lo scorso 14 marzo un’emittente privata della Georgia, la Imedi Tv, ha scatenato un pandemonio annunciando l’invasione del Paese da parte della Russia. Lanciando l’allarme con tono concitato, il conduttore del telegiornale indicava come ormai prossimi alla capitale Tbilisi i carri armati russi. Un falso mediatico genuino, avallato dalle immagini di colonne di tank in marcia, in realtà filmati di due anni fa, quando le forze armate di Mosca erano realmente entrate nel Paese in seguito all'intervento georgiano contro l'Ossezia del Sud. Per rendere il quadro ancora più drammatico, si dava per morto anche il presidente Mickhail Saakashvili. Risultato: panico totale tra la popolazione, allarme che si diffonde a macchia d’olio, linee telefoniche paralizzate per eccesso di chiamate, malori, svenimenti, insomma: paura. Il copione è identico a quello classico de L’invasione dei mondi di Orson Welles (adattamento dell’omonimo romanzo di Herbert George Wells), la cronaca radiofonica dell’attacco alla terra da parte dei marziani, andata in onda nel 1938. È un fatto grave, la guerra non è uno scherzo, in Georgia si è combattuto dal 7 al 16 agosto del 2008, quando le truppe di Mosca si sono fermate. Non ragioniamo di politica internazionale, però, piuttosto osserviamo l’evento mediatico e le reazioni rachitiche che ha suscitato. Il giorno dopo, il Corriere della Sera, ad esempio, vi ha dedicato una pagina (la 17), neanche intera, considerata la pubblicità al piede, riepilogando gli avvenimenti e affidando a un super compassato Aldo Grasso la riflessione sull’avvenimento e la spiegazione di perché un artificio del genere possa passare per vero. Una notizia come un’altra. Opinione pubblica disincantata? Forse, si direbbe che ormai la realtà televisiva non crei alcuna emozione in Occidente. Può creare scompiglio in mondi arretrati, in via di pseudo sviluppo, ma non tra la smaliziata opinione pubblica delle civiltà più emancipate, abituate al girotondo dei ruoli, spettatori e protagonisti, allenati da reality e altri formati trash dove il confine tra il vero e il falso è, ormai, neanche un ricordo.
Facciamo un salto indietro di
circa tre mesi, quando il 18 novembre 2009 la rivista Wired
Italia ha lanciato il progetto Internet for Peace candidando
ufficialmente il Web al Premio Nobel per la Pace 2010.
Qui
siamo dall’altra parte del mondo, in quello avanzato,
postmoderno, connesso, inebriato e incantato dalla rete,
dall’high-tech. Ci troviamo nel dominio del tecnognosticismo,
dove cyberdelici e cybercreduloni di ogni genere si impegnano nel
costruire (o più precisamente a immaginare)
l’oltrepassamento della natura attuale dell’uomo,
quasi come un biblico popolo eletto virtuale, e nel farlo si ritrovano
anche in compagnia di uno sciame di affaristi, ciarlatani, imbonitori,
piazzisti della rete e delle sue virtù. Sorvolando sulla
quota di internet detenuta dalla pornografia, si può certo
definire ammirevole la pensata di Wired, un mix ben riuscito di
tecnognosi (il target) e marketing (del prodotto Wired). Fatto sta che
la candidatura di Internet a Premio Nobel per la Pace 2010,
è passata.
Ebbene, la finta invasione della Georgia e la vera candidatura
di Internet ci raccontano molto dell’attuale. Ci dicono di
come il capitalismo della conoscenza matura e convive con la sua
periferia globale. Un racconto che si può leggere
nell’uso diverso dei due media globali e
dell’ideologia che li anima.
La
televisione ha sempre nella simulazione, nella manipolazione, nella
ricostruzione della realtà, le sue armi migliori, ma nei
confronti del pubblico più disincantato paga dazio, deve
alzare il tiro, alimentare sempre violenza, cattivo gusto e guerra, dai
reality agli scontri dentro e fuori lo stadio, dalle
pubblicità con i morti viventi (Mike Bongiorno o John
Lennon) fino alla finta invasione militare. La televisione ha un
pubblico, una massa di telespettatori, al massimo dei target, profilati
in maniera sempre più sofisticata, ma pur sempre dei gruppi,
degli insiemi.
Internet, al contrario, è
paradossalmente il ritorno della realtà. Se lo dice la
televisione è vero, si afferma grossomodo in un recente spot
che vede Fiorello come testimonial. Falso, se lo dice internet
è vero, sono i blog e l’intera pletora dei social
network ad essere autentici. Internet è fatta da utenti,
singoli, individualità, magari doppiate, triplicate, ma
singoli io. Internet denuncia la violenza (o desidera mostrarne quella
autentica?), la combatte, soprattutto quella che subisce la propria
libertà d’azione in quanto medium. Internet
è discussione, dibattito, chiacchiera, sproloquio,
conversazione, è il ritorno della parola nella
civiltà dell’immagine. È
l’ideologia di internet. È come i suoi attori se
la rappresentano, è l’ideologia che la televisione
non ha. O meglio non esiste una versione aggiornata, una televisione
2.0, il mezzo è agito ancora dalla logica dei quindici
minuti di Andy Warhol. In questo senso, non si dà una
tele-visione del mondo, ma tante piccole, spicciole Weltanschauungen.
Ciò rende possibile inventarsi una guerra in
tivù, poiché non c’è nessuna
ideologia della televisione in grado di rendere impensabile
un’azione mediatica del genere. Al contrario, è
proprio l’esistenza di un’ideologia della rete che
consente di eleggerla a soggetto pacifista e di conseguenza a candidato
per il Nobel. Nella rete si rianima la realtà, laddove la
televisione, impunita, l’aveva uccisa e soppiantata.
Però, se la televisione si era sostituita alla
realtà, la rete che cosa ha riesumato? Il sospetto di essere
al cospetto di un altro bipolarismo simulato, è fondato. Un
bipolarismo dove si può giocare in qualsiasi momento a parti
invertite, dove la rete ospita l’immonda piaga della
pedofilia e la televisione la denuncia, dove un presentatore
tivù georgiano si fa autore di una pièce
situazionista e il direttore di una rivista patinatissima battaglia
come un militante terzomondista. Proponiamoli entrambi per un altro
Nobel, quello della letteratura, per l’encomiabile sforzo
profuso per il rilancio del teatro dell’assurdo.