Pare impossibile che la critica italiana abbia potuto confrontarsi per decenni con l’opera di J.R.R. Tolkien senza avere sotto mano la base stessa del suo legendarium, com’egli amava chiamarlo. E la base della produzione letteraria di Tolkien sta tutta nella sua lunghissima attività di studioso del medioevo e della sua letteratura. L’uscita per le Edizioni Mediterranee di Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Perla e Sir Orfeo nelle versioni curate da Tolkien permette finalmente di gettare luce sul “suo” medioevo, e su come questo abbia influenzato la creazione della Terra-di-Mezzo e, in prospettiva, del fantasy contemporaneo. Del resto, diceva qualcuno, si scrive solo di ciò che si conosce: e il professor Tolkien, uomo di scarsi contatti sociali (il rigido tutore cattolico, padre Morgan, gli vietò i contatti con la futura moglie Edith fino ai ventuno anni), che amava dedicarsi allo studio di lingue morte e alla lettura di leggende nordiche, trovò in quei soggetti – che divennero poi materia di studio e insegnamento accademico a Oxford – le basi per le sue opere letterarie. Ma il medioevo di Tolkien non è quello divulgato dai successivi studiosi della scuola francese delle Annales, come Henri Pirenne, Georges Duby e Jacques Le Goff. Né il medioevo, pur spesso fantasioso ma storicamente corretto, di un altro scrittore-medievista di fama mondiale come il nostro Umberto Eco. È un medioevo in cui gli elementi fantastici fanno da padroni, in cui dominano gli eroi e le loro gesta; è il medioevo in cui nascono i poemi anglosassoni del Beowulf, di cui Tolkien fu tra i massimi studiosi, e del Sir Gawain, che fa da sfondo ai grandi miti nordici dell’Edda, un medioevo trasfigurato in cui domina il mito.
Con notevole precisione Sebastiano Fusco e Franco Cardini, il primo traduttore dell’edizione nostrana del Sir Gawain e il secondo medievista di fama internazionale, leggono nei testi medievali curati dal professore di Oxford le radici del suo legendarium. A partire dalla dizione “terra-di-mezzo” che troviamo nel Sir Gawain, per descrivere il regno di Artù in Bretagna, e che Tolkien traduce dall’antico inglese con la definizione che diventerà universalmente nota con il Signore degli Anelli. Del resto la “terra-di-mezzo” ricorreva anche nell’immaginario medievale per descrivere il mondo terreno, dove si consuma la breve vita dei mortali prima di raggiungere l’Altro mondo dove alberga Dio. Le creature che affollano l’avventura di Gawain sono tradotte da Tolkien con nomi che diverranno poi celebri nella letteratura fantasy: il Cavaliere Verde è prima descritto come “quasi un troll”, poi come “un elfo umano”; Gawain affronta draghi, troll dei boschi e orchi; la Cappella Verde viene definita una sorta di “tumulo”, come quelli che nel Signore degli Anelli incontrano gli Hobbit usciti dalla Vecchia Foresta (Tumulilande, appunto). Certo tali creature fantastiche venivano da Tolkien riprese dalla mitologia norrena, che in realtà poco aveva a che fare con il ciclo delle leggende arturiane; e certo gli elfi piacevano molto a Shakespeare, che li fece diventare popolari nel folklore britannico moderno (per quanto Tolkien non fosse un grande estimatore del massimo poeta inglese). Ma questo mescolamento di elementi fantastici dà una prima idea dell’approccio di Tolkien al medioevo, un mondo in cui dominano le regole cortesi (delle quali Gawain è il massimo rappresentante), la spiritualità e la fede, il legame filiale tra sovrano e vassallo, o tra padrone e ospite.
Sono questi stessi temi, estrapolati dalla sensibilità dell’epoca medievale, che ritorneranno accentuati nell’epoca del romanticismo, durante il quale il medioevo è riscoperto e rivalutato nella sua distanza dal periodo cosiddetto “moderno”, dominato dalla rivoluzione industriale e dall’ascesa del materialismo. Autori come Richard Wagner, Novalis, personalità come Ludwig II di Baviera leggeranno nel medioevo, in pieno Ottocento romantico, un mondo oscuro (la dark age) contrapposto al mondo dell’Illuminismo dove la luce rende i contorni netti, impendendo alle ombre della notte di dare forma ai sogni più folli che popolavano le coscienze millenariste del medioevo. È perciò nel medioevo re-inventato dei romantici che Tolkien attinge a piene mani per il Signore degli Anelli, aprendo la strada al fantasy moderno, e lo dimostra il suo interesse verso una letteratura medievale dai toni fantastici, quella del Beowulf e del Sir Gawain, che egli rivaluta e difende dallo snobismo della critica medievista tradizionale. Non il medioevo in sé, ma l’immaginario medievale riscoperto nell’epoca romantica di cui Tolkien è tardo esponente, diventa la base della sua opera, in cui è l’immaginazione – non a caso – l’ingrediente essenziale, com’egli rivela nella sua idea di “sub-creazione”. A tale riguardo scrive Le Goff: “Il Romanticismo resuscita le leggende e i miti del Medioevo, li fa rinascere nell’immaginario, fa di essi una leggenda aurea” (Le Goff, 2005). Seguendo gli illuminanti suggerimenti di Le Goff in un suo fondamentale studio sull’immaginario medievale, Eroi & Meraviglie del Medioevo, è possibile entrare nella fucina stessa del fantasy e della sua particolare visione del medioevo di cui Tolkien fu il primo e fondamentale interprete.
La figura fondamentale che emerge da questa comparazione è inevitabilmente quella di Artù. Il sovrano bretone protagonista di numerose storie poi raccolte nel “ciclo arturiano”, e che compare anche nel Sir Gawain essendo il personaggio eponimo uno dei suoi mitici cavalieri della Tavola Rotonda, è del resto il sovrano per antonomasia che costituisce l’immagine tolkieniana del “buon re”, addirittura re-guaritore com’è Aragorn (il re-guaritore è uno dei topos dell’immaginario medievale, che si regge sullo stereotipo paternalistico del sovrano). Artù è il rex quondam rexque futurum, addirittura l’unico personaggio dopo Gesù Cristo di cui il popolo medievale auspicava il ritorno dopo la morte, come sarà poi per Federico Barbarossa. Così è per il Re di Gondor, la cui stirpe si estingue con la morte di Isildur: in attesa del “ritorno del Re”, il trono di Gondor è vuoto e un semplice sovrintendente dirige le sorti del regno. Sarà Aragorn, erede diretto di Isildur, a ritornare sul trono dopo aver accettato il suo destino. Non a caso il ritorno (che dà il titolo al terzo volume dell’opera, appunto Il Ritorno del Re) è simboleggiato dalla riforgiatura della spada Narsil, così come Artù diventa re dopo aver estratto Excalibur dalla roccia. Il romanticismo veicola del resto l’immagine di Artù grazie al poeta Alfred Tennyson con il suo Morte d’Arthur e The Idyllis of the King, e ai pittori preraffaelliti Dante Gabriel Rossetti e Edward Coley Burne-Jones. Da Tennyson, Tolkien riprende l’immagine morente di Artù, il cui corpo viene sepolto nella fantastica isola di Avalon: nelle “Appendici” al Signore degli Anelli, il brano della morte di Aragorn è quanto di più squisitamente romantico possa esserci nel XX secolo: “Allora in lui si rivelò una grande bellezza, e tutti coloro che vennero a guardarlo l’osservarono con meraviglia, perché videro che la grazia della sua gioventù, il coraggio della virilità e la saggezza e maestà della vecchiaia erano fusi in uno. Egli giacque a lungo là, immagine dello splendore dei Re degli Uomini immersa nella gloria raggiante precedente il crollo del mondo.” (Tolkien, 2004). Impossibile non immaginare la scena avendo davanti agli occhi il dipinto di Burne-Jones, The Last Sleep of Arthur in Avalon.
Ad Artù, l’immaginario medievale/tolkieniano associa la figura del “cavaliere”, Gawain, senza macchia e senza paura. Senza macchia, perché resiste alle tentazioni offertegli dalla castellana che si rivelerà poi essere Morgana, ansiosa di coglierlo in fallo; senza paura, perché non ha timore di affrontare draghi e troll, e in ultimo la sfida del Cavaliere Verde (anch’esso, pur mostruoso, un vero cavaliere in quanto onora le regole della sfida). I cavalieri della Tavola Rotonda incarnano, nel medioevo, gli ideali della società: come gli uomini di Chiesa, si mantengono fedeli a Dio e casti perché mossi da valori superiori (si pensi alla ricerca del Graal, simbolicamente ricerca della spiritualità incarnata in un oggetto), ma a differenza di essi non ignorano il fascino dell’altro sesso verso il quale imbastiscono complessi e cerimoniosi corteggiamenti: le “regole cortesi”. In questo senso Aragorn è, prima che Re, cavaliere: come i cavalieri medievali è un errante (un Ramingo, nella terminologia di Tolkien), in cerca di avventure che diano senso alla propria vita. Corteggia teneramente Arwen, che pur essendo figlia di Elfi a lui dona la propria immortalità; Aragorn vuole rifiutarla per salvare la vita immortale di Arwen, ma cede infine al suo amore. Il corteggiamento cortese ritorna anche nella breve storia che s’intreccia nelle ultime pagine del romanzo, tra Eowyn, nipote di re Theoden, e Faramir, figlio del sovrintendente di Gondor. Entrambi in cerca di gloria e fama, ma alla fine convinti che l’amore l’uno per l’altra basti per appagare la propria vita. Una figura emblematica dell’immaginario medievale, Riccardo Cuor di Leone, unisce in sé i caratteri del Re e del Cavaliere. Impegnato nelle grandi crociate in Terra Santa, in cui dà prova del suo carattere cavalleresco nell’Impresa per definizione – la liberazione del Sepolcro di Cristo dagli infedeli –, Riccardo Cuor di Leone diventa poi sovrano amato e rispettato al ritorno in patria nella sua Inghilterra. Una figura a cui Tolkien s’ispira per il personaggio di Theoden, sire di Rohan, un regno dove non a caso i cavalli sono la risorsa più importante e ogni uomo è al contempo suddito e cavaliere. Per restituire a se stesso l’onore macchiato, Theoden torna a cavalcare e a combattere le forze del Male finché sarà ucciso in battaglia. La poesia che Aragorn recita quando per la prima volta entra nel regno di Rohan rappresenta in pieno la nostalgia romantica verso un passato cavalleresco ormai perduto:
Dove sono cavallo e cavaliere? Dov'è il corno dal suono violento?
Dove sono l'elmo e lo scudiero, e la fulgida capigliatura al vento?
Dov'è la mano sull'arpa, e il rosso fuoco ardente?
Dov'è la primavera e la messe, ed il biondo grano crescente?
Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna;
I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d'ombra bagna.
Chi riunirà il fumo del legno morto incandescente?
Chi tornerà dal Mare e potrà mirare il tempo lungo e fuggente?
Non si può poi certo ignorare il personaggio di Merlino, che ad Artù contende il ruolo di protagonista dell’immaginario del Ciclo Bretone. Figura tormentata e divisa tra Bene e Male, tessitore di trame e servo fedele, Merlino viene ripreso da Tolkien diviso in due personaggi: Gandalf da una parte, il mago che mette i suoi poteri al servizio del Bene, e Saruman, il suo compagno che cede al fascino del Male e cerca di conquistare il potere dell’Unico Anello. Quando Le Goff, smentendo Paul Zumthor, nega che “Merlino stia per sparire dall’immaginario medievale”, forse ha in mente proprio il modo con cui Merlino si è trasformato nell’odierna immagine del mago incarnato da Gandalf: “Folta barba grigia, cappello a punta”, come lo definisce sinteticamente Omorzo Cactaceo nel Signore degli Anelli cinematografico di Peter Jackson, altri non è che l’odierna metamorfosi dello stregone. E proprio nelle pagine del Sir Gawain troviamo un curioso esemplare del bestiario medievale: Renart, la Volpe, trasfigurata nelle sembianze di mostro d’impareggiabile astuzia. È l’oggetto di una delle tre battute di caccia dell’anfitrione di Gawain, che riesce a catturarla dopo non pochi sforzi. Tolkien la omaggia in una delle pagine iniziali del Signore degli Anelli, che a molti commentatori è parso fuori posto: quello di una volpe dotata di raziocinio che, imbattutasi negli Hobbit in fuga dalla Contea, s’interroga sulla meta del loro peregrinare.
Tolkien resta fino in fondo “romantico” nel sentire il medioevo, e il fantasy contemporaneo rielaborerà attraverso di lui lo sfondo imprescindibile per ogni romanzo di questo genere letterario. Si pensi alla maestosa immagine delle montagne innevate, che Le Goff nel suo volume, commentando un quadro di epoca romantica, sostiene non essere presente nell’iconografia medievale: le Montagne Nebbiose affrontate dalla Compagnia dell’Anello sono pienamente parte dell’immaginario romantico, non di quello medievale. E infine si pensi all’assenza di castelli nell’opera di Tolkien, castelli che invece sono forse il simbolo per antonomasia del medioevo e ripresi anche in tanti romanzi di gusto fantasy (Terry Brooks, per esempio, dà al castello importanza fondamentale: è quello di Paranor in cui sono racchiuse le conoscenze dei Druidi). In realtà qualcosa di somigliante al castello è presente nel Signore degli Anelli: le due torri di Isengard e Barad-dur. Ma più che castelli sono appunto torri, o meglio guglie. Fondono insieme le suggestioni del castello e della cattedrale, altri due simboli studiati da Le Goff; e sanciscono meglio di ogni altra cosa il desiderio di Assoluto, di quello streben che sarà uno dei leit-motiv del romanticismo, e che domina tutte le pagine dell’opera di Tolkien. L’Assoluto simboleggiato dal potere dell’Anello è il desiderio di completezza, di superiorità rispetto al mondo terreno, che ogni spirito romantico anela fino alla consunzione, e che Tolkien recupera come tema fondamentale dell’ultima grande opera romantica del XX secolo.
:: letture ::
— Cardini F., Attraverso i simboli di Sir Gawain e il Cavaliere Verde, in Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Perla e Sir Orfeo, Edizioni Mediterranee, Roma 2009.
— Le Goff J., Héros & merveilles du Moyen Age, trad. it. Eroi & Meraviglie del Medioevo, Laterza, Bari-Roma, 2005.
— Paura R., Tolkien, l’ultimo dei romantici, www.fabbricantidiuniversi.it/tolkien.
— Tolkien J.R.R., The Lord of the Rings, 1955, trad. it. Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano, 2004.
— Tolkien J.R.R., Sir Gawain and the Green Knight, 1975, trad. it. Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Perla e Sir Orfeo, Edizioni Mediterranee, Roma 2009.