The Host
di Bong Joon Ho
Lungo le rive di un fiume inquinato può capitare di imbattersi in strane creature. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Seoul che fanno presto conoscenza con un essere mostruoso, una specie di pesce-gatto con una bocca enorme e una coda lunghissima che usa come se fosse un pipistrello per starsene a testa in giù, sospeso sotto i ponti, o per afferrare comodamente le sue prede. Un ibrido tra
Predator e Alien, anche per le abitudini di caccia, conservazione e consumo delle vittime nella tana che si ricava tra i condotti delle fognature. È il frutto della sciagurata decisione di una base americana di riversare nel fiume Han, che passa appunto per Seul, una quantità industriale di formaldeide. Preambolo di sapore ambientalista per una storia senza happy end, con un buon numero di citazioni e che, a sua volta, subisce nello sviluppo della vicenda diverse mutazioni, passando dal genere b-movie sui mostri a film sulle dinamiche familiari, alternando commedia e tragedia, non dimenticando di essere anche un action movie, un film di denuncia con tanto di corteo e sulle catastrofi, poiché si suppone che il mostro sia ospite di un virus, scatenando panico e prevenzione di massa. La famiglia in questione, co-protagonista con l’orrendo essere è quella di Gang-du, un tizio un po’ tonto che gestisce un baracca/punto di ristoro sul fiume. Nel suo primo attacco di massa il mostro marino rapisce la sua figlioletta Hyun-seo. Gang-du aiutato dal fratello più scaltro, laureato e disoccupato frustrato, da sua sorella membro della nazionale di tiro con l’arco e dal loro padre – che ha la stoffa dell’eroe come si – vedrà, si mette alla ricerca della piccola. Quanto alle citazioni si va dall’antesignano Godzilla a
Brazil, cui rimanda l’angosciante scena del tentativo di operazione al cervello di Gang-du, per non dire dell’incessante pioggia bladerunneriana. Avvalendosi anche di un’eccellente utilizzo della computer graphic il film è ben girato, superando anche la difficile prova delle sequenze che vedono protagonisti Hyun-seo e un bambino più piccolo di lei, uniche prede ancora in vita nella tana del mostro, mostrando notevole misura nel tratteggiare il rapporto tra i due. |
titolo The Host
regia Bong Joon Ho
principali interpreti Song Gang-ho, Byeon Hee-bong, Park Hae-il, Bae Doo-na, Ko A-sung
casa di produzione Enjoy
Movies
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Ember - il mistero della città di luce
di Gil Kenan Tratto dal fortunato romanzo di Jeanne DuPrau, il film narra le vicende di due giovani, Lina e Doon, abitanti della città di Ember. Costruita più di duecento anni prima da un gruppo di scienziati per preservare la vita umana dall’apocalisse, essa si trova sotto terra ed è illuminata da lampadine la cui energia proviene da una centrale idroelettrica di cui nessuno conosce il funzionamento. Il segreto di Ember, sconosciuto ai suoi abitanti, è preservato dai Sindaci della città, che ereditano dai loro predecessori una cassetta sigillata a tempo con all’interno le istruzioni per uscire da Ember
e tornare nel mondo al di sopra. Ma la cassetta viene smarrita per secoli, per
essere poi ritrovata dai due protagonisti. Il tema della città come micro-universo costruito a tavolino e di cui gli abitanti ignorano l’origine è vecchio nella fantascienza e ha suggestionato autori come Frederik Pohl (Il tunnel sotto il mondo, 1955) e Philip Dick (Tempo fuor di sesto, 1959), nonché sceneggiatori come Andrew Niccol (The Truman Show, 1998). L’idea di una realtà al di sopra dell’esperienza sperimentata quotidianamente, che si scopre essere essenzialmente fittizia, è di gran lunga più vecchia (risalente probabilmente a Platone con il mito della caverna, rivisto in chiave fantascientifica in
Matrix), e ben si associa con la metafora della luce che illumina le tenebre, la conoscenza a lungo negata, la libertà da un universo concentrazionario (qui la scena conclusiva non può non ricordare, benché più prosaica, il finale-cult di
THX-1138 di Lucas). Tutto questo si ritrova in Ember, storia forse non originalissima, ma molto ben costruita e ricca di fascino, dove non mancano – come ha intelligentemente osservato la critica Marianna Cappi – elementi simbolici, oltre al binomio luce-tenebra: i fili di lana della nonna di Lina, la rete delle tubature a cui lavora Doom, il ruolo di messaggera di Lina stessa, che suggeriscono il vero male di Ember, ossia la mancanza di rapporti veri. Ingenuità e semplicismi abbondano in questo come in tanti altri film fantasy, ma
Ember ha il merito di riuscire a interessare lo spettatore, a non esagerare negli effetti speciali e a non riservare un bacio finale tra i due protagonisti – scelte che di questi tempi non sono da poco. |
titolo Ember - il mistero della città di luce
regia Gil Kenan
principali interpreti Saoirse Ronan, Harry Treadaway, Bill Murray, Tim Robbins, Marianne Jean-Baptiste, Toby Jones, Martin Landau
casa di produzione Eagle
Pictures
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Revolutionary Road
di Sam Mendes
Storia di Frank e April, i coniugi Wheeler che coronano la loro storia d’amore sposandosi, avendo due figlie e trasferendosi in una deliziosa villetta a due piani con giardino nella Revolutionary Road, stradina al termine di uno sciapo quartierino residenziale nel Connecticut. Siamo a metà degli anni Cinquanta, la coppia dei Wheeler è ammiratissima in pubblico, piacciono, sono intelligenti, amabili, diversi, ma dietro le mura di casa la faccenda è un’altra. Lui è un impiegato ordinario, pendolare, in attesa di illuminarsi sulla via di Damasco, lei ha rinunciato all’ambizione di intraprendere una carriera di attrice teatrale e si illumina sulla via di Parigi, dove immagina di poter rivitalizzare un rapporto che è già finito. Un piccolo grande sogno, trasferirsi nella metropoli francese, dove lei si dice disposta a lavorare in attesa che lui trovi dentro di sé la vera vocazione professionale. Un dono, prima accettato poi rifiutato che farà precipitare tutto. Tratto da un romanzo di Richard Yates, il film è un’inesorabile discesa nella follia girata magistralmente dal regista di
American Beauty, che pur adoperando una serie di cliches connaturati alla crisi di coppia, come il tradimento incrociato (lui con una segretaria, lei con il vicino di casa), punta e riesce a tratteggiare un autentico desolante panorama esistenziale. Anche il ricorso al
fool che vede e spiega la vera natura delle cose, il figlio matto dell’invadente agente immobiliare che a suo tempo propose ai Wheeler l’acquisto della casetta di Revolutionary Road, rifugge dall’artefatto e regala scambi di battute fulminanti. Infine, è da antologia la scena della finta riconciliazione a base di uova strapazzate e la successiva sequenza dell’emorragia da aborto fatto in casa che sembra nascere da un insano incrocio tra
Shining e un quadro di Edward Hopper, valendo da sola l’intera visione del film. Da vedere, anche solo come cura omeopatica ai lacrimoni da
Titanic, qui, undici anni dopo, Leonardo Di Caprio e Kate Winslet ce la mettono proprio tutta nel fare a pezzi quella cosa chiamata amore e quell’altra chiamata american way of life, riuscendoci perfettamente. |
titolo Revolutionary Road
regia Sam Mendes
principali interpreti Leonardo DiCaprio, Kate Winslet, Kathy Bates, David Harbour, Michael Shannon
casa di produzione Paramount
Home Entertainment
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