Quando anche il latte ebbe una vita spericolata… con tutte quelle bollicine |
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di Gennaro Fucile |
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C’era una volta, molti anni fa, un curioso dibattito sullo smarrimento dell’identità, sulla vaporizzazione dell’Io: il più grave tra i misfatti invisibili della postmodernità, si congetturava allora. Avveniva molti anni fa, quando già l’uomo occidentale aveva contratto la nostalgia per il vecchio caro futuro che, a sua volta, si era volatilizzato portandosi via un bel po’ di gadget, teorie e sogni. L’uomo occidentale smarrito non si perse d’animo, uscì dal mondo ed entrò nel mercato, anzi nei mercati, facendo incetta di personalità multiple, tante quanti sono i target per cui è divisibile un Io. Oh les beaux jours, quando il Sé entrò davvero nella maturità! Dopo aver oltrepassato lo stadio della semplice costruzione sociale e aver vagato in un eterno presente in nessun luogo, ecco che venne sostanziato da uno sciame di identità coronando il lavoro quasi secolare delle industrie di marca, il loro incessante trasmettere a qualsiasi costo, qualsivoglia storia, nutrendo il bisogno collettivo di narrazioni da parte di un’imprecisata popolazione di consumatori. Sembrava andare tutto bene, perlomeno sul piano dell’immaginario, il resto qui non rientra in questa cronaca. Sembrava, ma accadde qualcosa che rimescolò di nuovo le carte. Alcuni lo ricorderanno, quest’anno ricorre il cinquantenario di quel traumatico evento. Era il luglio del 2009, quando la Coca-Cola annunciò di aver iniziato il test della sua nuova bevanda a base di latte scremato, acqua frizzante, zucchero di canna e aromi di frutta: Vio. Furono tre le città campione: New York, Los Angeles e San Francisco. Il lancio di un nuovo prodotto, insomma, in una bottiglietta da 327 millilitri d'alluminio satinato bianco e disponibile in quattro gusti: limone, pesca-mango, frutti di bosco e tropicale. Ogni bottiglietta, dissero quelli della multinazionale di Atlanta, garantiva il 15% del calcio necessario ogni giorno, oltre alla vitamina C antiossidante. Vio faceva parte del progetto Pro Life, linea di prodotti concepita per promuovere il consumo di latte. Fu così che andò in crisi la personalità, l’individualità, il sé del prodotto alimentare per eccellenza, simbolo di grande suggestione, potenza, ancestralità, puf!, tante bollicine e il latte smarrì il suo Io. |
Non era, in effetti, una faccenda nuova, molti avevano perso la bussola prima del latte, molti prodotti, s’intende. I cellulari, ad esempio vennero iniziati presto alla multifunzionalità, gli yogurt non furono da meno, fu una transizione che portò un bel po’ di creazioni umane a trasformarsi in tuttofare, faccendieri, spesso anche un po’ figli dell’arte di arrangiarsi. Niente di male, ma la faccenda di Vio cambiò di nuovo le regole del gioco, poiché non alterò un prodotto, le sue funzioni, le proprie caratteristiche e non fu soltanto una questione di ingredienti e di processi industriali. No, o almeno non fu principalmente questo. Vio intaccava, mutava nel profondo un simbolo, forse il più remoto. Pensiamo che il mondo origina da un oceano di latte secondo i Veda e, guarda un po’, noi facciamo parte della Via Lattea. C’è di più, il latte si lega ad un altro simbolo remoto, il sangue, ed entrambi scorrono nella figura della Grande Madre, poiché il sangue mestruale segna il passaggio dalla fanciulla alla donna, poi nel parto il sangue diventa simbolo della vita e della generazione e il latte stesso che nutre il bambino proviene dalla madre, nella quale alberga il mistero di saper trasformare il sangue in nutrimento. Sorge qui la Grande Madre: “la magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l'ineluttabile”, come scrisse Carl Gustav Jung. Insomma, c’era parecchio retroterra dietro quella complessa personalità lattea che andò in crisi perché, sostenne tempo addietro Martin Heidegger: “l’essenza della tecnica non è tecnica”. Poi, lo sapete, le cose sono andate come sono andate e ora eccoci qui… |
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