logo [ torna a orientamenti ]

NEL CUORE E NELL'ANIMA stampa

Un numero speciale,
una donna fuori dal comune
e una dozzina di cartoline
pameladi Gennaro Fucile

Un tema da svolgere come quelli che ogni estate si ritrovano gli studenti alle prese con la maturità, la prova scritta a partire da una traccia vaga quel tanto che basta per poterla un po’ tradire, oppure, un leit-motiv da eseguire anche apportando delle variazioni. Il numero di Quaderni d’Altri Tempi che avete virtualmente tra le mani è nato così, chiedendo ad alcuni dei nostri collaboratori di raccontare un frammento del proprio immaginario, un luogo dell’anima, spazi in qualche modo legati all’arte e interiorizzati, non più separabili dal proprio io. Ecco il motivo per cui abbiamo preso a prestito il titolo di una vecchia canzone di Mogol/Battisti, portata al successo dall’Equipe 84, per dare un nome a questo Speciale. Ne potete apprezzare un frammento mentre scegliete dove dirigervi tra le dodici cartoline che ne sono saltate fuori. Un numero concepito diversamente dal solito andava anche dotato di una struttura e di una veste grafica diversa. Insomma uno Speciale, niente di più. Per la verità, questo numero avrebbe dovuto essere dedicato all’avvenimento epocale, che un po’ tutti ricordano quest’estate, l’allunaggio, avvenuto quarant’anni fa. Noi ne abbiamo parlato intenzionalmente nel primo numero di quest’anno, perché per natura agiamo in un tempo dickianamente fuori di sesto. Qualcosa di quella strana estate però, l’abbiamo dimenticata e qui sarebbe utile ricordarla: uno strano andirivieni che si verificò tra i corpi celesti. Ci fu il viaggio che portò i due alieni provenienti dal pianeta Terra a passeggiare sulla superficie lunare, anzi a saltellare come dei canguri. Piccoli balzi piuttosto goffi, ma solo in apparenza, trattandosi in realtà di un rituale magico di straordinaria potenza, capace di sprigionare una forza talmente grande da abolire il futuro. Ci fu anche, però, un altro viaggio, che invece condusse da località varie e sconosciute circa cinquecentomila alieni in una località campestre dello Stato di New York. Il posticino anonimo si chiama Woodstock e fece da teatro ad un altro rituale di tale potenza da segnare per sempre la storia degli uomini: la fine delle generazioni e l’ingresso nell’era della categoria, del pubblico, del target giovani.
Gran parte dell’assortimento culturale che oggi pervade il quotidiano in Occidente ha le sue radici in quei tre giorni che, non senza traumi, iniziarono a rendere istituzionale la rivoluzione culturale che si era fatta largo nel corso di tutto il decennio e di cui l’industria dell’intrattenimento prima e l’intero universo dei consumi poi si sarebbe progressivamente appropriato. 
Non tutto avvenne immediatamente, all’epoca, l’immaginazione era ancora ambiziosa, volava altissima, disinvolta, le contraddizioni erano ovunque e davvero era grande il disordine sotto il cielo. Una strepitosa prova di ciò risale proprio al 1969, anno in cui una certa Lucia Pamela, nata a St Louis, nel Missouri, il 1° maggio del 1904, registrò il primo e unico disco della sua lunghissima vita (ci ha lasciato a 98 anni, nel 2002). L’ellepì si intitola Into Outer Space With Lucia Pamela. La musica è quanto di più strampalato si possa immaginare, qualcosa come filastrocche interpretate con un piglio punk ante litteram a ritmo di ragtime e con condimento di strane sonorità, come quelle che amava sperimentare Sun Ra, musicista proveniente da Saturno, a sentir lui. Fin qui siamo nell’orbita di un’ordinaria follia, Lucia Pamela fa parte di diritto di quella ristretta congrega di artisti autori di incredibly strange music, per usare un’indovinata definizione della rivista RE/Search. Allora perché ricordare Lucia Pamela? Ebbene, perché lei, che all’epoca aveva già sessantacinque anni, sostenne e mai smentì di aver registrato il disco sulla Luna. Non solo, ebbe anche modo di lamentarsi dell’acustica lunare, che faceva suonare “ogni cosa in modo differente da qui”, come lei stessa annotò. Diamine, una signora, che sembrava prelevata da chissà quale casa di bambole, che arrivò al termine della sua vita ad avere una quarantina tra nipoti e pronipoti, come fece a spararla così grossa? Era un po’ lunatica… forse, oppure il tutto fu frutto di una necessità sotterranea della Storia: quella di esigere metafore esagerate in occasione delle grandi svolte. In questo caso, chi meglio di una nonna poteva esprimere il tramonto di un’epoca, realizzando l’ultimo sbarco immaginario sulla Luna degno di essere ricordato? Comunque sia, ormai è un’avventura dimenticata, Lucia Pamela, oggi, sembra uno di quegli astronauti morti, orbitanti intorno alla Terra, che abitano nei racconti di James Ballard, un esperto in morte del futuro. Figure spettrali che ognuno di noi può scorgere, in queste sere d’estate, senza bisogno di avere un grande cielo stellato. Basta uno specchio e imitare il gioco degli specchi del telescopio, in modo da far emergere dal nostro spazio interiore queste immagini, magari cogliendo per un attimo anche la bizzarra Lucia Pamela, o un luogo caro al nostro immaginario, come è avvenuto per ognuno degli autori di questo numero.