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NEL CUORE E NELL'ANIMA stampa

[ MIAMI ]
miamidi Stefano Bory


Tonight is the night. 

And it's going to happen again. And again. 

Has to happen. Nice night. Miami is a great town.

I love the cuban food, pork-sandwich, my favourite.

But I'm hungry for something different now...*

(Dexter, episodio 1, prima serie)


 
Miami è chiamata dagli americani “la porta delle Americhe”. Si tratta di una città non estremamente popolata dentro le mura (circa un mezzo milione di abitanti), ma la zona urbana che la comprende è la quarta degli Stati Uniti dopo New York, Los Angeles e Chicago. Ma più della taglia della città, più del suo aspetto quantitativo, è nella sua “forma”, simmellianamente parlando (Simmel, 1995), che si riconosce il valore aggiunto di questo luogo dell’immaginario. Affacciata sulle isole Bahamas, vicina a Cuba, alla Repubblica Dominicana, a Porto Rico, come nessun altro luogo americano – e soprattutto come nessun altro porto americano –, Miami non è solo il sogno vacanziero raramente realizzabile fatto di spiagge e palme, navi da crociera, aragoste e mohito. È anche la città di frontiera tra il mondo yankee ed il sogno – anch’esso non sempre realizzato – dei migranti clandestini provenienti dalle prossime terre dell’America Latina. Uno spazio di melting pot dove si incontrano principalmente queste due culture, dove si parla tanto spagnolo quanto americano, dove si realizza nello spazio e nelle dinamiche della sfera pubblica un confronto continuo tra due mondi. 
Si tratta di una città dell’immaginario, con i suoi hotel-grattacielo, le sue tipicamente americane ville in città, i suoi locali notturni dove si alternano continuamente musica dance ed orchestrine salsa, il suo incredibile commercio di droga. Si tratta di uno spazio metropolitano dove la spiaggia si oppone e si incontra con l’avenue, dove l’estate resiste al passare delle stagioni, dove la percentuale di atti criminali supera nettamente la media nazionale (19 omicidi per 100.000 abitanti, contro i 7 di New York ed i 12 di Los Angeles, nelle cifre del 2006:  www.areaconnect.com), nonostante le spiagge, le barche, le aragoste ed i mohitos, l’orchestra salsa...
Una copiosa produzione audiovisiva ci racconta di questo luogo contraddittorio. Cinema e serie televisive gli hanno attribuito un posto significativamente importante, soprattuto per quanto riguarda alcune tipologie narrative. Miami (e la Florida in generale) è la miglior destinazione per la fuga di Jack Lemmon e Tony Curtis in A qualcuno piace caldo (Wilder, 1959). Miami é la città di Gola Profonda (Damiano, 1972), mito fondatore del genere porno-narrativo, ed una delle principali capitali del porno americano (e del porno in rete soprattutto). È la città di Scarface (1983), quello realizzato da Brian de Palma e scritto da Oliver Stone, e dell’emblematico sogno americano di ricchezza di un cubano anti-comunista. È Miami che ospita il James Bond “conneryano” di Goldfinger (Hamilton, 1964) e Thunderball (Young, 1964), cosí come il primo Ace Ventura (Shadyac, 1994). Ma soprattutto è la città di Miami Vice (Yerkovitch, 1984-1986), serie poliziesca fondamentale dell’immaginario anni Ottanta, prodotta da Michael Mann, con la coppia di sbirri antidroga più riuscita e più realistica della storia della fiction seriale a stelle e strisce. In effetti, quello poliziesco può essere considerato come il vero filo rosso della produzione filmica su questa città. Passando da agenti segreti a poliziotti di città, a volte duri ed in borghese (come nel primo e secondo Badboys, Bay, 1995 e 2003), a volte ridicoli ed in divisa ( si pensi al genere Scuola di Polizia, anch’esso ambientato nella “porta delle Americhe”, ed al più nostrano Miami Supercops (Corbucci, 1985) con la coppia Bud Spencer-terence Hill). Questa tendenza continua, perché Miami è una realtà fatta di contraddizioni, di opposizioni convergenti, dove ai piaceri ed ai vizi consumistici alla luce del giorno fanno eco violenze ed anomie nell’oscurità della notte. Una recente serie televisiva ne dà testimonianza. Tutto nasce, come molto spesso accade, da un romanzo. Jeff Lindsay, scrittore e marito di Hillary Hemingway (nipote di Ernst Hemingway, ed anch’ella scrittrice), dopo quattro romanzi tra il fantastico e il fantascientifico si dà al poliziesco con un romanzo che, uscito nel 2004, ottiene un discreto successo: Darkly Dreaming Dexter. Il personaggio piace, l’anno successivo Dearly Devoted Dexter esce nelle librerie americane, seguito da Dexter by Design nel 2007. Il personaggio piace, appunto. E quando un personaggio piace lo si riadatta spesso sullo schermo, sia quello grande che quello piccolo. Questa volta, la serialità narrativa spinge, per coerenza narrativa, verso quella televisiva. Nasce Dexter: tre stagioni da dodici episodi ciascuna trasmesse a partire dal 2006 negli Stati Uniti. 
Il contesto non é nuovo, siamo nella “muy caliente” Miami, dove un reparto anticrimine di polizia deve far fronte ai numerosi omicidi che vi hanno luogo. Dexter, figlio adottivo di un dignitoso e rispettato poliziotto oramai defunto, vi lavora – insieme alla sorella – come specialista in proiezioni di sangue. Sulle orme di C.S.I., ma con un’attenzione meno pronunciata per gli aspetti tecnico-scientifici, questa squadra di polizia indaga con successi alterni su una popolazione di assassini più o meno occasionali. Attraverso le forme e le distanze che il sangue presenta sul luogo del crimine, con spirito gestaltiano Dexter permette di ricostruire gli eventi, ricomporre i movimenti delle colluttazioni, identificare i corpi contundenti, calcolarne le durate e la distanza nel tempo rispetto all’osservazione. Il sangue parla, più di quanto si potrebbe immaginare. Ma fin qui, ancora niente di particolarmente nuovo. Fuori dal lavoro, Dexter non potrebbe condurre una vita più normale: come molti a Miami, possiede una barca su cui passa buona parte del suo tempo libero; ha una compagna già madre di due figli con cui intrattiene una relazione alquanto monotona; con i colleghi beve di tanto in tanto una birra e gioca a bowling. Insomma, socialmente parlando, Dexter è un tipico uomo medio americano. 
Il problema è che questa apparente semplicità non è frutto di una normalizzata forma di integrazione sociale senza riflessività, e Dexter è molto più interessante di un qualunque “uomo blasé” contemporaneo. Questa condotta di vita senza alti e senza bassi, senza estremi, è il frutto di una strategia messa a punto sin da piccolo, grazie all’addestramento paterno, per poter condurre, senza lasciar alcun tipo di traccia e senza indurre nessun tipo di sospetto, un’altra vita parallela: quella di serial killer. Al Dexter di giorno si sostituisce un altro Dexter la notte. Ma forse anche sin qui non c’è ancora niente di nuovo.
Sin da bambino, Dexter è affetto da una pulsione omicida irrefrenabile; suo padre, scoprendola, decide di aiutare questo figlio a soddisfarla durante tutta la sua crescita, ma istruendolo a seguire un codice comportamentale stabilito: uccidere solo chi uccide, sfogare il proprio bisogno di fare del male solo su chi fa del male. Un manicheismo fondato su un principio simmetrico tra etica ed antietica dà vita ad un personaggio di cui lo spettatore non riesce a rifiutare il lato oscuro. Dexter uccide, ed uccidere è l’unico atto che lo fa sentire vivo, mentre il resto delle “cose della vita” non producono in lui nessuna reazione. Ma allo stesso tempo, se non ci si appoggia ad una morale ipercattolica di “principio di rispetto totale per ogni forma vita”, non possiamo volergliene troppo, perché libera il mondo (e soprattutto libera Miami) da quelle persone che mettono a repentaglio questo stesso principio. Ecco allora che una sorta di empatia contraddittoria si crea tra Dexter e lo spettatore: ascoltando il flusso di coscienza che, mezzo voce fuori campo, mostra il nesso costante tra gesti pubblici ed intenzioni private dell’assassino. Tutto l’inspiegabile universo mentale di un uomo che “ha bisogno di uccidere” diventa manifesto, riconoscibile e, più che spiegabile, vien voglia di dire comprensibile, nel senso più profondo della parola: comprenderlo per farlo proprio. 
È per mezzo di questa suggestiva tecnica etico-narrativa che Dexter acquisisce tutto il suo fascino, perché ogni banale forma di interazione della vita quotidiana, su cui tendiamo a non porre alcun senso particolarmente appassionante, diventa in questo personaggio “messa in scena cosciente” come poco spesso si ha l’occasione di esperire. Forse non è troppo azzardato affermare che il valore aggiunto di Dexter sta proprio in questa modalità esistenziale di interrogarsi sul quotidiano. Incapace di vivere ogni tipo di sentimento, il banale vivere quotidiano diventa un’assunzione di ruoli che banali appaiono solo agli occhi degli altri personaggi del racconto filmico. Per lo spettatore è diverso, dietro le ciambelle offerte ai colleghi nel primo mattino, dietro una bistecca cucinata per la propria sorella in una qualunque serata infrasettimanale, dietro un’uscita di pesca in un pomeriggio domenicale, si gioca una partita a scacchi estremamente complessa tra due forme di conscio presenti nel nostro personaggio. 
Perché “due forme di conscio”? Si tratta, sul piano degli archetipi narrativi, del modello del doppio (Balló Perez, 1999). Dexter, per andare oltre il tema del serial killer da un punto di vista morale, rappresenta tanto una versione” quanto una “inversione” del conflittuale mito sulla scissione identitaria dello Strano Caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde di Stevenson (1996). Ne è una versione contemporanea particolarmente “suturata”, in quanto, come si è già cercato di spiegare, l’identità pulsionale-animale-violenta-solitaria dialoga, interagisce, persino controlla ed orienta i modi di vita della sua controparte razionale-sociale-gentile-socievole. Le due coscienze non sono separate, non c’è un inconscio istintivo che prende il sopravvento e cancella temporaneamente il conscio dotato di razionalità. Dexter rappresenta una tipologia di saturazione del modello archetipico del doppio in cui il piano razionale diventa punto di contatto tra due forme consce del sé; forme che grazie ad esso convivono senza principio di opposizione. Il sé più umano non lotta contro quello mostruoso, anzi ne condivide finalità e legittimazione perché ne trae essenzialmente origine. Siamo di fronte ad un esempio fittizio estremamente efficace di immaginazione attiva (Jung, 1985), ovvero di quella pratica junghiana attraverso la quale il dialogo con l’inconscio ed i suoi fantasmi diventa aperto – ma qui talmente aperto da portare l’inconscio ad uno stato del tutto cosciente. 
Perché allora parliamo di partita a scacchi? 
L’inversione che attraversa questa versione televisiva del doppio ci offre la risposta al quesito. Seguendo le vicende di Dexter, ci rendiamo conto che l’identità sociale di lavoratore e buon compagno di vita, strumentale a quella pulsionale di assassino ed “uomo solo”, inizia ad acquisire una importanza sempre maggiore lungo il corso degli episodi. Piano piano, il distacco totale inizia a trasformarsi in interrogativo, e la separazione dal mondo necessaria per la sopravvivenza del sé mortifero inizia a presentare delle crepe, delle incrinature. Senza mai davvero assolutizzarsi, ed accogliendo al suo interno tutte le proteste ed i disagi  del conscio assassino, Dexter diventa sempre più contento di dover conservare intatte le sue relazioni sociali. Relazioni di cui, in fondo, non ha mai avuto veramente bisogno. In altre parole: non solo Dexter/Jekyll vive, mangia, dorme, “è” insieme a  Dexter/Hyde, ma riesce col tempo anche a trovare una sua autonomia – parziale sí, ma comunque autonomia. La cosa più interessante, forse, è che a questo punto il Dexter/Hyde non si ribella, non spacca tutto, rifiutando ogni forma di sottomissione, come fa nel mito narrativo fondatore, spingendo Jekyll alla morte. In questa in-versione del terzo millennio, egli accetta di non essere l’unico e perfino di lasciare più spazio all’altro da sé. Strana ed affasciante conseguenza, il patto interiore si riaggiusta, ma non si rompe. Il mostro cede la regina, ma ottiene partita patta. Ovvia e forse triste conseguenza, il patto sociale non può essere eliminato, l’unica via di uscita è attribuirgli valore, anche quando la tendenza sarebbe un’altra. E Dexter funziona perché questo conflitto concerne ogni essere socialmente organizzato, anche se non necessariamente portato all’omicidio rituale. È una frontiera aperta che non riesce mai a chiudersi totalmente, proprio come Miami e tutte la grandi città di mare.
Almeno, nella Miami della finzione, c’è qualche assassino in meno. Ma paradossalmente qualche morto in più...

 


 

*E così questa è la sera. E succederà
di nuovo, e poi ancora. Deve
succedere. Che bella serata. Miami è una
gran bella città. Mi piace la
cucina cubana, soprattutto il sandwich di
maiale. Ma è di un'altra cosa
che ho voglia adesso...

 


 

:: letture ::

— Balló Perez,  La llavor immortal, 1995, trad. it. Miti del cinema, Ipermedium, Napoli, 1999.

— Jung C. G., Man and His Symbols, 1964, trad. it. L’uomo e i suoi simboli, Mondadori, Milano, 1985.

— Simmel G., Die Grosstädte und das Geistesleben, 1903, trad. it. La metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, 1995.

— Stevenson R. L., The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1886, trad. it. Lostrano caso del Dr.Jekill e Mr. Hyde, Feltrinelli, Milano, 1996.

www.areaconnect.com


 

:: visioni ::

— Bay M., Bad Boys, USA, 1995, Sony Pictures Home Entertainment, 2009.

— Bay M.,  Bad Boys II, USA, 2003, Sony Pictures Home Entertainment, 2009.

— Corbucci B., Miami Supercops, USA-Italia, 1985, Millennium Storm, 2005.

— Damiano G., Deep Throat, USA, 1972, Gola Profonda, Cecchi Gori, 2007.

— De Palma B., Scarface, USA, 1983, Universal, 2006.

— Hamilton G., Goldfinger, G.B. 1964, Agente 007 Missione Goldfinger, 20th Century Fox Home Entertainment, 2007.

— Manos J., Jr., Dexter, USA, 2006-2009, Paramount Home Entertainment Italy, 2008.

— Shadyac T., Ace Ventura Pet Detective, 1994 USA, Ace Ventura: l’acchiappa animali, Warner Home Video, 2000.

— Wilder B., Someone Like It Hot, 1959, USA, A Qualcuno Piace Caldo, Century Fox Home Entertainment, 2007.

— Yerkovich A., Miami Vice, USA, 1984-1986, Universal Pictures, 2006, 2007.

— Young T., Thunderball, G.B., 1964, Thunderball Operazione Tuono, Mgm/Ua Home Video.

— Wilson H., Scuola di Polizia, USA, 1984, Warner Home Video, 2004.

— Zuiker A. E., C.S.I., USA, 2000-2009, DNC Home Entertainment, 2007-2009.