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NEL CUORE E NELL'ANIMA | |
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[ LONDRA ] | |
di Erika Dagnino
Tutte le stratificazioni del tempo possono snaturare
l’esperienza, anzi, se occorre, possono parlare di
tutt’altro; resta però imprescindibile il cogliere
tutto quello che è mutato poco o rimasto immutato, non tanto
autovetture, taxi, torpedoni, eccetera, quanto soffermare e fermare
l’attenzione su qualcosa che sia sufficientemente
riconoscibile all’anima. Qual è il punto del luogo
che colpisce? Quale il punto parallelo, di incontro, di contrasto, di
evocazione conforme o difforme in uno specifico brano letterario che
descrive, indaga, evoca un luogo, o più specificamente una
città? Si prende atto che il concettuale in questo caso deve
emergere da un elemento fisico, sufficientemente superficiale, captato
nell’aria, in un muro, in un palazzo, in una grata, comunque
immagazzinato, evocato da quello stesso brano o libro che si sta
leggendo, e che è sempre relativo a un’esperienza
che si manifesta prima o dopo le parole. E se invece del
complesso organismo città si focalizza il dettaglio,
metonimicamente è come se il pezzo di luogo fosse
città intera, dalla descrizione minimale fino
all’analogia. Kensington
Gardens, insieme al contiguo Hyde Park, costituisce ancor oggi una
vastissima zona verde nel centro di Londra. I due parchi, separati
dalla Serpentina (dove è collocata l’isola di
Peter Pan), erano una volta il giardino privato di Kensington Palace,
dimora reale fin dai tempi di Guglielmo III e Mary. Nel 1728 la regina
Carolina, moglie di Giorgio II, dette ai Giardini una forma molto
simile a quella attuale. Chiusi al pubblico per tutto il XVIII secolo,
vennero aperti in modo graduale, ma solo ai “respectably
dressed”. La regina Vittoria (che nacque a Kensington Palace
e vi abitò finché non divenne regina nel
1837)commissionò i Giardini Italiani e l’Albert
Memorial. I Barries abitavano nei pressi dei Giardini, prima in
Gloucester Road e poi a Leinster Corner, vicino a Lancaster Gate, e
anche i Llewlyn Davies abitarono nei paraggi fino al 1904. Alcuni
luoghi dei Giardini di Kensington indicati nella storia sono frutto
della fantasia dell’autore, altri non ci sono più,
ma molti sono tuttora riconoscibili; i Giardini sono infatti rimasti
essenzialmente quelli di un tempo, ma la magia di quel luogo remoto
[…] non esiste più. (Mochi,
Nota al Testo in J.M. Barrie, 2007, p.191).
…e dunque mi limito a fare un cenno col bastone davanti all’albero di Cecco Hewlett, quel luogo memorabile dove un ragazzo di nome Cecco perse la sua monetina e, mentre era intento a cercarla, ne trovò due. (ibidem, p.43). Ma nei paraggi c’è un’altra casetta di legno, chiamata la Casa Sperduta, e a quel punto dovete solo dire che vi siete persi e l’uomo vi troverà. (ibidem, p.45). Non c’è cosa al mondo che sappia giocare e divertirsi quanto una foglia caduta. (ibidem, p.45). Da questo sentiero un viottolo chiamato Pollice dello Zigolo, perché è proprio lungo un pollice, conduce alla Stradina dei Picnic, dove ci sono veri e propri bollitori per fare il tè, ed è possibile che vi cada un fiore di castagno dentro la tazza mentre state bevendo. (ibidem, p.47). Quanto al nido è molto triste: è tutto bianco e il modo in cui l’abbiamo trovato è straordinario. (ibidem, p.57). Immettendo nel tempo del tutto è possibile, nel territorio fiabesco attraversato da sentieri, con pozzi e laghi e isole, entro il Grand Tour dei Giardini. Tra l’onirico, il fantastico, il reale e la naturale sensazione di qualcosa di sospeso, perduto, consegna di smarrimento e di possibilità giocosa e al tempo stesso tragica. La ragione è che era scappato dalla condizione di essere umano quando aveva sette giorni; fuggì dalla finestra e se ne tornò volando ai Giardini di Kensington. (ibidem, p.63). Solo una piccola parte della Serpentina si trova all’interno dei Giardini, perché subito dopo passa sotto un ponte e si spinge lontano, fino all’isola dove vengono alla luce gli uccelli che un giorno diventeranno bambini e bambine. (Barrie, 2007, p.55). Guardiamo con ulteriore sguardo nostro alla realtà
effettiva del giardino-parco, mentre camminiamo per Londra, quasi
dickensianamente, facendo passeggiate di ore e ore a piedi, volendosi
spostare da una zona all’altra, (vivendo innanzitutto la
città a piedi, su strade percorribili, dove i colori, gli
odori, i suoni non sono necessariamente quelli della metropoli del
terzo millennio, e tendendo a cogliere della città gli
elementi eterni immutabili nel corso del tempo, piuttosto che
l’ultimo monumento al progresso o il più recente
grattacielo alla moda), guardiamo i Kensington Gardens come una via di
transito, sorta di taglio-scorciatoia, tagli anche geometricamente
intesi, che permettono di andare da una parte all’altra,
generando una frammentarietà legata alla dimensione del
camminare, che sembra assumere proprietà esponenziali
misurando con gli occhi la figura del giardino intersecata da diversi
segmenti: vie, sentieri, acqua, rami, tronchi, ramificazioni.
:: letture :: — Barrie J.M., “Peter Pan in Kensington Gardens”, trad. it. di Carla Vannucci, “Peter Pan nei Giardini di Kensington”, Marsilio, Venezia, 2007. |