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NEL CUORE E NELL'ANIMA stampa

[ LONDRA ]
kensington_gardensdi Erika Dagnino

Tutte le stratificazioni del tempo possono snaturare l’esperienza, anzi, se occorre, possono parlare di tutt’altro; resta però imprescindibile il cogliere tutto quello che è mutato poco o rimasto immutato, non tanto autovetture, taxi, torpedoni, eccetera, quanto soffermare e fermare l’attenzione su qualcosa che sia sufficientemente riconoscibile all’anima. Qual è il punto del luogo che colpisce? Quale il punto parallelo, di incontro, di contrasto, di evocazione conforme o difforme in uno specifico brano letterario che descrive, indaga, evoca un luogo, o più specificamente una città? Si prende atto che il concettuale in questo caso deve emergere da un elemento fisico, sufficientemente superficiale, captato nell’aria, in un muro, in un palazzo, in una grata, comunque immagazzinato, evocato da quello stesso brano o libro che si sta leggendo, e che è sempre relativo a un’esperienza che si manifesta prima o dopo le parole. E se invece del complesso organismo città si focalizza il dettaglio, metonimicamente è come se il pezzo di luogo fosse città intera, dalla descrizione minimale fino all’analogia. 
Come dall’essenziale è possibile catturare un’atmosfera dell’anima per poi sposarla a quella letteraria, eventualmente anche nella divergenza. Con approvazione, quindi, o contestazione.
I giardini, luogo esterno ma interno, appartengono già per definizione a qualcosa d’altro, sorta di evocazione di forma città-non città, (città come localizzazione), che permane nella sua non artificialità, mentre la città per definizione è artificiale. Restando il giardino come dentro e come fuori, è nei suoi elementi che Londra si viene a identificare nella sua estraneità, poiché i giardini si configurano come evocazione della città intera per difformità. 
Collocabile in ogni caso in una dimensione altra, è giardino che si collega alla realtà londinese, situato però, e che inserisce, in una situazione interna/esterna, sempre evocazione di magia, di favola, di fiaba per eccellenza. 
Prendiamo ora in considerazione il dato reale, spazio specifico localizzato in seno alla città, come viene esposto nella nota al testo di James M. Barrie curata da Giovanna Mochi.

Kensington Gardens, insieme al contiguo Hyde Park, costituisce ancor oggi una vastissima zona verde nel centro di Londra. I due parchi, separati dalla Serpentina (dove è collocata l’isola di Peter Pan), erano una volta il giardino privato di Kensington Palace, dimora reale fin dai tempi di Guglielmo III e Mary. Nel 1728 la regina Carolina, moglie di Giorgio II, dette ai Giardini una forma molto simile a quella attuale. Chiusi al pubblico per tutto il XVIII secolo, vennero aperti in modo graduale, ma solo ai “respectably dressed”. La regina Vittoria (che nacque a Kensington Palace e vi abitò finché non divenne regina nel 1837)commissionò i Giardini Italiani e l’Albert Memorial. I Barries abitavano nei pressi dei Giardini, prima in Gloucester Road e poi a Leinster Corner, vicino a Lancaster Gate, e anche i Llewlyn Davies abitarono nei paraggi fino al 1904. Alcuni luoghi dei Giardini di Kensington indicati nella storia sono frutto della fantasia dell’autore, altri non ci sono più, ma molti sono tuttora riconoscibili; i Giardini sono infatti rimasti essenzialmente quelli di un tempo, ma la magia di quel luogo remoto […] non esiste più. (Mochi, Nota al Testo in J.M. Barrie, 2007, p.191).
Come innescare oggi un recupero del magico? Vogliamo credere qui all’atemporalità della magia e che essa risieda nei ritagli e nelle fessure, nel singolo particolare che da ritaglio minimo si diffonde nello spazio fino a una dimensione di infinito.

…e dunque mi limito a fare un cenno col bastone davanti all’albero di Cecco Hewlett, quel luogo memorabile dove un ragazzo di nome Cecco perse la sua monetina e, mentre era intento a cercarla, ne trovò due. (ibidem, p.43).

Ma nei paraggi c’è un’altra casetta di legno, chiamata la Casa Sperduta, e a quel punto dovete solo dire che vi siete persi e l’uomo vi troverà. (ibidem, p.45).

Non c’è cosa al mondo che sappia giocare e divertirsi quanto una foglia caduta. (ibidem, p.45).

Da questo sentiero un viottolo chiamato Pollice dello Zigolo, perché è proprio lungo un pollice, conduce alla Stradina dei Picnic, dove ci sono veri e propri bollitori per fare il tè, ed è possibile che vi cada un fiore di castagno dentro la tazza mentre state bevendo. (ibidem, p.47).

Quanto al nido è molto triste: è tutto bianco e il modo in cui l’abbiamo trovato è straordinario. (ibidem, p.57).

Immettendo nel tempo del tutto è possibile, nel territorio fiabesco attraversato da sentieri, con pozzi e laghi e isole, entro il Grand Tour dei Giardini. Tra l’onirico, il fantastico, il reale e la naturale sensazione di qualcosa di sospeso, perduto, consegna di smarrimento e di possibilità giocosa e al tempo stesso tragica.

La ragione è che era scappato dalla condizione di essere umano quando aveva sette giorni; fuggì dalla finestra e se ne tornò volando ai Giardini di Kensington. (ibidem, p.63).

Solo una piccola parte della Serpentina si trova all’interno dei Giardini, perché subito dopo passa sotto un ponte e si spinge lontano, fino all’isola dove vengono alla luce gli uccelli che un giorno diventeranno bambini e bambine. (Barrie, 2007, p.55).

Guardiamo con ulteriore sguardo nostro alla realtà effettiva del giardino-parco, mentre camminiamo per Londra, quasi dickensianamente, facendo passeggiate di ore e ore a piedi, volendosi spostare da una zona all’altra, (vivendo innanzitutto la città a piedi, su strade percorribili, dove i colori, gli odori, i suoni non sono necessariamente quelli della metropoli del terzo millennio, e tendendo a cogliere della città gli elementi eterni immutabili nel corso del tempo, piuttosto che l’ultimo monumento al progresso o il più recente grattacielo alla moda), guardiamo i Kensington Gardens come una via di transito, sorta di taglio-scorciatoia, tagli anche geometricamente intesi, che permettono di andare da una parte all’altra, generando una frammentarietà legata alla dimensione del camminare, che sembra assumere proprietà esponenziali misurando con gli occhi la figura del giardino intersecata da diversi segmenti: vie, sentieri, acqua, rami, tronchi, ramificazioni.
Entro la città luogo complessivo, in cui ogni piccola dimensione contiene in sé stessa quella grande. Nonostante l’opposizione natura, artifizio. Anch’essa, la città, attraversata come una figura geometrica che può avere propaggini, già essa propaggine che porta verso, se non proprio il nulla, l'altro da sé. Totalmente irregolare, figura composta di frammentazioni. Finanche a chiedersi, Dove è il resto della città non percorsa dai propri passi? Ogni spazio diventando un’espansione visiva, esperienziale della città, che nasce nel momento in cui incontra la parte più reattiva del soggetto. Ogni passo è un momento dell’espansione e della spazializzazione. Fino allo spostamento dimensionale. Dalla città ai giardini, dai giardini alla città, nell’inesauribilità della città come somma inesauribile di alterità. Entro l’assunto: non c’è cosa reale che non sia trasfigurazione.
Ma se la magia può risiedere solo sul preciso dettaglio che evoca la magia trascorsa, magari per contrasto, forse è questo un caso in cui, con un’ammissione di scricchiolamento dell’affabulazione soggettiva, il modo più immediato e facilitato di trasfigurazione si verifica proprio attraverso la pagina stessa. Attraverso quelle immagini di spazio e dei suoi elementi e abitanti antropomorfizzati.

 


 

:: letture ::

— Barrie J.M., “Peter Pan in Kensington Gardens”, trad. it. di Carla Vannucci, “Peter Pan nei Giardini di Kensington”, Marsilio, Venezia, 2007.