Ma
il giudizio finale fu affidato all’arbitrio di
un pazzo (...) ‘Di un pazzo’ ripeté
‘affinché la
sapienza di Dio parlasse attraverso la sua bocca
e umiliasse le superbie umane’ Jorge
Luis Borges L’Uomo sulla Soglia
L’impressione che provoca la fruizione dei lavori
cinematografici, entrambi dedicati alla vicenda di Oreste Fernando
Nannetti, I Graffiti della Mente – N.O.F.
4 moro secco spinaceo di Erika e Pier Nello Manoni e L'Osservatorio
Nucleare del Sig. Nanof di Paolo Rosa, è quella di
un grande risalto alla profondità misteriosa che si cela
nelle parti di narrazione contenute nei graffiti
del reparto Ferri dell’ospedale psichiatrico di
Volterra. Nannetti, nato a Roma nel 1927 e deceduto
a Volterra nel 1994, fu ospitato dall’età di dieci
anni in un istituto per minorati psichici. Dopo un periodo
relativamente al quale non si rintracciano notizie sulla sua vita,
viene accusato di oltraggio a pubblico ufficiale nel 1948. Fu
prosciolto per “vizio totale di mente” e, nel 1956,
trasferito all’ospedale psichiatrico di Volterra dove
lasciò un enorme, fittissimo graffito murale realizzato con
piccole fibbie del panciotto della divisa dei pazienti del manicomio.
Realizzò in seguito graffiti su un passamano di cemento,
disegni a centinaia, e scrisse cartoline mai spedite a parenti forse
immaginari. Trascorse la vita, conclusa presso una casa-famiglia, senza
mai ricevere una visita da parte di parenti o amici. Entrambe
le opere, diverse tra loro e appassionanti nei loro rispettivi
linguaggi, quello documentaristico e quello narrativo-cinematografico,
mettono in luce la forza poetica che le parole scolpite sul
muro possiedono. Una poesia fatta di cortocircuiti linguistici,
temporali, geografici, astrali ed esistenziali; una poesia che evoca i
suoni e i ritmi di una incredibile contemporaneità. Preveggente,
considerando che fu creata quando ancora non si immaginava fino a che
punto il dilagare tecnologico e insinuante della comunicazione
di massa si sarebbe spinto negli anni a venire e, in questo
senso, splendida è la definizione dell’opera di
Nanof (come spesso si firmava Nannetti Oreste
Fernando) proposta dal film di Rosa: solidificazione del
flusso di messaggi che vengono ricevuti e diffusi dal Signor Nanof
attraverso il sistema telepatico. Premonitrice
e ammonitrice in quanto portatrice di un pessimismo rispetto
all'uomo e al suo destino, che sembra materializzarsi nella
associazione proposta da Manoni (il graffito invita proprio
all'interazione ri-compositiva), dei versi struggenti
- e non esito a definire versi le parti
testuali, intercambiabili e interpolabili, dei graffiti - La
terra va in cancrena (/) Domenica 127 pioggia di stelle“o ancora”stella perduta (/) stella nascente. Una
poesia capace di anticipare l'attuale Babele mediatica che
vacuamente sovrappone e diffonde piani linguistici ed espressivi
differenti e finanche incompatibili, senza che alcuna operazione di
discernimento e di analisi ponga le basi di una qualche
responsabilità della comunicazione, mettendo insieme
– si pensi per esempio ad uno spot televisivo di parecchi
anni fa – Beethoven, vita famigliare, e consumo di distillati
in un frullatore letale che, irrimediabilmente corrompe i materiali
eventualmente nobili che utilizza. Una poesia che è dunque
quasi metafora di questo contemporaneo torrenziale magma, privo di
contenuti e di valori, imposto con l'arroganza della presunzione e del
potere. Linguaggio televisivo, linguaggio pubblicitario, Estetizzazione
del mondo che trova simbolicamente forza nello slogan
‘L’immaginazione al potere’ (Gennaro
Fucile, Se Una Notte dell’Inverno 1968 Un
Viaggiatore, Quaderni d’Altri Tempi n. 14
– maggio/giugno 2008), poteri economici che controllano le
masse attraverso l’estetica del consumo (coatto), invadendo
spazi di libertà e di cultura con lo slogan ed il
design. Ma posti di fronte al graffito ci troviamo
al cospetto di un affastellamento grafico-letterario-contenutistico
espressivo in modo così impressionante, nel suo fluire
caotico e determinato, di un disordinato, mastodontico volume
lessicale, capace però di arrestarsi di colpo, con gesto
artistico grandioso, per lasciare apparire perle di intensa meditazione
interiore ed esistenziale come nel cupo La morte deve suonare
da sé. E qui vale la pena
soffermarsi sul mistero di quel sito e sul suo comunicare oltre
l’oggettivo espresso dal segno. Il verso
succitato è suggerito da Manoni ne I Graffiti
della Mente, e pare che si tratti di una ricostruzione
(mirabile nella sua capacità di captare un significato
evidentemente implicito) di un frammento non completo. Sul muro infatti
troviamo rte deve suonare da sé e a
sinistra delle lettere rte il muro è
intatto, liscio; il margine sinistro della pagina (tutto il graffito
è contenuto in pagine di diversa dimensione incise sul muro)
non si chiude, contro il bordo superiore, immediatamente a margine di
quella r, per pochi centimetri. Seguendo quella
piccola via di fuga si scivola, a sinistra, verso un’altra
piccola pagina che non contiene nulla, sul piano verticale,
all’altezza delle lettere rte.
Più in basso però appare l’inquietante
immagine di un pianoforte a coda con uno sgabello vuoto. Diventa
possibile ora ricostruire le lettere che si trovano appena sopra il
disegno e che terminano contro il margine destro della pagina che
contiene le lettere e l’immagine, e contemporaneamente
sinistro della pagina di provenienza: Il pianofo.
Inutile cercare nella stessa pagina il seguito che invece è
contenuto nella pagina più a destra, un po’
più in alto. Il pianoforte deve suonare da
sé. Straordinaria coincidenza espressiva con la
ricostruzione di Manoni: il pianoforte evocato ha una grande cassa di
legno, nera; e nero è lo sgabello vuoto che evoca
l’assenza dell’elemento umano. Morte per negazione.
Ma anche negazione di una morte dello spirito, passando ad altri
frammenti: I fantasmi sono formidabili dopo la seconda
apparizione (/) le ombre sono vive sotto cosmo. Versi
dunque, composti da suoni, parole, ritmo, significati impliciti o
espliciti, coscienti o non-coscienti, ma anche da segni, simboli,
disegni che attraversano incessantemente tutto questo assordante
monologo di pietra. Segni grafici che rispecchiano il magmatico flusso
delle parole: astri, personaggi, macchine tecnologiche, arcani simboli
che sembrano provenire da un passato remoto, missili e molte antenne,
perché la comunicazione era un bisogno urgente per questo
uomo totalmente isolato. Un uomo che consacra letteralmente la
propria esistenza, durante un periodo di ben 12 anni
d’internamento ad un unico enorme progetto che oggi
definiremmo multimediale, che comprende parola, segno grafico e
dimensione materica e che mostra una strabiliante coerenza stilistica
nel suo insieme, nonostante l’enorme spazio temporale che
divide l’inizio dalla fine della creazione di
quest’opera. Opera maestosa che allude, in un gioco registico
magistrale, ad un sapere immenso, sconfinato come
avrà modo di definire il graffito stesso Adolfo Fattori nel
suo Illustrare il Rumore (Quaderni
d’Altri Tempi n. 6). Un sapere pari
all’immaginazione fervida e visionaria, che capta
- come antenna che si fa centro percepente - e rivela
- come poeta che “vede” e restituisce
l’indicibile - l’universo dentro un
cortile. L’idea di progetto unitario
è precisamente inscritta nella forma ciclica di tutta
l’opera. Una ciclicità che si afferma e si compie
nel ripetere musicale, in forma di microvariazioni, una serie di
elementi chiave che costituiscono l’ossatura formale
dell’opera. Come nel caso della danza di accostamenti
molteplici e vari di simboli grafici lungo tutto lo snodo del graffito
o come nella percezione che definiremmo extraterrestre
da parte di Nanof del genere umano e della sua stessa propria
dimensione terrestre. Percezione distaccata e
distante che si condensa nei pochi tratti somatici, generici appunto,
con cui descrive sé stesso e altri personaggi, reali o
immaginari: alto, moro spinaceo, bocca stretta, naso a Y
reiterati ossessivamente in microvariazioni tra le quali castagno
spinaceo oppure moro spinaceo castano o
utilizzando cambiamenti di sequenza o ancora aggiungendo altri
aggettivi come, ad esempio, secco. Tratti che si
accompagnano a dati anagrafici, evocando la fredda asciuttezza di una
cartella clinica, forse più volte ascoltata nella lettura di
medici poco inclini a relazionarsi in modo umano con il paziente.
Così come verrebbe da pensare quando ci si imbatte in relazioni
come queste, drammatiche perché probabilmente captate con le
orecchie terrorizzate del “malato” e rielaborate
nella dimensione di “scienziato” cui Nanof affida
la propria “evasione” dalla condizione che vive: Diagnosi
di decesso: percosse magnetiche, somministrazione obbligatoria di
anarcotici, percosse linciose interne ed esterne o ancora grafico
metrico della mortalità ospedaliera: 10% per radiazioni
magnetiche trasmesse, 40% per malattie trasmesse e provocate, 50% per
odi o rancori personali provocati o trasmessi. Ecco
che ci si addentra nel pieno del dolore di questi internati, un dolore
espresso da tutta la fitta, impenetrabile, complessa, vastissima, umana
semplicità d’espressione del graffito. Qui si
compie l’opera alchemica che tanti elementi simbolici
rappresentati sembrano evocare: Nannetti crea un cosmo
impressionantemente ricco elaborando gli esigui elementi con cui viene
a contatto nella sua condizione di internato. Evoca molteplici
linguaggi, da medico ad astronomico, da astronautico a tecnologico, da
burocratico ad esoterico senza poter attingere a dizionari e
pubblicazioni. La sua espressione è però
tutt’altro che ingenua
nell’impenetrabilità del segno, che impone fatica
al fruitore, ponendolo in una condizione di inferiorità
rispetto alla misteriosa imponenza dell’opera e
determinandone una predisposizione ad un approccio dovutamente
rispettoso. Nell’abilità letteraria e figurativa
capace di evocare linguaggi o tecnologie per significare non
già qualcosa di scientificamente rilevante, ma qualcosa che
di quelle scienze parla in termini etici assumendo una posizione
critica rispetto a chi le pratica (persino rispetto agli stessi medici
che lo hanno in cura). Non parla forse di comunicazioni scientifiche
prive di ogni elemento umano e umanizzante? Di tecnologie distruttive e
attacchi bellici? Di decessi dovuti alle insanabili ferite interiori
subite dall’emarginato? Ciò che
ancora vediamo del graffito non perde la sua espressione maestosa di assoluto
e di mistero. Non si lascia ridimensionare. Nanof
ha probabilmente avuto per tutti quegli anni una visione
d’insieme della sua opera, infatti non solo essa si
può sfogliare pagina per pagina come un libro, o fruire per
immagini come ad una mostra, o ancora esplorare saltando da un elemento
all’altro come nell’ipertestualità ma,
se conosciuta almeno in piccola parte, si può anche
apprezzarne la maestosa simmetria che ne fonda la struttura. I due muri
laterali, in prossimità dei confini estremi del graffito,
contengono due piccole pagine, una a destra e una a sinistra. In esse
sono contenuti i seguenti versi che ancora si specchiano in uno
stupefacente gioco architettonico: Ghiandola feconda viva
sesso maschile femminile orecchio destro e ghiandola
feconda viva sesso maschile femminile orecchio sinistro.
L’Astronautico ingegnere minerario sapeva guardare dalle
remote distanze astrali. Le sue enormi conoscenze sono ancora in parte
disponibili per rivelare, a chi sappia ascoltarle, enormi
quantità di notizie che giungono
dal sistema telepatico, prima che tutto si dissolva e restino
soltanto le fotografie, le immagini, le fotocopie dei disegni, qualche
cartolina, frammenti trascritti e un inconsolabile rimpianto.
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