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Lo spazio
anomico di un cimitero virtuale interrompe innanzitutto la
rigidità del calendario rituale, non tanto per ragioni di
principio,
quanto per motivi strutturali. In primo luogo, è da
sottolineare la libertà e la facilità di
accesso al sito senza vincoli di calendario né di orario: il
cimitero
virtuale è sempre aperto.
Questa elasticità comporta una
de-ufficializzazione e una de-istituzionalizzazione delle celebrazioni,
la cui significatività è decisa non da
un’astratta gerarchia
officiante, ma da chi accede materialmente al sito. In
secondo luogo, contrariamente al cimitero reale, non si tratta di
uno spazio separato e specializzato, ma di uno spazio multifunzionale e
integrato alla realtà. Infatti, il cimitero virtuale non
è soltanto il
luogo di celebrazioni, di riproduzione di riti funebri e della memoria,
ma, soprattutto, un punto di scambio di informazioni, di condivisione
del lutto, di comunicazione. In altri termini, uno spazio di
prossimità
tra persone, ma anche di vicinanza alla vita quotidiana,
poiché
l’accesso a questi nuovi strumenti di ritualità
avviene senza la
necessità di spostarsi in un luogo specifico, lontano dai
flussi della
quotidianità. Dal momento che il computer può
trovarsi ormai in
qualsiasi luogo (sia esso di lavoro, familiare o di svago) la
quotidianità pervade anche l’ambiente virtuale e
la simulazione, che di
questa contiguità conserva modi e attitudini.
Infine,
altro elemento importante da osservare è la
capacità da
parte degli utenti di trasformare i cimiteri virtuali in vere e proprie
pagine personali con procedure, regole e codici comunicativi propri. In
modo tale che il rito, la memoria, non sono più pratiche
generalizzate
e rigidamente codificate ma, al contrario, costruite e trasformate a
partire dalle necessità e dal sentire dei congiunti con il
concorso
attivo della comunità affettiva che condivide e comunica al
proprio
interno l’esperienza della morte, le emozioni e il dolore che
essa
suscita. In questo modo si definisce lo spazio della simulazione dei
cimiteri virtuali: un’apertura che toglie la
ritualità dalla
segregazione, dalla meccanicità e dalla rimozione della
morte, per
consentirne un’appropriazione emotiva che la familiarizza, la
rende
partecipe del quotidiano. Quindi, lo spazio anomico, che sul Web
è
dedicato alla morte e più in particolare ai cimiteri
virtuali, produce
una ritualità che allontana la morte dalla sfera del
tabù attraverso
una trasformazione continua dei riti funebri in senso lato, i quali si
manifestano come informazioni, scambio di messaggi, immagini,
comunicazioni, condivisioni emotive del lutto: tutte forme plasmate dal
doppio canale della personalizzazione e della condivisione. Vale a dire
che lo spazio della simulazione dei cimiteri virtuali e dei siti
dedicati alla morte non propone un rituale nuovo nelle sue forme, ma
uguale per tutti una volta per tutte e orientato esclusivamente alla
trascendenza. Tale spazio, invece, apre uno spazio da fare
in cui prende forma un rituale on demand
da scegliere ed adeguare volta per volta alle esigenze, alle
condizioni, alle sensibilità in continua trasformazione, in
cui si
trova immerso l’uomo postmoderno orientato
all’immanenza. Questi
principi, queste esigenze, questi desideri relativi
all’esigenza di
personalizzare attraverso i rituali un momento emotivamente
fondamentale come la morte sono racchiusi in una sorta di manifesto che
si può leggere idealmente nelle pagine del primo cimitero
virtuale
realizzato sul Web, il 28 aprile 1995, dal canadese Michael Kibbee, il
World Wide Cemetery6. Quando l’ingegnere Michael Kibbee decide
di
costruire un cimitero virtuale è convinto di realizzare uno
strumento
capace di sostenere il lutto, di comunicare e scambiare dolore e
conforto con il maggior numero di persone possibile.
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