Una
schermata completamente nera. Solo due voci fuori
campo:
poche parole dolci tra una nonna e una bambina. Poi, un secondo di
sospensione che sembra trattenere i respiri di tutta la sala in una
mano chiusa a pugno, invisibile sopra le file di poltrone, sospesa. E
un gelsomino bianco comincia a cadere dall’alto dello
schermo,
ballando. Seguito da molti, molti altri. Musica lieve, dolcissima, come
una scia di malinconia finale che ti ricorda come ti sei sentito per
tutta la durata del film. Titoli di coda. Cominciare a parlare
di un
film dal suo finale può sembrare bizzarro, ma in fondo forse
a Marjane
Satrapi non dispiacerebbe. Quello che di lei traspare dalla sua
autobiografia Persepolis è una sorta di
unicità, di profonda distanza da quella che potremmo
definire, con una parola che non ci piace, normalità. Delicatezza
e intensità, fragilità soltanto apparente:
l’autoritratto di Marjane ha
qualcosa in comune con quei gelsomini bianchi sopra un fondo nero. Lei
stessa, in uno dei momenti più amari e toccanti della
narrazione,
riflette sull’indefinitezza della propria condizione e della
propria
identità con parole semplici e pesantissime insieme:
“… ero
un’occidentale in Iran, un’iraniana in occidente.
Non possedevo alcuna
identità.” Persepolis,
dunque, è un’autobiografia lunga e complessa, su
carta e su schermo.
Nata infatti come opera a fumetti, una graphic novel1,
primo
fumetto iraniano mai pubblicato, esce in Italia per la prima volta per
Edizioni Lizard in 4 volumi pubblicati tra il 2002 e il 2003, presto
esauriti.
Visto il successo dell’opera, viene ristampato
dalla Sperling & Kupfer in due tomi, usciti nel 2003 e
nel 2004.
L’opera
diventa nel 2007 un film d’animazione, che viene
candidato
all’Oscar. Il
film è stato scritto e diretto dalla stessa Marjane Satrapi
e dal fumettista francese Vincent Paronnaud. Vince
il Festival di Cannes del 2007, e approda nelle sale italiane
il 29 febbraio 2008. È una storia di vita e di crescita
personale, un
romanzo di
formazione intrecciato con gli avvenimenti storici degli anni Ottanta e
Novanta che trasformarono l’Iran, da monarchia, in una
repubblica
islamica guidata da fondamentalisti, attraverso una rivoluzione
politica e culturale che fece intravedere e sognare la
modernità
soltanto per un istante. La famiglia di Marjane (che
all’epoca aveva
dieci anni), laica e progressista, vive con partecipazione profonda gli
entusiasmi, le illusioni e poi le disillusioni di quegli anni.
L’ombra
nera della dittatura islamica e poi della guerra spinge i genitori di
Marjane, appassionati, colti e coraggiosi, a spedire una ragazzina di
soli quattordici anni a studiare in Europa, a Vienna, per garantirle la
libertà e una vera istruzione. Sola, con i fantasmi
dei parenti e degli amici morti per la
libertà,
con il riverbero mai spento dell’urlo lontano del proprio
paese,
Marjane trascorre l’adolescenza in Europa senza riuscire mai
ad
integrarsi davvero, combattendo con il peso delle proprie radici e con
i sensi di colpa che questo peso porta con sé, sempre
irrimediabilmente
straniera e “diversa”, e in più
adolescente: arrabbiata, insicura, come
tutti sola e tradita dall’amore. Ma Marjane
resterà una straniera anche
dopo il ritorno in patria: ritroverà un Iran inerme,
imbavagliato e
arreso, che vive di divieti e paura: dopo avere tentato una nuova
paradossale integrazione, questa volta nella propria patria,
capirà che
ci sono conflitti che non si possono ricomporre, e partirà
di nuovo,
questa volta per sempre. Persepolis è prima la
storia di
un’infanzia, poi di un’adolescenza. È la
storia di una donna che
cresce, ma è anche, appunto, la storia di una donna.
È naturale
che il punto di vista delle donne sia la particolare angolatura dalla
quale Marjane ci fa guardare alla cultura iraniana, com’era e
com’è
diventata. Viviamo quindi le loro oppressioni e i loro divieti, le
discriminazioni mascherate da conquiste, le ipocrisie che si celano
dietro espressioni come “tutela
dell’integrità”. La caratterizzazione
femminile del romanzo è molto forte, anche perché
alle spalle di
Marjane vi sono altre due generazioni di donne, sua madre Taji e sua
nonna, figure molto presenti in tutta la narrazione. Sono
donne
coraggiose che resistono con fierezza al continuo tentativo di
svilimento della propria personalità e del proprio ruolo,
donne fiere
che non accettano di abbassare la testa, che gridano tra la folla alle
manifestazioni, che racchiudono saggezza e cultura come scrigni, che
aspettano a casa i propri uomini quando non si sa se ritorneranno, li
sorreggono e li sostengono restando nell’ombra come sempre
fanno le
donne da millenni. La storia di una ragazza che diventa donna,
quindi, la storia di una donna, ma anche, sullo sfondo, la storia di un
Paese intero e di un intero popolo. La storia di una città,
Teheran,
che vive una doppia vita: quella alla luce del sole, nelle strade in
rovina che portano nomi di martiri, pattugliate dai
“guardiani della
Rivoluzione” in cerca di arresti facili, e quella che si vive
dietro ai
tendaggi neri e alle finestre chiuse, la vita delle feste
“all’occidentale”, della
parità dei sessi, dei salotti intellettuali e
della preservazione della cultura. La vita della lotta continua nelle
piccole cose: una resistenza silenziosa fatta di capelli leggermente
fuori posto che spuntano da un velo, di una linea di matita e un filo
di rossetto, di cassette illegali di musica rock. Se
è vero che il
filo conduttore della storia è la vita di Marjane, le
vicende storiche
e politiche che restano sempre sullo sfondo, più o meno
silenziose ma
onnipresenti, intervenendo in primo piano in alcuni drammatici momenti
(su tutti l’uccisione dello zio Anouche, giustiziato
perché oppositore
del regime islamico), conferiscono al racconto una sorta di aura epica,
gloriosa, che si avverte nelle grandi scene delle rivolte popolari come
nel racconto dei fatti quotidiani. Una sorta di rumore di
fondo che tiene alta per tutto il tempo
della
lettura, e della visione, una tensione emotiva costante, struggente. Il
valore principale di Persepolis
è forse proprio quello di essere una storia grande e piccola
allo
stesso tempo: il racconto di un quotidiano apparentemente normale unito
alla percezione straniante di una grande tragedia universale in atto,
un doppio livello di narrazione che consente
un’immedesimazione inedita
per il lettore occidentale in una realtà troppo spesso
liquidata con
termini generici, superficiali quando non apertamente xenofobi. Guardandola
ancora da un ulteriore punto di vista, infatti, l’opera ci
presenta la
condizione dell’immigrato, costretto a costruire il proprio
futuro
nell’occidente “moderno”
perché spesso non esiste altra scelta, in fuga
da una realtà invivibile verso un’altra che sempre
più raramente è
disposta ad aprirgli le porte. Ne sono consapevoli i genitori di una
Marjane ancora bambina, quando di fronte al precipitare degli eventi
iraniani discutono tra loro:
“Forse dovremo andarcene anche noi...”
“Perché io mi riduca a fare il tassista e
tu la cameriera?”
E le cose non sono certo cambiate quando, anni dopo, Marjane
riceve a Vienna una visita di sua madre che le racconta: “Sapevi
che lo zio Massud si è trasferito in Germania? È
molto depresso. In
Iran era qualcuno: un dottore commercialista… in Germania,
è un turco.”
Dietro la rabbia, la paura, l’amarezza per le scelte
obbligate e il dolore delle perdite, è chiaramente
percepibile che Persepolis
è anche un’appassionata dichiarazione di amore per
il proprio Paese
(indimenticabile la scena in cui l’inno nazionale iraniano,
da tempo
vietato, viene trasmesso alla tv: l’intera famiglia di
Marjane ascolta
con le lacrime agli occhi), ma anche di amore per la propria famiglia e
di amore per la cultura e la conoscenza, che rendono gli uomini liberi. La
trasposizione cinematografica dell’opera, pur
dovendo rinunciare
ad alcuni segmenti narrativi per ragioni strutturali, presenta sotto
alcuni aspetti del valore aggiunto. La possibilità
di utilizzare
l’accompagnamento musicale e le
animazioni sembra restituire alla storia qualcosa che era
già presente,
in boccio, nell’opera a fumetti, e che nel film sembra
letteralmente
fiorire: una poeticità di fondo fatta di atmosfere e di
suggestioni che
in video prendono corpo, diventando un’esperienza sensoriale
nuova e
concreta, amplificata. Questa tensione poetica trova i suoi
momenti
più alti nei dialoghi della bambina Marjane con Dio, che
viene a
trovarla tutte le notti finché, dopo l’uccisione
di Anouche, Marjane lo
caccia via dalla sua vita gridandogli di non tornare mai
più. E nelle
scene che coinvolgono la vecchia nonna di Marjane, artefice della
pioggia di gelsomini che resterà uno dei ricordi
più belli e intensi
della ragazza negli anni a venire. Soluzioni visive originali
ed
efficaci, come l’utilizzo di sagome nere senza volto,
burattini animati
che ricordano i pupi del teatro siciliano, nuvole di fumo morbide e
stilizzate che avvolgono la scena di una fucilazione, consentono di
ammantare di ulteriore poesia anche la crudezza di molti degli
avvenimenti raccontati, facendoci entrare nei fatti attraverso lo
sguardo di Marjane, quello di una bambina di pochi anni costretta a
misurarsi con qualcosa di molto più grande di lei. Una
curiosità: Persepolis è
stato presentato in anteprima all’edizione 2007 del Giffoni
Film
Festival. Alla prima del film, una platea di piccoli giurati quasi
tutti italiani si è ritrovata davanti alla versione
originale della
pellicola, sottotitolata in inglese: un prevedibile momento di
smarrimento ha generato tra i piccoli spettatori un brusio
indispettito, che però si è spento quasi subito.
La grande presa delle
atmosfere, l’altissima qualità della
realizzazione, l’universalità
della storia e dei temi trattati sono riusciti a tenere alta
l’attenzione di una sala rimasta in completo silenzio per
tutti i
novantatré minuti della durata del film. Ed esplosa, alla
fine, in un
applauso commosso.
::
note ::
1. Graphic
novel (letteralmente “romanzo grafico”,
in inglese) è
un tipo di fumetto in cui le storie sono più lunghe (come
appunto un
romanzo) e in genere rivolte ad un pubblico più
maturo.
Le caratteristiche di questo
tipo di racconto sono il suo contatto
con il mondo reale e il suo valore letterario, del tutto nuovi nel
fumetto, precedentemente relegato, in genere, al ruolo di
intrattenimento. Spesso nel caso delle graphic novel si parla di
fumetto d’autore.
|