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Persepolis, storie di carta e di celluloide 
di Claudia Di Cresce

persepolisUna schermata completamente nera. 
Solo due voci fuori campo: poche parole dolci tra una nonna e una bambina. Poi, un secondo di sospensione che sembra trattenere i respiri di tutta la sala in una mano chiusa a pugno, invisibile sopra le file di poltrone, sospesa. E un gelsomino bianco comincia a cadere dall’alto dello schermo, ballando. Seguito da molti, molti altri. Musica lieve, dolcissima, come una scia di malinconia finale che ti ricorda come ti sei sentito per tutta la durata del film. Titoli di coda.
Cominciare a parlare di un film dal suo finale può sembrare bizzarro, ma in fondo forse a Marjane Satrapi non dispiacerebbe. Quello che di lei traspare dalla sua autobiografia Persepolis è una sorta di unicità, di profonda distanza da quella che potremmo definire, con una parola che non ci piace, normalità
Delicatezza e intensità, fragilità soltanto apparente: l’autoritratto di Marjane ha qualcosa in comune con quei gelsomini bianchi sopra un fondo nero. Lei stessa, in uno dei momenti più amari e toccanti della narrazione, riflette sull’indefinitezza della propria condizione e della propria identità con parole semplici e pesantissime insieme: “… ero un’occidentale in Iran, un’iraniana in occidente. Non possedevo alcuna identità.”
Persepolis, dunque, è un’autobiografia lunga e complessa, su carta e su schermo. 

Nata infatti come opera a fumetti, una graphic novel1, primo fumetto iraniano mai pubblicato, esce in Italia per la prima volta per Edizioni Lizard in 4 volumi pubblicati tra il 2002 e il 2003, presto esauriti. Visto il successo dell’opera, viene ristampato dalla Sperling & Kupfer in due tomi, usciti nel 2003 e nel 2004. L’opera diventa nel 2007 un film d’animazione, che viene candidato all’Oscar. Il film è stato scritto e diretto dalla stessa Marjane Satrapi e dal fumettista francese Vincent Paronnaud. Vince il Festival di Cannes del 2007, e approda nelle sale italiane il 29 febbraio 2008. È una storia di vita e di crescita personale, un romanzo di formazione intrecciato con gli avvenimenti storici degli anni Ottanta e Novanta che trasformarono l’Iran, da monarchia, in una repubblica islamica guidata da fondamentalisti, attraverso una rivoluzione politica e culturale che fece intravedere e sognare la modernità soltanto per un istante. La famiglia di Marjane (che all’epoca aveva dieci anni), laica e progressista, vive con partecipazione profonda gli entusiasmi, le illusioni e poi le disillusioni di quegli anni. L’ombra nera della dittatura islamica e poi della guerra spinge i genitori di Marjane, appassionati, colti e coraggiosi, a spedire una ragazzina di soli quattordici anni a studiare in Europa, a Vienna, per garantirle la libertà e una vera istruzione.
Sola, con i fantasmi dei parenti e degli amici morti per la libertà, con il riverbero mai spento dell’urlo lontano del proprio paese, Marjane trascorre l’adolescenza in Europa senza riuscire mai ad integrarsi davvero, combattendo con il peso delle proprie radici e con i sensi di colpa che questo peso porta con sé, sempre irrimediabilmente straniera e “diversa”, e in più adolescente: arrabbiata, insicura, come tutti sola e tradita dall’amore. Ma Marjane resterà una straniera anche dopo il ritorno in patria: ritroverà un Iran inerme, imbavagliato e arreso, che vive di divieti e paura: dopo avere tentato una nuova paradossale integrazione, questa volta nella propria patria, capirà che ci sono conflitti che non si possono ricomporre, e partirà di nuovo, questa volta per sempre.
Persepolis è prima la storia di un’infanzia, poi di un’adolescenza. È la storia di una donna che cresce, ma è anche, appunto, la storia di una donna. È naturale che il punto di vista delle donne sia la particolare angolatura dalla quale Marjane ci fa guardare alla cultura iraniana, com’era e com’è diventata. Viviamo quindi le loro oppressioni e i loro divieti, le discriminazioni mascherate da conquiste, le ipocrisie che si celano dietro espressioni come “tutela dell’integrità”. La caratterizzazione femminile del romanzo è molto forte, anche perché alle spalle di Marjane vi sono altre due generazioni di donne, sua madre Taji e sua nonna, figure molto presenti in tutta la narrazione. Sono donne coraggiose che resistono con fierezza al continuo tentativo di svilimento della propria personalità e del proprio ruolo, donne fiere che non accettano di abbassare la testa, che gridano tra la folla alle manifestazioni, che racchiudono saggezza e cultura come scrigni, che aspettano a casa i propri uomini quando non si sa se ritorneranno, li sorreggono e li sostengono restando nell’ombra come sempre fanno le donne da millenni.
La storia di una ragazza che diventa donna, quindi, la storia di una donna, ma anche, sullo sfondo, la storia di un Paese intero e di un intero popolo. La storia di una città, Teheran, che vive una doppia vita: quella alla luce del sole, nelle strade in rovina che portano nomi di martiri, pattugliate dai “guardiani della Rivoluzione” in cerca di arresti facili, e quella che si vive dietro ai tendaggi neri e alle finestre chiuse, la vita delle feste “all’occidentale”, della parità dei sessi, dei salotti intellettuali e della preservazione della cultura. La vita della lotta continua nelle piccole cose: una resistenza silenziosa fatta di capelli leggermente fuori posto che spuntano da un velo, di una linea di matita e un filo di rossetto, di cassette illegali di musica rock. 
Se è vero che il filo conduttore della storia è la vita di Marjane, le vicende storiche e politiche che restano sempre sullo sfondo, più o meno silenziose ma onnipresenti, intervenendo in primo piano in alcuni drammatici momenti (su tutti l’uccisione dello zio Anouche, giustiziato perché oppositore del regime islamico), conferiscono al racconto una sorta di aura epica, gloriosa, che si avverte nelle grandi scene delle rivolte popolari come nel racconto dei fatti quotidiani.
Una sorta di rumore di fondo che tiene alta per tutto il tempo della lettura, e della visione, una tensione emotiva costante, struggente.
Il valore principale di Persepolis è forse proprio quello di essere una storia grande e piccola allo stesso tempo: il racconto di un quotidiano apparentemente normale unito alla percezione straniante di una grande tragedia universale in atto, un doppio livello di narrazione che consente un’immedesimazione inedita per il lettore occidentale in una realtà troppo spesso liquidata con termini generici, superficiali quando non apertamente xenofobi.
Guardandola ancora da un ulteriore punto di vista, infatti, l’opera ci presenta la condizione dell’immigrato, costretto a costruire il proprio futuro nell’occidente “moderno” perché spesso non esiste altra scelta, in fuga da una realtà invivibile verso un’altra che sempre più raramente è disposta ad aprirgli le porte. Ne sono consapevoli i genitori di una Marjane ancora bambina, quando di fronte al precipitare degli eventi iraniani discutono tra loro:

“Forse dovremo andarcene anche noi...”

“Perché io mi riduca a fare il tassista e tu la cameriera?”

E le cose non sono certo cambiate quando, anni dopo, Marjane riceve a Vienna una visita di sua madre che le racconta:
“Sapevi che lo zio Massud si è trasferito in Germania? È molto depresso. In Iran era qualcuno: un dottore commercialista… in Germania, è un turco.”

Dietro la rabbia, la paura, l’amarezza per le scelte obbligate e il dolore delle perdite, è chiaramente percepibile che Persepolis è anche un’appassionata dichiarazione di amore per il proprio Paese (indimenticabile la scena in cui l’inno nazionale iraniano, da tempo vietato, viene trasmesso alla tv: l’intera famiglia di Marjane ascolta con le lacrime agli occhi), ma anche di amore per la propria famiglia e di amore per la cultura e la conoscenza, che rendono gli uomini liberi.
La trasposizione cinematografica dell’opera, pur dovendo rinunciare ad alcuni segmenti narrativi per ragioni strutturali, presenta sotto alcuni aspetti del valore aggiunto.
La possibilità di utilizzare l’accompagnamento musicale e le animazioni sembra restituire alla storia qualcosa che era già presente, in boccio, nell’opera a fumetti, e che nel film sembra letteralmente fiorire: una poeticità di fondo fatta di atmosfere e di suggestioni che in video prendono corpo, diventando un’esperienza sensoriale nuova e concreta, amplificata.
Questa tensione poetica trova i suoi momenti più alti nei dialoghi della bambina Marjane con Dio, che viene a trovarla tutte le notti finché, dopo l’uccisione di Anouche, Marjane lo caccia via dalla sua vita gridandogli di non tornare mai più. E nelle scene che coinvolgono la vecchia nonna di Marjane, artefice della pioggia di gelsomini che resterà uno dei ricordi più belli e intensi della ragazza negli anni a venire. Soluzioni visive originali ed efficaci, come l’utilizzo di sagome nere senza volto, burattini animati che ricordano i pupi del teatro siciliano, nuvole di fumo morbide e stilizzate che avvolgono la scena di una fucilazione, consentono di ammantare di ulteriore poesia anche la crudezza di molti degli avvenimenti raccontati, facendoci entrare nei fatti attraverso lo sguardo di Marjane, quello di una bambina di pochi anni costretta a misurarsi con qualcosa di molto più grande di lei.
Una curiosità: Persepolis è stato presentato in anteprima all’edizione 2007 del Giffoni Film Festival. Alla prima del film, una platea di piccoli giurati quasi tutti italiani si è ritrovata davanti alla versione originale della pellicola, sottotitolata in inglese: un prevedibile momento di smarrimento ha generato tra i piccoli spettatori un brusio indispettito, che però si è spento quasi subito. La grande presa delle atmosfere, l’altissima qualità della realizzazione, l’universalità della storia e dei temi trattati sono riusciti a tenere alta l’attenzione di una sala rimasta in completo silenzio per tutti i novantatré minuti della durata del film. Ed esplosa, alla fine, in un applauso commosso.

 



:: note ::

1. Graphic novel (letteralmente “romanzo grafico”, in inglese) è un tipo di fumetto in cui le storie sono più lunghe (come appunto un romanzo)
e in genere rivolte ad un pubblico più maturo.

Le caratteristiche di questo tipo di racconto sono il suo contatto con il mondo reale e il suo valore letterario, del tutto nuovi nel fumetto, precedentemente relegato, in genere, al ruolo di intrattenimento. Spesso nel caso delle graphic novel si parla di fumetto d’autore.