[ torna al servizio ] | |
Kursk, la verità sommersa di Erika Dagnino | |
Il racconto che fa Ismaele è atto di testimoniare; è Ismaele colui
che racconta e, vedendolo nel suo aspetto più formale, non si può non
comprendere che è lui il destinato a sopravvivere: il lettore assume il
ruolo di relatore e perfino di mittente della narrazione. Il contenuto del biglietto, recuperato il 25 ottobre, consiste dunque in informazioni puramente tecniche e in brevi parole d’addio ai propri cari “Sono le 13 e 15 tutto l’equipaggio del sesto, settimo e ottavo compartimento si riunisce al nono. Ci sono 23 membri qui. Abbiamo preso questa decisione in seguito all’incidente. Nessuno di noi può raggiungere la superficie. Sto scrivendo al buio. Sembra non ci siano speranze, forse il 10-20 per cento. Speriamo che almeno qualcuno legga. Qui sono gli elenchi dei membri dell'equipaggio dei vari compartimenti che si trovano adesso nel nono e che cercheranno di uscire. Ciao a tutti, non è necessario disperarsi.” Ed ecco che l’elemento assertivo del testo scritto comprende una
duplice veridicità: vero in quanto oggetto, vero in quanto asserzione.
Testimonianza e comunicazione, testimonianza e trasmissione, sono
processi che si sviluppano nella loro storicità e oggettiva esistenza,
ma anche e soprattutto nel tessuto e nella materia stessa dell’opera
artistica – visivo-sonora – nel suo farsi, e sembrano superare la
barriera di quell’ elemento materico concentrico, entro una sorta di
metaforico conflitto in cui l’umano si estingue, suo malgrado, a favore
della prevalenza della materia non umana: l’elemento acqueo inquietante
e inquieto, che circoscrive la materia-sottomarino, a sua volta
contenitore – soffocante – della materia umana. Il mare si sente
incombere anche nelle immagini che focalizzano l’interno, fino ai
particolari della strumentazione delle macchine, in una continua
dialettica tra materia animata e materia inanimata, dove all’espansione
della materia corrisponde una sua contemporanea sottrazione. E se lo
spazio sottomarino è già una sorta di parzialità vitale, il rapporto
con la materia esterna, il suo incombere, a tratti invisibile ma
esistente, sebbene non ravvisabile come una sorta di onda tsunami,
potrebbe alludere metaforicamente all’incombere della morte. Esistente
ma apparentemente invisibile, nel suo appartenere a un dominio altro. Morte che ha come canale il tempo stesso della materia. È questo il caso in cui lo sguardo si sofferma sull’elemento
estetico dell’episodio storico: occhio poetico che osserva la storia
come scena. Evento reale all’interno dell’immaginazione. Nel caso
specifico il processo interno alla genesi avviene a ritroso, inverso è
il rapporto tra fatto e creatività. È infatti quest’ultima che, pur
entrando in relazione con il primo, si relaziona nella misura in cui
esso le fa da sponda: non ispirazione, ma sottolineatura, una sorta di
estrinsecazione ‘artificiale’, non naturale ma artistica, come se i
rispettivi ruoli fossero invertiti. La storia contiene e offre il dato
di interesse come occasione per un fatto artistico preesistente. Si
instaura una sorta di artisticizzazione della cronaca e della storia,
nella loro funzione non di ispirazione, ma di supporto. Sottolineando i
confini dell’evento, nella vita si apre un ritaglio che funge quasi da
prolungamento fisico del sottomarino, una sorta di frammento, che
prevede e contiene in sé il montaggio dei suoi segmenti inseriti nello
spazio, dall’inizio al suo termine, una sorta di vita filmica.
L’episodio reale si denaturalizza, senza snaturarsi, a servizio
dell’arte; la vecchia poetica naturalistica si capovolge, non è l’arte
che rappresenta la vita, ma la vita che fa da supporto all’arte:
connubio natural-artificiale, dove l’arte sussiste e preesiste. Siamo
di fronte a una specie di iperrealismo alla rovescia: il dettaglio
minimo della realtà non viene tradotto in fatto artistico, ma, anzi,
posto a supporto dell’opera, mentre i fatti vengono affiancati da un
elemento musicale cronologicamente preesistente. La vita che diventa
arte nel suo aspetto formale più che nel suo contenuto. Assistiamo
quindi a un fenomeno di capovolgimento, con la manifestazione di una
concezione del montaggio, del ritaglio, che sfocia in un taglia/incolla
di vita e arte, una ricomposizione dove il dato reale viene integrato e
montato in simbiosi con la musica che è lo storyboard di tutta l’opera: Così
ogni cosa in questo lavoro viene dalla musica. Ogni immagine era già
là, il film era là, il dramma e la trama erano nella musica stessa. Il
prodotto finale è e rimane comunque un ibrido di elementi reali e non
reali: l’opera diventa ontologicamente anfibia come è anfibia la sua
genesi. * www.amiranirecords.com |